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  • A Zena… non si butta via niente!

    Oltre a recuperare energia dai rifiuti, il primo impianto su scala industriale di produzione di biometano da gas di discarica contribuirà all’abbattimento delle emissioni di anidride carbonica, alla decarbonizzazione dei trasporti e a diminuire le importazioni di gas naturale. Sempre caro mi fu quest’ermo colle… Forse, non proprio lo stesso sentimento dei genovesi nei confronti del Monte Scarpino, luogo di una controversa discarica. E nemmeno il nostro, fiaccati dagli interminabili tornanti che ne caratterizzano la strada e che ti tolgono il fiato. Ma così come il magnifico panorama sul golfo - e la squisita focaccia alle cipolle che ci aspettava - anche il nuovo impianto realizzato e gestito da Asja su concessione di AMIU Genova sembra proprio lì per riabbracciare il territorio e il suo ambiente. Esempio virtuoso di collaborazione pubblico-privato, nei giorni scorsi è stato formalmente inaugurato la prima struttura in Italia su scala industriale - e al momento ancor l’unica - per la produzione di biometano da gas di discarica. Asja, società che progetta, costruisce e gestisce impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, in un’ottica di economia circolare ha infatti riconvertito l’impianto di produzione di energia elettrica esistente da 11,2 MW in uno più avanzato per la produzione di biometano. Entrato in esercizio a fine 2020, con una capacità di 1.500 metro cubo/h di biogas in ingresso, si compone di due sezioni: una per la produzione di biometano avanzato e una per la produzione di energia elettrica a servizio dell’impianto di upgrading. “Questo impianto - ha dichiarato Agostino Re Rebaudengo, presidente di Asja - ci consente di produrre biometano come valorizzazione energetica del biogas da discarica, rafforzando la nostra presenza nel settore delle energie rinnovabili per contribuire al raggiungimento degli obiettivi globali al 2030 e proseguendo una attività in cui siamo leader da 25 anni”. Dotato di un sistema per la captazione e il trattamento degli off-gas e di un programma di controllo e monitoraggio costante del processo, da quando è entrato in esercizio alla fine del 2020 l’impianto ha immesso oltre 2 milioni di metri cubi di biometano nella rete di trasporto Snam. Una volta a regime, produrrà 5.500.000 metri cubi di biometano l’anno, che potranno soddisfare il fabbisogno di quasi 3.700 famiglie, con un risparmio pari a 4.510 tonnellate di petrolio. “Questo impianto – ha dichiarata Matteo Campora, assessore all’Ambiente del Comune di Genova - è la prova del percorso intrapreso dal Comune di Genova e AMIU verso una gestione del ciclo dei rifiuti che guarda sempre di più alla sostenibilità“. Sorta nel lontano 1968, ora Monte Scarpino si appresta a diventare un vero e proprio Polo Impiantistico dove, grazie all’impianto TMB (trattamento meccanico biologico) e a quello di depurazione del percolato con produzione di solfato d’ammonio che saranno realizzati da AMIU, sarà possibile risolvere le storiche problematiche della riduzione del conferimento dei rifiuti in discarica e dell’inquinamento atmosferico e dell’acqua. Le ultime rilevazioni di ISPRA (2019) indicano in 305 il numero delle discariche presenti sul territorio nazionale, spesso - termine che nell’accezione italica significa sempre - contestate in nome dell’ambiente e dell’utopico principio ricicliamo tutto. Una visita a Monte Scarpino, nonostante i tourniquet, ci sembra proprio necessaria… Massimo Ventura Scarica lo schema dell'impianto

