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- Gibuti (Corno d’Africa), PPA e batterie per il nuovo parco solare da 25 MW
Continuano a prendere corpo nuovi progetti rinnovabili in Africa. In Gibuti, piccolo Stato del Corno d’Africa affacciato sullo strategico Stretto di Bab El Mandeb, sarà realizzato un nuovo parco fotovoltaico da 25 MW. L’impianto, sviluppato nell’ambito di un partenariato pubblico-privato, sarà costruito nella regione di Grand Bara e si stima possa produrre 55 GWh l’anno. Elettricità che sarà venduta, grazie a un PPA recentemente sottoscritto, alla società nazionale Électricité de Djibouti. La centrale sarà inoltre dotata di un sistema di accumulo a batterie per garantire la fornitura di energia elettrica anche in caso di maltempo. Una volta pienamente operativo, il parco solare di Grand Bara sarà in grado di fornire elettricità a 66.500 persone, contribuendo al raggiungimento dell’obiettivo del governo di Gibuti di ridurre le emissioni di CO2 del 40 per cento entro il 2030 e soddisfare la crescente domanda di elettricità del Paese. In attesa del completamento dei progetti in fase di realizzazione, Gibuti importa la maggior parte dell’elettricità dall’Etiopia attraverso una linea ad alta tensione lunga 283 chilometri che collega Dire Dawa alla città di Gibuti e che immette 95 MW nella rete elettrica del Paese. Ulteriori 60 MW saranno inoltre immessi in rete, sempre provenienti dall’Etiopia, grazie a una nuova linea ad alta tensione di 190 chilometri attualmente in costruzione.
- Per sostenere le rinnovabili la Serbia rafforza l’infrastruttura di rete
Con l’aumento della generazione rinnovabile diventa sempre più urgente ammodernare le reti di trasmissione. In Serbia, il Ministero delle Costruzioni, dei trasporti e delle infrastrutture ha annunciato l’avvio del progetto BeoGrid 2025, che prevede la realizzazione di nuove infrastrutture per connettere in rete nuovi impianti eolici e solari nell’area del Banato meridionale, che già ospita sei delle sette wind farm del Paese. Il Piano, con orizzonte temporale 2026, prevede inoltre l’adeguamento della rete in altre zone della Serbia, in particolare a Syrmia e a Belgrado. Con un investimento previsto di 90 milioni di euro il TSO serbo Elektromreža Srbije potrà alleggerire la sottostazione Belgrado 5 da 220/110/35 kV, che fornisce elettricità a gran parte della capitale, e realizzare una doppia linea di trasmissione da 400 kV fino al parco eolico di Čibuk, nel Banato meridionale. La regione, condivisa con la Romania, nella parte serba conta circa 40 progetti già in cantiere per la realizzazione di impianti rinnovabili, per una capacità totale di 4,5 GW. BeoGrid 2025 fa parte del più ampio progetto North Continental South East Corridor, che prevede il raddoppio della capacità della linea di trasmissione a 400 kV tra Serbia e Romania e che ha come obiettivo l’integrazione del mercato dell’elettricità nell’Europa sudorientale. Il governo di Belgrado ha inoltre previsto importanti investimenti per la digitalizzazione della rete di distribuzione e per la sostituzione dei vecchi contatori.
- Energia dall’acqua: Edison inaugura a Quassolo un mini-idro (che c’è ma non si vede)
Sulla sponda sinistra della Dora Baltea, nel Comune di Quassolo (in provincia di Torino) Edison ha realizzato una nuova centrale idroelettrica. Con una potenza installata di 2,7 MW, è in grado di produrre 8,3 GWh l’anno (8.300.000 kWh, per usare una taglia più vicina al contatore di casa), corrispondenti al fabbisogno di 3.000 famiglie, evitando al contempo l’emissione in atmosfera di 3.300 tonnellate di CO2 l’anno. Quella della centrale di Quassolo è una inaugurazione dove è assente la parola troppo. Il clima è ideale: non fa troppo caldo né troppo freddo. Piove ma non troppo, e smette al momento giusto. La centrale è mini, ma non troppo (la definizione non rende infatti giustizia alla complessità ingegneristica del progetto). E soprattutto, l’impianto è in funzione: grazie alle tre turbine Kaplan ad asse orizzontale, produce preziosi chilowattora verdi (o grigio-verdi, colore caratteristico delle acque della Dora Baltea). “E se per salvare il paesaggio un po’ lo cambiassimo, con interventi che si inseriscono meglio nell’ambiente e che danno un contributo alla nostra economia?”. Esordisce così Nicola Monti, amministratore delegato di Edison, descrivendo quello di Quassolo come “un impianto bello e utile: piccolo di dimensioni ma con un impatto rilevante e positivo sul territorio”. “Siamo orgogliosi di muovere un altro passo verso la decarbonizzazione del Paese - conclude Monti - e di accrescere la nostra potenza rinnovabile, che punta a raggiungere i 6 GW al 2030 con un investimento di 5 miliardi di euro”. Un territorio che ha sempre sostenuto Edison, come racconta Agostino Blanc, sindaco di Quassolo. “L’amministrazione comunale ha sempre supportato lo sviluppo della fonte idroelettrica e Edison non ha mai fatto mancare aiuto al nostro territorio”. “Questa centrale all’avanguardia - conclude Blanc - ha migliorato l’aspetto del fiume e ci ha dato modo di realizzare importanti interventi di difesa spondale”. L’idea del progetto nasce nel 2013, il cantiere apre nel novembre 2021 e i lavori si sono conclusi a giugno 2023: grazie all’intervento di 150 operai di 12 imprese specializzate, la centrale è stata realizzata in soli 19 mesi. Particolare attenzione è stata posta agli impatti sul territorio: il locale che ospita le turbine con i generatori, i trasformatori e i quadri elettrici è quasi completamente interrato e questo contribuisce alla piena integrazione della centrale nel territorio. Per accorgerti che c’è, devi sapere dov’è. “Con la centrale di Quassolo aumenta il nostro portafoglio di impianti a fonti rinnovabili - precisa Marco Stangalino, vice presidente esecutivo e direttore Power Asset di Edison - che oggi può contare su 1 GW di potenza idroelettrica: 120 centrali, di cui 80 mini-idro, che producono 400 milioni di kWh/anno”. “Come Edison vogliamo continuare a sostenere la filiera idroelettrica del Paese - conclude Stangalino - che rappresenta una eccellenza industriale italiana e tra le prime al mondo”. L’impianto ad acqua fluente di piccola derivazione (portata massima 75 metri cubi al secondo) sfrutta un salto nominale di 3,75 metri ottenuto tramite uno sbarramento mobile gonfiabile, che risulta essere perfettamente “trasparente alle piene” (un gommone che può essere abbattuto in caso di piena). È anche presente una scala di monta per l’ittiofauna, per consentire la risalita delle specie ittiche. Siamo su un fiume, ed è quello che comanda. “Qui si tocca con mano la sostenibilità”. Maurizio Malusardi, direttore della Divisione Engineering di Edison, sottolinea la tangibilità della sostenibilità del progetto da un punto di vista ambientale e sociale. “Sfruttiamo una risorsa preziosa. Quello che vedete oggi - prosegue Malusardi - non rende merito alla dimensione e alla complessità del progetto”. Complessità e dimensione, frutto di 19 mesi di intenso e imponente lavoro, che restano però quasi nascoste, così come lo è la centrale. “Nella sua completa integrazione con il territorio, questo è un posto bello”. “Ci vorrebbe maggiore spigliatezza autorizzativa - conclude Malusardi - utilizzando la risorsa idroelettrica con qualche significativo pompaggio, che ci aiuterebbe a gestire l’ondata di rinnovabili che ci sommergerà nei prossimi anni”. Oggi è sempre più necessario che operatori e territorio instaurino un dialogo più profondo e basato sulle caratteristiche di sviluppo del territorio stesso. Le competenze degli operatori e il tessuto imprenditoriale locale possono dare vita a soluzioni innovative e a importanti sinergie. Nell’aprile 2022 la campagna di crowdfunding di Edison - con l’obiettivo di raccogliere 300.000 euro attraverso la partecipazione degli abitanti di Quassolo, Borgofranco di Ivrea, Quincinetto, Tavagnasco, Montalto Dora e Settimo Vittone - si era conclusa con sette giorni di anticipo rispetto alla scadenza prevista. Gli abitanti dei sei Comuni coinvolti hanno potuto investire nella realizzazione della centrale e ricevere ogni sei mesi, dal 30 aprile 2022 al 30 aprile 2025, un tasso di interesse fisso lordo pari al 6% del capitale investito. Quello del crowdfunding – definito da qualche malelingua “soprattutto un’operazione di marketing per garantirsi la partecipazione dei cittadini”, in quanto la cifra raccolta è una piccola parte dei 12 milioni di euro dell’investimento complessivo - è un approccio che vuole condividere con le comunità locali il valore e i benefici delle infrastrutture energetiche sostenibili. La transizione energetica partecipata e il proprio futuro visto dal balcone.