  • La Corea del Sud punta a ridurre del 37 per cento i gas serra al 2030

    Per la prima volta la Corea del Sud ha partecipato, come ospite insieme a India, Australia e Sud Africa, all’incontro – virtuale – su Clima e Ambiente dei ministri del G7. Durante il meeting Han Jeoung-ae, ministro dell’Ambiente sudcoreano, ha confermato che il suo governo presenterà entro la fine dell’anno quello che può essere definito il loro più ambizioso Piano di decarbonizzazione. La Corea del Sud, che rappresenta circa il 1,4 per cento delle emissioni globali di gas serra, attraverso il Comprehensive Plan on Fine dust Management prevede infatti di ridurre le proprie emissioni di gas serra del 37 per cento rispetto al business as usual entro il 2030 in tutti i settori economici. Secondo il Greeenhouse Gas Information Centre del ministero dell’Ambiente, nel 2020 le emissioni totali di gas serra della Corea del Sud sono calate di circa il 7,3 per cento su base annua, con i settori energetico e industriale che hanno guidato la diminuzione con emissioni in calo rispettivamente del 7,8 per cento e del 7,1 per cento rispetto all’anno precedente. Una diminuzione dovuta, però, agli effetti economico-sociali della pandemia. Emissioni che, come anticipato dal ministro Han Jeoung-ae, potrebbero quindi aumentare nuovamente per l’auspicata ripresa economica. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) prevede infatti già quest’anno un sostanziale rimbalzo, con una stima di crescita del PIL reale del 3,6 per cento su base annua.

  • Il nord Adriatico zona ideale per i parchi eolici offshore

    Nel novembre 2020 l’Unione Europea ha emanato la Strategia sulle energie rinnovabili offshore, che si propone di aumentare la capacità eolica offshore dai 12 GW attuali ad almeno 60 GW entro il 2030, per raggiungere i 300 GW entro il 2050. Con lo scopo di perseguire questi obiettivi, il progetto europeo Blue Deal, che mira allo sviluppo sostenibile dell’economia mediterranea, ha dato vita a una serie di Transferring Labs per analizzare la situazione delle energie rinnovabili marine, le tecnologie e le possibilità di implementazione. Durante il secondo appuntamento, organizzato dalla Facoltà di ingegneria meccanica e architettura navale dell’Università di Zagabria, ci si è soffermati in particolare sull’analisi dell’area antistante le coste croate, dove sono presenti le piattaforme di gas naturale di INA-Industrija Nafte, compagnia petrolifera statale. Piattaforme che dovrebbero essere chiuse entro il 2025 e sostituite proprio con parchi eolici offshore. “La parte settentrionale dell’Adriatico - ha dichiarato il professor Neven Duic, capo del Dipartimento energia presso la Facoltà di ingegneria meccanica e architettura navale dell’Università di Zagabria - è la posizione migliore per i parchi eolici offshore, perché il mare poco profondo è adatto alla tecnologia attuale e, secondo le nostre stime, il 20 per cento dell’energia croata potrebbe essere prodotta proprio nel mare Adriatico”. Sono 19 le piattaforme per la produzione di gas naturale di INA nell’Adriatico settentrionale, mentre la produzione totale annua di gas (tra terra e mare) della compagnia croata è sufficiente a soddisfare circa il 30 per cento dei consumi del Paese.

  • Colombia, in portafoglio oltre 6 GW di nuovi progetti rinnovabili

    Se ancora non si conosce il vincitore della Copa America di calcio, avviata proprio in questi giorni, nel particolare campionato sudamericano dei programmi per la transizione energetica svetta la Colombia. Attraverso l’Unità di Pianificazione Mineraria ed Elettrica colombiana (UMPE), nel biennio 2019-2021 il Governo di Bogotà ha preso in carico 310 nuovi progetti per una capacità complessiva pari a circa 16 GW; nei soli primi cinque mesi del 2021 sono state registrate nuove proposte per impianti eolici, solari e idroelettrici per oltre 6 GW. In particolare, degli 86 progetti registrati nel 2021, 63 riguardano impianti solari che, se realizzati, rappresenterebbero una capacità di quasi 4 GW. Il Ministero delle Miniere e dell’Energia ha inoltre approvato il bando per l’organizzazione della terza asta di contratti a lungo termine per le energie rinnovabili non convenzionali, a cui possono partecipare i progetti con una capacità pari o superiore a 5 MW. “Questa nuova asta - ha dichiarato Diego Mesa, ministro delle Miniere e dell’Energia colombiano - ci consentirà di continuare a consolidare la Colombia come punto di riferimento regionale nella transizione energetica. In circa 3 anni abbiamo aumentato di oltre 8 volte la capacità installata del Paese in progetti da fonti rinnovabili ed entro il 2021 entreranno in esercizio altri 80 impianti”. Secondo le stime dell’UMPE, che nel suo piano 2013-2027 prevede 2 miliardi di dollari di investimenti nelle infrastrutture di trasmissione, la domanda di energia elettrica in Colombia crescerà da qui al 2028 del 46 per cento.