- Eolico offshore galleggiante, opportunità per la filiera italiana?
La transizione energetica, necessaria per conseguire gli obiettivi di decarbonizzazione, rappresenta una sfida per tutti. In questo scenario, l’eolico offshore flottante può dare molto al nostro Paese (e per l’Italia è una scelta obbligatoria, data la profondità dei nostri fondali). Ma per dare concretezza al promettente futuro della tecnologia occorre promuovere una filiera nazionale, sostenendo nel tempo un sistema industriale italiano. Un lunedì milanese di metà settembre, grigio e gocciolante, complicato dallo sciopero dei mezzi pubblici. Il contesto sembra però non aver scoraggiato gli operatori dell’eolico offshore riuniti al Palazzo delle Stelline per il convegno Eolico offshore galleggiante: le opportunità di crescita della filiera italiana organizzato da Elettricità Futura e ANIE Federazione. Venti minuti prima dell’avvio dei lavori in tanti sono già seduti, occupando i posti migliori (che, come si impara a scuola, non sempre sono in prima fila). Il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin indirizza un simpatico video-messaggio di saluto alla sala gremita (oltre 300 partecipanti in presenza), certo che “dall’incontro arriveranno spunti e proposte”. Siamo qui per verificarlo. “Le profondità del Mediterraneo non consentono l’ancoraggio delle turbine sui fondali e richiedono sistemi galleggianti, su cui l’Europa ha un ruolo di leadership - esordisce Filippo Girardi, presidente di ANIE. Determinante sarà il fattore tempo: la sinergia fra gli attori della filiera e il sincronismo dei loro investimenti in un quadro normativo che agevoli le iniziative”. Per il presidente di Elettricità Futura, Agostino Re Rebaudengo, che interviene a distanza, “disporre di un quadro autorizzativo efficace aiuterà lo sviluppo di un settore che promette importanti sinergie tra due eccellenze del Made in Italy: la filiera nazionale dell’eolico e il comparto manifatturiero italiano”. A Cosetta Viganò, responsabile Regolatorio di Elettricità Futura, è affidato il compito di delineare il contesto di riferimento, le problematiche e le prospettive dell’eolico offshore con un focus su normative e aspetti regolatori. La parola chiave resta permitting. “È necessario un quadro regolatorio chiaro per sbloccare gli investimenti”. La tecnologia è giovane ma estremamente promettente: l’eolico flottante è installabile in aree a maggiore ventosità, lontano dalla costa - con minore impatto a diversi livelli e quindi maggiore accettabilità. “L’iter autorizzativo è lungo e complesso - prosegue Cosetta Viganò - e i costi di investimento ed esercizio sono molto elevati. Il quadro di riferimento è ancora molto incerto, anche per l’integrazione degli impianti nella rete”. Tra le criticità segnalate per questa tecnologia, gli obiettivi non sono del tutto allineati e congruenti tra loro: 2,1 GW di eolico offshore previsti dal PNIEC sono molto distanti da quello che può essere l’effettivo potenziale. Da rivedere anche gli schemi di sostegno introdotti dal FER II, che prevedono per queste tecnologie un contingente di 3.800 MW e una tariffa di riferimento pari a 185 euro/MWh per una vita utile convenzionale fissata in 25 anni. “Serve adottare con urgenza il decreto FER II - conclude Cosetta Viganò - con alcuni correttivi: contingenti più adeguati - almeno 10 GW - e una spinta più forte per la tecnologia floating”. Rimane nel campo della visione degli investitori in progetti offshore floating Mattia Cecchinato, senior advisor Offshore Wind di Wind Europe, allargando però lo sguardo al panorama europeo. “Il settore è molto dinamico. Ad oggi in Europa ci sono 32 GW di eolico offshore connessi in rete in 13 Paesi, per un totale di 129 wind farm e 6.166 turbine. La maggior parte è bottom fix”. Guardando al 2030, la prospettiva di crescita è ancora più forte: 150 GW di offshore wind. Questo significa che la capacità produttiva europea di turbine offshore dovrà arrivare almeno a 20 GW anno (oggi è 7 GW). Idem per i lavoratori diretti: nel settore eolico sono 77.000, se ne attendono almeno 250.000 al 2030. Stesso discorso per la capacità produttiva annua di cavi, che va estesa dai 1.900 km di cavi del 2023 ad almeno il doppio entro il 2030. “Per realizzare tutto questo - conclude Cecchinato - occorre abbassare i costi attraverso l’industrializzazione, che significa soprattutto standardizzazione. L’eolico offshore è ancora una storia europea ma la competizione dalla Cina sta diventando forte. I produttori cinesi offrono prezzi più bassi e condizioni molto vantaggiose”. Le misure annunciate da Ursula von der Leyen nel suo ultimo discorso sullo Stato dell’Unione e che saranno contenute nel nuovo Wind Power Package dovrebbero “aiutare i Governi degli Stati membri a dare condizioni sane” - una filiera sana - in cui il settore potrà svilupparsi: dunque, privilegiare non solo la migliore offerta economica ma l’extra-valore che questi progetti possono portare e far sì che la produzione resti in Europa. E per quanto riguarda una possibile filiera italiana? “Non è un gioco da ragazzi”. Frena gli entusiasmi l’ingegner Luigi Severini, presidente iLStudio Engineering & Consulting. “C’è una pericolosa sottovalutazione del problema”. Severini parte da un dato: il nostro Paese ha solo 30 MW installati (e un obiettivo di 2,1 GW al 2030) contro i 14 GW del Regno Unito che ha un target al 2030 di 50 GW e gli 8 GW della Germania (obiettivo 2030, 30 GW). Per quanto riguarda l’eolico flottante, poi, il nostro sistema metalmeccanico è localizzato male. “La logistica industriale posizionata nell’entroterra è fuori combattimento - prosegue Severini. Occorrerebbero piastre logistiche portuali fortemente attrezzate per la movimentazione, ma i porti non possono ospitare cantieri”. Le Autorità portuali italiane non possono concedere aree per la costruzione dei floater e, in ogni caso, nelle movimentazioni privilegiano l’operatore marittimo perché genera traffico. “Dovremmo installare 6.000 turbine/anno, con una produzione che non può essere pensata in serie - conclude Severini. O il sistema industriale Italia si muove, o saremo semplicemente clienti di tecnologie e forniture estere, in primis della Cina”. Entusiasmo sì, ma dobbiamo organizzarci e strutturarci.
- Idrogeno verde e agricoltura, in Australia un progetto da 14 milioni di euro
Molte sono le applicazioni dove l’idrogeno può contribuire alla transizione e altrettanti i programmi che si stanno sviluppando a livello globale. In Australia, il progetto Good Earth Green Hydrogen and Ammonia (GEGHA) ha ricevuto un finanziamento di 23,6 milioni di dollari australiani (14,1 milioni di euro) dal governo del New South Wales. GEGHA prevede la realizzazione di un impianto di elettrolisi per la produzione di idrogeno verde in una piantagione di cotone sita nelle vicinanze della città di Moree. L’impianto, alimentato da un parco fotovoltaico da 27 MW, produrrà idrogeno verde che sarà utilizzato per le celle a combustibile che fungono da motore del sistema di irrigazione. Inoltre, sostituirà diesel e GPL impiegati nei mezzi agricoli e negli impianti per l’essicazione del cotone. Una parte dell’idrogeno sarà invece convertita in ammoniaca anidra (NH3) usata in agricoltura come fertilizzante. In particolare, sarà possibile produrne 3.800 tonnellate, che consentiranno di sostituire l’equivalente di 6.800 tonnellate di urea importata. Il programma GEGHA, realizzato in tre fasi, una volta a pieno regime consentirà di evitare ogni anno l’emissione di circa 20.000 tonnellate di CO2. Il fotovoltaico fornirà anche energia per le operazioni di sgranatura e immetterà in rete l’elettricità prodotta in eccesso. Il governo australiano ha recentemente dato il via anche alla Hydrogen Headstart, una iniziativa da 2 miliardi di dollari che ha come obiettivo lo sviluppo dell’idrogeno verde su larga scala.