  • Sviluppo sostenibile, la Macedonia stanzia 3 miliardi di euro

    La crisi pandemica ha portato la maggior parte degli Stati a dover intervenire con nuovi programmi di investimenti per consentire una ripresa economica. Interventi che stanno ovviamente riguardando anche il settore energetico, in particolare quello delle rinnovabili. Non fa eccezione la Macedonia del Nord. Il primo ministro Zoran Zaev, presentando il più ampio Piano di sviluppo al 2027, ha sottolineato come la maggior parte degli 8 milioni di euro stanziati sarà destinata a progetti per lo sviluppo dell’energia sostenibile e per la salvaguardia ambientale. Oltre 3 miliardi di euro sono stati infatti destinati a sostegno di nuovi progetti per impianti eolici e fotovoltaici, a una corretta gestione dei rifiuti e al trattamento delle acque reflue. Secondo il primo ministro Zaev questi investimenti potrebbero consentire alla Macedonia del Nord di chiudere le sue centrali a carbone prima di molti altri Paesi membri dell’UE, dando anche continuità lavorativa. Il Governo si è inoltre proposto di semplificare le procedure per la realizzazione dei progetti green, di introdurre misure per migliorare l’efficienza energetica e fornire “buoni energetici” ai cittadini che si trovano in una condizione di povertà energetica.

  • In Senegal 60 MW di nuova generazione solare

    In accordo con l’ambizioso obiettivo del Governo senegalese di portare al 30 per cento la quota di energie rinnovabili nel proprio mix energetico entro il 2025, il Fondo Sovrano per gli Investimenti Strategici del Senegal (FONSIS) ha annunciato la messa in servizio di due centrali fotovoltaiche con una capacità di generazione combinata di 60 MW. Gli impianti di Kahone Solaire SA (35 MW) e Kaél Solaire SA (25 MW), situati rispettivamente nelle regioni di Kaolack e Diourbel, fanno parte dell’iniziativa Scaling Solar in Senegal, guidata congiuntamente dalle autorità senegalesi e dall’International Finance Corporation (IFC), organizzazione membro della Word Bank che mira a promuovere gli investimenti privati nei Paesi in via di sviluppo. Si tratta infatti dei primi progetti di generazione di energia elettrica rinnovabile da parte di operatori privati ​​ad essere aggiudicati in Senegal. Le centrali solari di Kahone e Kael, che porteranno alla creazione di oltre 400 nuovi posti di lavoro, forniranno elettricità a 540.000 persone ed eviteranno l’emissione di 89.000 tonnellate di CO2 l’anno. Per rafforzare le comunità locali sono inoltre in corso di realizzazione progetti socio-economici, tra cui la costituzione di una cooperativa di credito a favore della popolazione interessata dall’installazione degli impianti solari. “Il progetto Scaling Solar - ha dichiarato Papa Demba Diallo, direttore generale di FONSIS - concorre in particolare alla diversificazione del mix energetico, allo sviluppo delle fonti rinnovabili ma anche al rafforzamento dell’accesso universale all’energia sostenibile e conveniente”. Attraverso il Fondo Sovrano, il Governo senegalese vuole potenziare i propri investimenti a fianco del settore privato per rilanciare l’attività produttiva del Paese.

  • Cala la domanda di carbone. Anzi no…

    Una minore richiesta di elettricità e la recessione economica conseguenza delle restrizioni dovute al Covid-19 hanno fatto diminuire la domanda globale di carbone del 4 per cento nel 2020. Calo che, sempre secondo le stime della IEA (International Energy Agency) rappresenta il più grande mai registrato dalla Seconda guerra mondiale. La minore domanda di elettricità non è stato però l’unico fattore che ne ha ridotto il consumo nel 2020; un ruolo importante lo hanno avuto anche l’aumento dell’offerta di energie rinnovabili e la concorrenza del gas naturale. L’analisi della IEA evidenzia che solo la Cina - l’unica grande economia che ha segnato una crescita positiva del PIL, del consumo energetico e dell’uso di elettricità nel 2020 - ha visto crescere il consumo di carbone dello 0,6 per cento a 3,86 miliardi di tonnellate, raggiungendo il quarto livello più alto nella sua storia, dopo il 2012, 2013 e 2014. Con la ripresa economica prevista e auspicata nel 2021 si avrà però una netta inversione di tendenza, con la domanda globale di carbone che aumenterà del 4,5 per cento, portando la domanda sopra i livelli del 2019. “Come indicato in dettaglio nella nostra recente Net Zero by 2050. A Roadmap for the Global Energy Sector - ha dichiarato Fatih Birol, executive director della IEA - i governi devono andare oltre l’impegno a ridurre le emissioni e adottare misure concrete per accelerare gli investimenti in soluzioni di energia pulita pronte per il mercato e promuovere l’innovazione nelle tecnologie”.

  • L’aiuto della BERS per una Serbia più green

    Secondo i dati della International Energy Agency (IEA) in Serbia ancora nel 2019 la produzione energetica è stata ottenuta per più del 60 per cento grazie al carbone. Proprio per dare sostegno al percorso di decarbonizzazione, il Governo serbo ha previsto un piano di investimenti 2020-2025 per lo sviluppo delle fonti rinnovabili e l’espansione della rete di teleriscaldamento. Per raggiungere questi obiettivi il Ministero delle Miniere e dell’energia serbo intende incrementare la cooperazione con la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS). Di questo ha trattato l’incontro tra Zorana Mihajlović, ministro delle Miniere e dell’energia, e Matteo Colangeli, nuovo Direttore della BERS per i Balcani Occidentali. “C’è molto spazio per la cooperazione - ha dichiarato Mihajlovic - per completare i progetti esistenti e avviarne di nuovi. Stiamo elaborando il Piano Integrato Clima ed Energia, nonché la nuova Strategia di Sviluppo Energetico con una visione fino al 2050”. L’incontro si è concentrato sui progetti per l’aumento dell’efficienza energetica e l’istituzione del Fondo dedicato, oltre ai progetti per l’ammodernamento della rete di distribuzione. Il Governo serbo ha recentemente firmato anche un accordo con la Banca europea per gli investimenti (BEI) per un prestito per la realizzazione del progetto di costruzione di un’interconnessione del gas Serbia-Bulgaria.

  • In Sud Africa un mercato dell’idrogeno da 10 miliardi di dollari/anno

    Già nel passato più o meno recente l’idrogeno era stato investito del ruolo di combustibile del futuro. I problemi relativi al trasporto e allo stoccaggio ne avevano però rallentato, se non fermato, lo sviluppo. Ora, la strada verso la decarbonizzazione - e le nuove tecnologie - lo ha reso nuovamente protagonista, rendendo più vicino quel futuro e spingendo molti Paesi a studiare la possibilità di sfruttarlo, nelle sue versioni blu o, soprattutto, green. Intervenuto durante il webinar Renewable hydrogen and green powerfuel opportunities for South Africa, organizzato tra gli altri dal South African Department of Trade, Industry and Competition e dalla World Bank, Ebrahim Patel, ministro del Commercio, dell’industria e della concorrenza del Sud Africa, ha illustrato il potenziale del Paese e le politiche in adozione per promuovere un’economia dell’idrogeno verde. Il Sud Africa non solo è ricco di fonti rinnovabili, in particolare solare ed eolico, ma anche di quei metalli come platino, rodio e palladio che vengono utilizzati negli elettrolizzatori, necessari per la produzione di idrogeno verde, dando al Paese un ruolo chiave nel mercato globale dell’idrogeno. “La nostra dotazione di risorse - ha dichiarato Ebrahim Patel - deve essere tradotta in un vantaggio competitivo per la produzione di idrogeno che può contribuire a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico, il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile e la creazione di posti di lavoro”. Il Sud Africa ha recentemente illustrato una ambiziosa strategia nazionale in tema di idrogeno che prevede la creazione di un mercato interno da 10 miliardi di dollari/anno e un potenziale di export che, secondo le stime dell’ICE (Italian Trade & Investment Agency) potrebbe raggiungere i 100 miliardi di dollari l’anno.