- Stati Uniti, 72 milioni di dollari per elettrificare le comunità dei nativi
Quando si parla di migliorare o garantire l’accesso all’elettricità si pensa inevitabilmente ai Paesi dell’Africa subsahariana o ai piccoli Stati insulari in via di sviluppo. Eppure, il problema esiste anche negli Stati Uniti, dove molti nativi americani vivono in comunità con abitazioni ancora prive di elettricità. Un rapporto pubblicato nel 2022 dall’Office of Indian Energy del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti ha stabilito che quasi 17.000 abitazioni tribali risultano ancora prive di energia elettrica. Di queste, la maggior parte era situata negli Stati del sud-ovest e in Alaska. Soltanto nella Riserva Hopi, sita in Arizona, più di un terzo delle case sono senza elettricità. Il governo degli Stati Uniti ha lanciato un nuovo programma, con una dote finanziaria di 72,5 milioni di dollari, per sostenere l’elettrificazione in queste aree remote, dove spesso mancano anche infrastrutture adeguate. Il programma fornirà assistenza finanziaria e tecnica per la realizzazione di micro-reti, per l’installazione di pannelli solari e per collegare le abitazioni più vicine alla rete elettrica esistente. I finanziamenti potranno inoltre essere utilizzati anche per efficientare le abitazioni già elettrificate. I progetti saranno scelti in base a criteri di necessità, rischio di impatto del cambiamento climatico, nuove opportunità di lavoro. Il Piano del governo, rilasciato dopo la consultazione con le varie tribù indigene, prevede di assegnare i fondi a disposizione entro la fine del 2024.
- Edifici efficienti, in Croazia un programma per l’aggiornamento dei lavoratori
L’Unione Europea, con la discussa direttiva Case Green, ha messo al centro del percorso di decarbonizzazione l’efficientamento degli edifici. L’adeguamento del patrimonio edilizio esistente e la realizzazione di nuovi edifici NZEB (Nearly Zero Energy Building) consentirebbero infatti una notevole riduzione del consumo energetico e delle emissioni. Tali interventi, al di là degli alti costi di realizzazione, necessitano tuttavia anche di una forza lavoro adeguata, aggiornata sulle tecnologie e sui materiali richiesti dai nuovi standard. Per questo, in Croazia è stato lanciato il progetto CRO skills Reload, che agirà su tutti i segmenti del processo di ristrutturazione - dai decisori ai produttori di materiali e apparecchiature, dai progettisti ai fornitori di servizi energetici - per migliorare la conoscenza delle nuove tecnologie. Realizzato dalla Facoltà di ingegneria civile dell’Università di Zagabria, dal Croatia Green Building Council, dalla Camera croata dei commercianti e dell’artigianato e dall’Associazione nazionale delle scuole professionali, il progetto ha come obiettivo di attivare una Piattaforma Nazionale di Qualificazione e strutturare percorsi per la formazione permanente. Un’analisi svolta dai promotori ha infatti mostrato la mancanza di lavoratori qualificati e una conoscenza insufficiente delle tecnologie connesse all’efficienza energetica. In particolare, secondo una stima del Croatia Green Building Council, la Croazia avrà bisogno ogni anno di circa 30.000 lavoratori edili qualificati per raggiungere entro il 2030 i propri obiettivi di efficienza nel settore degli edifici, mentre il 40 per cento degli artigiani ha dichiarato di non conoscere a sufficienza le nuove tecnologie. In Croazia, dove nel periodo 2014-2020 è stato riqualificato energeticamente solo lo 0,7 per cento del patrimonio edilizio su base annua, oltre il 30 per cento degli edifici appartiene ancora alla categoria con la peggiore prestazione energetica.
- Fotovoltaico made in Australia: fondi per sviluppare un’industria autoctona
L’energia solare occupa una quota sempre crescente nel mix energetico australiano. Questo ruolo chiave nella generazione elettrica necessita però di un contestuale sviluppo di un’industria nazionale dei componenti, ora in gran parte provenienti dalla Cina, per migliorare così la catena di approvvigionamento. A questo proposito l’Australian Renewable Energy Agency (ARENA) ha annunciato una nuova sovvenzione di 540.000 dollari all’Australian PV Institute (APVI) per studiare le opportunità di una produzione nazionale a supporto del solare fotovoltaico. In particolare, il progetto Silicon to Solar (S2S) fornirà una valutazione tecnico-economica della produzione di lingotti, wafer, celle, moduli solari per determinare se una industria autoctona può essere competitiva in termini di costi, così da soddisfare la futura domanda. Nell’ambito dello studio, APVI lavorerà a stretto contatto con tutte le parti interessate per identificare gli ostacoli tecnici, commerciali, normativi e sociali all’aumento di una produzione nazionale. Secondo il rapporto Integrated System Plan dell’Australian Energy Market Operator, l’Australia dovrà costruire altri 120 GW di solare entro il 2050, quattro volte la capacità attualmente installata. Il Paese, che già rappresenta uno dei maggiori produttori di materie prime per il fotovoltaico, con il progetto S2S vuole migliorare anche la propria industria di componenti e tecnologie. ARENA ha fino ad oggi stanziato 41,5 milioni di dollari per la ricerca e lo sviluppo sul solare fotovoltaico.