  • Sotto questo sole… gli ombrelloni si ricaricano!

    Tutti in spiaggia a prendere… il fresco. Questa estate sarà possibile grazie al progetto realizzato da Carlo Ratti Associati: un ombrellone che, oltre a proteggere dai raggi UV, sfrutta il sole per produrre energia elettrica, funzionando come stazione di ricarica per cellulari e rinfrescando i bagnanti con un nebulizzatore. Ispirati alle tecnologie in uso alla NASA, questi enormi girasoli hanno una base in alluminio e sono coperti di pannelli fotovoltaici. Alti 2,5 metri e con diametro di 3,2 metri, gli ombrelloni sono facilmente richiudibili grazie a una struttura simil-origami realizzata grazie alla collaborazione con l’architetto Italo Rota, tra gli autori del padiglione Italia a EXPO 2020, e con Chuck Hoberman, ingegnere di Harvard noto per i suoi studi sul transformable design. In condizioni ambientali stabili ogni ombrellone può produrre tra i 500 e i 600 W. I primi prototipi saranno istallati a metà giugno alla Biblioteca degli Alberi a Milano: 11 beach umbrella che formeranno un’area lounge e saranno accessibili gratuitamente dal 12 giugno all’8 agosto. L’elettricità prodotta dall’assembramento di ombrelloni sarà in grado di alimentare un congelatore per gelati fornito da Sammontana, partner del progetto. Il test servirà come prova del nove - o come prova degli undici, in questo caso - per valutare la replicabilità dell’ installazione. Sammontana, che ha anche implementato nei suoi stabilimenti un processo per la riduzione della CO2 nella catena di produzione, sta infatti coinvolgendo diversi stabilimenti balneari per diventare partner (e sede ospitante) dei beach umbrella. Bisognerà aspettare i giorni più caldi di questa estate 2021 per verificare se gli ombrelloni, oltre a essere un interessante prodotto di design e ingegneria, sono vincenti dal punto di vista della sostenibilità economica ed energetica.

  • Caso Shell, tribunale dell’Aja: quali impatti sulle strategie delle imprese?

    Con una sentenza emessa il 26 maggio 2021, il Tribunale distrettuale dell’Aja ha ordinato a Royal Dutch Shell di ridurre del 45 per cento entro il 2030 le emissioni di CO2 del gruppo rispetto ai livelli del 2019. Per la prima volta un tribunale è intervenuto per imporre a una impresa di allineare la propria strategia all’Accordo di Parigi sul clima. La pronuncia è destinata a segnare una ulteriore tappa nell’evoluzione della giurisprudenza in materia di cambiamento climatico e attesta la rilevanza sempre più centrale che i contenziosi su tematiche ambientali stanno assumendo a livello globale. Muovendo dal rilievo che Shell è uno dei maggiori produttori e fornitori di combustibili fossili al mondo e che le emissioni di anidride carbonica del gruppo contribuiscono in modo significativo al riscaldamento globale, il Tribunale ha concluso che Shell è obbligata a garantire, attraverso la propria politica aziendale, la riduzione delle emissioni di CO2. A fondamento della decisione, il Tribunale colloca il principio non scritto della due care dettato dal codice civile olandese e interpretato dai giudici alla luce di strumenti internazionali di soft law. Pur non ravvisando un’attuale violazione dell’obbligo di riduzione delle emissioni, e anzi riconoscendo che la società ha migliorato la propria politica in materia, il Tribunale ha però giudicato quest’ultima non concreta e ha individuato in capo alla società una responsabilità individuale in materia di clima. Tale responsabilità è autonoma rispetto alle azioni degli Stati e si sostanzia in un obbligo di risultato (il conseguimento dell’obiettivo di riduzione delle emissioni del gruppo) e di best-efforts nei confronti di fornitori e clienti sui quali si richiede alla società di esercitare la propria influenza attraverso le politiche aziendali di gruppo. Dunque, piena libertà nella scelta delle modalità per conseguire l’obiettivo della riduzione delle emissioni, ma vincolo a raggiungerlo. Quale che sia l’esito finale del contenzioso - Shell ha già annunciato che impugnerà la sentenza - la decisione offre alcune indicazioni interpretative che vanno al di là del caso concreto. In primo luogo individua una responsabilità generale delle imprese in tema di cambiamento climatico quale standard generale di condotta che prescinde da dimensioni, settore, contesto operativo, proprietà e struttura dell’azienda e coinvolge non solo le attività direttamente esercitate, ma il complesso delle relazioni commerciali che essa intrattiene. Il tempo dirà se la decisione costituirà il punto di svolta che taluni commentatori hanno preconizzato. Ciò che è certo è che essa si inserisce in un contesto normativo e giurisprudenziale che, su più fronti, pone le tematiche ambientali al centro delle valutazioni di imprese e investitori e le individua sempre di più quali criteri orientativi delle scelte di questi ultimi. Quali, dunque, le implicazioni operative? Ecco qualche spunto. Le imprese sono chiamate a una rinnovata attenzione alle strategie climatiche. Si richiede insomma un cambiamento di paradigma, in particolare alle aziende con un’impronta di carbonio rilevante, per le quali è indifferibile l’elaborazione o il ripensamento dei propri piani e obiettivi climatici. Occorre superare la logica della mera compliance, che da fine da conseguire diventa punto di partenza per l’elaborazione di programmi strutturati e obiettivi più ambiziosi e di politiche di engagement effettive e realistiche. Dichiarazioni di principio, quali la volontà di conseguire l’azzeramento delle emissioni entro il 2050, ove non accompagnate da piani di azione concreti, con scansioni temporali chiare e definite, rischiano di ridurre l’attrattività e la credibilità dell’impresa nei confronti del mercato e del mondo bancario e finanziario, che richiedono solide credenziali su questo fronte. Un’ultima considerazione: occorre sgombrare il campo dalla convinzione che la cessione di asset ad alta intensità energetica porti automaticamente ed effettivamente a una riduzione complessiva delle emissioni di carbonio e non possano invece rivelarsi maggiormente efficaci altre opzioni. La risposta è tutt’altro che univoca tra gli investitori e richiama alla necessità di elaborare pianificazioni accurate e strategie di ampio respiro. Maria Cristina Breida, Head of Environmental Department Legance Avvocati Associati

  • In Messico stop and go per le rinnovabili

    La gestione di fonti energetiche non programmabili, come sole e vento, è uno degli aspetti più importanti per la sicurezza e la stabilità delle reti elettriche. In Messico, per ovviare a possibili problemi di overgeneration il Centro Nacional de Control de Energía (CENACE), l’ente pubblico che esercita il controllo operativo del sistema elettrico nazionale, ha preso a fine aprile 2021 una decisione drastica e spiazzante. In un mondo che volge alla produzione di energia green ha scelto di sospendere le connessioni alla rete di nuovi parchi solari ed eolici fino a nuovo avviso, motivando la decisione proprio con l’intermittenza di generazione che avrebbe potuto compromettere l’affidabilità del sistema elettrico. Ora, un Tribunale messicano ha impugnato la delibera, ordinando a CENACE di riavviare i test di funzionalità già previsti per 23 nuovi impianti di energia rinnovabile. Responsabile della formulazione dei programmi di ampliamento e ammodernamento della rete di trasmissione nazionale e delle reti di distribuzione generale il Centro Nacional de Control de Energía ha quindi formalizzato con l’Università di Sonora (UNISON) un accordo generale di collaborazione accademico-istituzionale per rafforzare le conoscenze e le competenze per lo sviluppo di modelli di previsione della domanda di energia elettrica. Secondo il bilancio energetico nazionale, rilasciato dalla Secretaria de Energia del governo messicano (SENER), la produzione da FER è passata dal 12,80 per cento del 2018 al 12,33 per cento del 2019.