- Costa d’Avorio, in arrivo la più grande centrale a biomasse dell’Africa Occidentale
Lo sviluppo della generazione rinnovabile in Africa sembra, almeno sulla carta, aver imboccato la strada giusta. In Costa d’Avorio, grazie a un finanziamento di 35 milioni di euro dell’Emerging Africa Infrastructure Fund prenderà il via la realizzazione della più grande centrale elettrica a biomasse dell’Africa occidentale. L’impianto, con un investimento previsto di 237 milioni di euro, avrà una capacità di 46 MW e nei suoi 25 anni di vita stimata consentirà di evitare l’emissione di 4,5 milioni di tonnellate di CO2. Situato ad Ayebo, a circa 100 km a est della capitale ivoriana, per alimentare le turbine utilizzerà 520.000 tonnellate di residui agricoli che altrimenti verrebbero scartati, in particolare foglie e rami di palma. Le ceneri dei residui lavorati saranno conferite agli agricoltori e utilizzate come fertilizzante naturale per le colture. L’80 per cento della biomassa sarà fornita da circa 12.000 coltivatori locali presenti nel raggio di 60 km intorno all’impianto, che potranno così diversificare le proprie entrate e vedere il reddito aumentare anche del 15 per cento. L’elettricità prodotta, immessa nella rete da 90 kV tramite una stazione di connessione, potrà soddisfare il fabbisogno elettrico equivalente di 1,7 milioni di persone. La centrale di Ayebo, la cui realizzazione porterà 500 nuovi posti di lavoro, consentirà di migliorare la sicurezza energetica del Paese e l’accesso all’elettricità nelle zone rurali, dove il tasso di elettrificazione è pari al 38 per cento. Il governo della Costa d’Avorio si è posto come obiettivo di avere entro il 2030 il 45 per cento di energia prodotta da fonti rinnovabili nel proprio mix.
- Kentucky, dalle miniere di carbone ai parchi solari
Quale modo migliore di realizzare la decarbonizzazione se non quello di usare una ex miniera di carbone come sito per un impianto di energia da fonte rinnovabile? In Kentucky, uno dei maggiori produttori di carbone degli USA, hanno fatto proprio così. Nel luogo in cui insisteva una delle più grandi miniere del Paese, Starfire Mine, sarà realizzato un impianto solare - lo Startfire Renewable Energy Center - la cui costruzione si svolgerà in quattro fasi, con la prima che inizierà nel corso del 2025. Una volta completata, la centrale fotovoltaica avrà una capacità di 800 MW e permetterà di produrre elettricità sufficiente a soddisfare il fabbisogno equivalente di oltre 500.000 famiglie. Il progetto, il più grande del Kentucky per quanto concerne la generazione di energia da fonte rinnovabile, prevede un investimento di 1 miliardo di dollari e include anche la costruzione di una nuova linea di trasmissione lunga 20 miglia (circa 32 chilometri) che in futuro potrà essere collegata a un altro impianto da 1 GW. Secondo i dati forniti dalla US Energy Information Agency, nel 2022 in Kentucky si trovava ancora il 20 per cento di tutte le miniere di carbone degli Stati Uniti, subito dopo West Virginia e Pennsylvania.
- Salini (PPE): “Carburanti carbonicamente neutri? Questione di definizione”
In tema di mobilità sostenibile, l’esasperazione ideologica delle proposte radicali fatte dalla Commissione Europea potrebbe avere l’effetto drammatico di smantellare il sistema industriale europeo. Ne parla con Nuova Energia Massimiliano Salini, deputato del PPE al Parlamento Europeo, incontrato al 44° Meeting di per l’amicizia fra i popoli a Rimini. Sulla mobilità sostenibile - aggettivo che a livello europeo si traduceva in una elettrificazione obbligata e nella proposta di stop alle vendite di auto e furgoni con motore endotermico dal 2035 - l’UE manca di un approccio tecnologicamente neutrale. La limitazione a una unica soluzione non funziona, commenta Massimiliano Salini, europarlamentare del PPE. “Non tanto nei tempi - è sbagliata anche se l’avessero prevista per il 2045 - ma nei modi”. È ancora possibile rimediare a questa deficienza (intesa come insufficienza)? “Non è tardi, anzi. Abbiamo cominciato a rimediare dando un chiaro riferimento circa il contenuto specifico della definizione di carburante neutro carbonicamente, così come indicato nel Recital 11 del Regolamento sui nuovi standard di CO2 per auto e furgoni”. La medesima definizione, introdotta nell’Opinion espressa dalla Commissione Industria in merito alla prima bozza sull’Euro 7, è stata inserita anche nella trattativa in corso sulla ridefinizione degli standard di emissione al 2035 per i veicoli pesanti. “Tramite un negoziato puntuale abbiamo ottenuto che la definizione sia inserita nel testo Euro 7 anche in Commissione ENVI, che vedrà il voto decisivo a settembre. Questo precedente è in grado di condizionare a cascata l’intero processo legislativo”. La definizione di CO2 Neutral Fuel, che include anche i biofuel accanto agli e-fuel, è una novità assoluta nella normativa europea e la Commissione Europea non potrà ignorarla quando dovrà redigere gli atti delegati (il Considerando 11) sui nuovi standard di CO2. “La definizione reintroduce la neutralità tecnologica e sgretola il totem ideologico della transizione forzata all’auto elettrica imposto dal vicepresidente Frans Timmermans: l’esasperazione ideologica delle sue proposte radicali sta avendo infatti l’effetto drammatico di smantellare il sistema industriale europeo, il più green del mondo”. Il modello di sviluppo europeo, che si fonda su un mix di impatti, produce una performance ambientale molto soddisfacente. “Sotto il profilo ambientale l’Europa non è un modello da destrutturare, è un modello da seguire per ottenere un risultato migliore a livello mondiale”. La neutralità tecnologica non è altro che una competizione sana tra tecnologie che concorrono alla realizzazione del medesimo obiettivo: una mobilità sempre meno impattante dal punto di vista ambientale. “Contestiamo la logica secondo la quale l’unica mobilità sostenibile sia quella elettrica. Questo fa male anche alla mobilità elettrica, in quanto ne riduce la progressione verso forme ancora più sostenibili di quelle attuali”. Tra pochi mesi si conclude il mandato di questa Commissione. “Per come stanno procedendo certe partite, sono fiducioso che qualche risultato potrà essere portato a casa già prima della fine del mandato. Qualora un negoziato non si concludesse per tempo - e a volte è quasi meglio - col nuovo mandato in alcuni casi di fatto si ricomincerà da capo. Non è sempre un male: alcune proposte in materia di transizione all’interno del Green Deal sono talmente mal poste che è meglio ripartire da capo”. Ripartire da capo, ma non da zero: con cognizione di causa, avendoci lavorato a lungo. Una salita dove non mancano i punti di conforto. L’Autorità australiana per la concorrenza e i consumatori - grossomodo l’equivalente del nostro Garante - ha messo in guardia le case automobilistiche dall’usare l’espressione «emissioni zero» per le auto elettriche. [LEGGI LA NOTIZIA] Sebbene sia vero che una vettura elettrica produce zero emissioni da combustione durante la guida, l’espressione non tiene conto delle emissioni generate durante il processo di produzione o durante la ricarica. E rischia di creare l’impressione che il veicolo produca zero emissioni per tutto il suo ciclo di vita e di ingannare quindi i consumatori. Arriveremo ad un simile traguardo anche in Europa? “Questa notizia che non conoscevo mi conforta, perché è un’affermazione di grande buon senso che va a toccare il punto: definire emissioni zero significa non tener conto né del ciclo di vita né del veicolo”. Fatto pace con le emissioni zero, ci sarebbero anche le polveri sottili rilasciate da freni e pneumatici (su cui si dovrebbe concentrare il prossimo e dibattutissimo standard Euro 7). “Sul tema degli pneumatici abbiamo proposto di adeguarsi alle norme di sintesi proposte dall’UNECE (la Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite, ndr) e sul tema dei freni abbiamo lavorato al fine di rendere realistici e razionali i target suggeriti nella proposta di Euro 7”. Nel settore dei trasporti, oggettivamente si sta ancora finendo di implementare il test su strada per le emissioni reali dell’Euro 6 e si sta già negoziando la proposta Euro 7. “È l’ultima provocazione della Commissione, che sembra non farsi mai bastare nuovi obiettivi in un comparto che sta già performando molto. Il testo è un pasticcio normativo, con target insostenibili imposti alle case produttrici a fronte di benefici ambientali irrisori”. “È completamente da riscrivere e in Commissione Industria lo abbiamo di fatto riscritto. Sul testing abbiamo soluzioni alternative, sugli obiettivi di emissione abbiamo suggerito tempistiche differenti, sugli pneumatici abbiamo proposto nuovi target. Anche sulla timeline - che è la parte più importante - abbiamo ridefinito integralmente la proposta”. Il testo licenziato a luglio in ITRE prevede di rinviare fino a 5 anni l’entrata in vigore dell’Euro 7, lo allinea agli standard ONU sui pneumatici, mantiene le condizioni di test Euro 6 per i mezzi pesanti e ne esclude di irrealistiche sui leggeri infine modifica i limiti delle emissioni per i furgoni. Decidere non solo l’obiettivo di carattere ambientale ma anche la tecnologia sembra dunque essere il grosso errore culturale che l’istituzione pubblica europea - ma non solo - sta compiendo: non solo indicare qual è il problema da risolvere, ma imporre la soluzione. “Noi portiamo avanti un modello di sviluppo che nel suo complesso ha a cuore l’intero e non solo il particolare. E che anche nel particolare ha prodotto performance che sono eccellenze a livello mondiale”.