  • Con le FER 15.000 nuovi posti di lavoro a Panama

    Già modello in America Latina e nei Caraibi per lo sviluppo delle fonti rinnovabili e delle politiche a salvaguardia del clima, Panama punta alla transizione energetica per una ripresa più veloce dalla crisi dovuta alla pandemia. Il Governo ha infatti deciso di accelerare il Piano Energetico Nazionale (PEN) 2015-2050, basato su idroelettrico, solare, eolico e sull’elettrificazione del trasporto pubblico. Decisione supportata da uno studio preparato dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), che ha stimato come l’integrazione dell’agenda di transizione energetica nei piani di ripresa post Covid-19 sia un investimento che porterà vantaggi significativi all’economia, con la generazione di 15.000 nuovi posti di lavoro nei prossimi tre anni. Strategie specifiche del Governo, come ha anticipato il viceministro dell’Economia e delle Finanze di Panama Enelda Medrano in occasione della presentazione dello studio di UNEP, riguarderanno l’ammodernamento del quadro normativo, l’efficienza energetica, l’innovazione, la mobilità elettrica e i sistemi di generazione distribuita rinnovabile. Nel 2019, la produzione elettrica di Panama è stata generata per il 43,8 per cento dall’idroelettrico, per il 6,2 per cento dall’eolico e per il 2,5 per cento dal solare. Una quota del 9,2 per cento è invece rappresentata ancora dal carbone.

  • Commonwealth, accelerare una transizione inclusiva

    Il secondo Commonwealth Sustainable Energy Forum, l’incontro biennale nato nel 2019 a cui partecipano i 54 Stati che hanno fatto parte dell’impero coloniale britannico, ha sottolineato come sia necessario un lavoro congiunto dei Paesi membri per accelerare una transizione inclusiva, giusta ed equa verso sistemi energetici a basse emissioni di carbonio. Caratterizzato da tre sessioni di tavole rotonde, il Forum ha mostrato come i vari Paesi si trovano in fasi diverse della transizione energetica e ha indicato i tre pilastri chiave per il raggiungimento degli obiettivi comuni di sostenibilità: transizione inclusiva, tecnologia e innovazione, abilitazione dei framework. “Il ritmo della transizione energetica - ha dichiarato Patricia Scotland, segretario generale del Commonwealth - necessita di un’accelerazione urgente per la quale è richiesta una forte volontà politica da parte dei Paesi membri; i Governi devono stabilire le strutture abilitanti per attirare i finanziamenti, favorire l’implementazione delle tecnologie e ridurre i costi per le transizioni energetiche”. Incoraggiando un approccio centrato sulle persone ha inoltre aggiunto che “sebbene i percorsi di transizione possano differire tra i vari Paesi del Commonwealth, il passaggio a sistemi energetici puliti deve essere un obiettivo comune”. I risultati della riunione saranno esposti anche durante il summit delle Nazioni Unite sull’energia previsto per settembre 2021, alla conferenza COP26 sui cambiamenti climatici in programma a novembre 2021 e alla prossima riunione dei capi di governo del Commonwealth.

  • In Sardegna pit stop per navi green

    Con l’arrivo nel porto di Oristano dei primi 7.000 metri cubi di GNL, l’isola si appresta a diventare uno dei punti di rifornimento principali per le navi ibride di ultima generazione. Una recente ricerca del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale del Politecnico di Milano (DICA) ha evidenziato come nel Mar Mediterraneo, nonostante la sua superficie sia solo lo 0,7 per cento degli oceani globali (2,51 Mkm2 contro 361 Mkm2 ), il traffico navale rappresenti tra il 5 per cento (per le navi da carico) e l’8 per cento (per quelle passeggeri) del traffico globale. Basta questo dato per capire quanto la circolazione marittima possa incidere pesantemente a livello di inquinamento. A titolo di esempio, ENEA ha stimato che nei soli mesi estivi le emissioni navali nel Mediterraneo centrale contribuiscono per circa il 30 per cento ai solfati presenti nel particolato e per almeno il 10 per cento al PM10. Non solo; sempre secondo lo studio di ENEA, in alcuni casi il contributo delle emissioni navali al PM10 supera il valore di 6 microgrammi/metro cubo. Ridurre l’utilizzo di combustibili inquinanti rappresenta quindi una priorità anche per il settore marittimo e proprio i porti rappresentano un tassello decisivo per lo sviluppo di combustibili green. Per questo risulta ancora più importante l’arrivo del primo carico di GNL nel porto di Oristano, dove la nave small-scale Avenir Accolade ha immesso i primi 7.000 metri cubi di gas naturale liquefatto, caricati nell’isola di Krk in Croazia, nel nuovo terminale di stoccaggio HIGAS. L’impianto, con una capacità totale di 9.000 metri cubi, è strutturato in 6 serbatoi modulari realizzati con materiali speciali, idonei a contenere il gas a una temperatura pari a -162 gradi e rinforzati con doppia parete. Struttura che potrà svolgere la duplice funzione di bunkeraggio, dedicato alla crescente flotta di navi ibride di ultima generazione, e al contempo garantire un primo approvvigionamento di gas in Sardegna, previo trasporto con appositi mezzi cisterna. La frequenza degli scali delle navi gasiere, che in questa prima fase sarà mensile, dovrebbe aumentare in relazione di una maggiore richiesta di approvvigionamento, facendo diventare il porto di Oristano, per la sua posizione strategica, un importante punto di riferimento per il rifornimento delle navi green. “Si apre una nuova prospettiva di sviluppo per la Sardegna – ha dichiarato Christian Solinas, presidente della Regione – e segna una tappa fondamentale per la realizzazione del processo di transizione ecologica dell’Isola. Questa giornata è il primo tangibile passo del progetto di sviluppo energetico sostenibile per colmare il gap infrastrutturale che separa la Sardegna dal resto del Paese e restituire alla nostra Isola una competitività energetica pari a quella delle regioni continentali”. Il gas naturale liquefatto riduce in media del 25 per cento le emissioni di CO2 in atmosfera rispetto ai combustibili tradizionali e può avere molteplici utilizzi, dall’uso industriale all’autotrazione. La Direttiva europea 2014/94/EU (Direttiva DAFI) indica come necessaria l’installazione di punti di rifornimento, a mare o a terra, fissi o mobili, per il rifornimento di GNL nei porti marittimi che dovranno provvedere entro il 2025 alla costruzione di una vera e propria filiera del GNL per assicurare una continuità del rifornimento. Sempre a Oristano, dopo gli ultimi test condotti con successo, a breve entrerà sul mercato anche il deposito costiero di GNL di Santa Giusta, con una capacità totale di 9.000 metri cubi. “Questo è il primo scalo sardo - ha dichiarato Massimo Deiana, presidente dell’Autorità portuale sarda - che è ufficialmente già pronto a soddisfare la richiesta di GNL da parte delle numerose compagnie armatoriali che, negli ultimi anni, stanno investendo nella realizzazione di navi green. Una realtà forte di una posizione baricentrica che, sono certo, conferirà alla Sardegna un ruolo strategico per il bunkeraggio nel Mediterraneo e allo stesso tempo contribuirà ad un’accelerazione nel tanto atteso processo di metanizzazione dell’isola”. Massimo Ventura

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