- Cattura della CO2, nei Balcani e in Grecia tre progetti premiati dalla UE
Una delle soluzioni per decarbonizzare l’industria, soprattutto quella cosiddette hard to abate, è rappresentata dall’applicazione di tecnologie di Carbon Capture and Utilisation (CCU) e di Carbon Capture, Utilisation and Storage (CCUS). All’interno dell’Innovation Fund, l’UE ha recentemente annunciato i 41 vincitori del terzo bando per progetti di tecnologia pulita che beneficeranno di 3,6 miliardi di euro di finanziamenti. Tra i progetti, che entreranno tutti in funzione prima del 2030 e che consentiranno già nei primi dieci anni di attività di evitare l’emissione di 221 milioni di tonnellate di CO2, tre riguardano impianti situati nei Balcani. 127 milioni di euro andranno a finanziare il progetto IRIS - Innovative low carbon idrogeno and methanol product by large Scale captur , in Grecia - che prevede la cattura della CO2 nell’unità di reforming del metano. Una volta combinata con idrogeno verde, l’anidride carbonica sarà utilizzata per la produzione di e-metanolo, vettore energetico a basse emissioni di carbonio. Sempre nel Paese ellenico, la UE sosterrà il progetto IFESTOS, che prevede la produzione di cemento a zero emissioni di carbonio grazie a tecnologie di ossicombustione di prima e seconda generazione e di cattura criogenica post-combustione. Si prevede che consentirà di evitare circa il 98,5 per cento delle emissioni di gas serra dell’impianto; la CO2 catturata sarà quindi liquefatta e trasportata in un sito di stoccaggio permanente nel Mediterraneo. Terzo beneficiario è il progetto KOdeCO net zero, in Croazia, che mira a creare la prima catena CCS end-to-end nel Paese. Anche in questo caso, la CO2 catturata nell’impianto di Koromačno dovrebbe essere inviata al primo deposito geologico offshore permanente nel Mar Mediterraneo. KOdeCO è un dimostratore industriale su larga scala della tecnologia Cryocap™ adattata alla cattura diretta dei fumi di produzione del clinker nella parte superiore del preriscaldatore. Questa soluzione permette un risparmio di elettricità fino al 20 per cento, minori emissioni, maggiore efficienza di captazione, circolarità della condensa e ridotto consumo di acqua, con l’obiettivo di produrre cemento carbon free entro il 2028.
- Anche gli USA riciclano le turbine eoliche: dal DOE 5 milioni di dollari
Come nel resto del mondo, anche negli Stati Uniti è previsto un considerevole sviluppo degli impianti eolici, al fine di traguardare gli obiettivi di decarbonizzazione del Paese al 2050. Espansione che deve portare a considerare in modo proattivo e sostenibile l’intero ciclo di vita delle turbine, dalla loro installazione al loro smantellamento. Il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti (DOE) ha promosso un concorso da 5,1 milioni di dollari per sviluppare un’industria per il riciclo delle turbine dismesse. Se circa il 90 per cento del corpo di una turbina eolica è composto da materiali che possono già essere riciclati commercialmente, alcune parti realizzate o rinforzate con fibra di carbonio o di vetro o con minerali critici (come neodimio e disprosio) non hanno invece ancora la possibilità di essere riciclati in strutture presenti sul territorio americano. L’ufficio per le tecnologie e per l’energia eolica del DOE ha quindi dato il via al Wind Turbine Materials Recycling Prize, parte del più ampio programma American-Made Challenge, per sviluppare nel Paese un’industria per il riciclo sostenibile di queste componenti e promuovere la collaborazione tra imprenditori, ricercatori ed esperti. Obiettivo del Wind Turbine Materials Recycling Prize è adottare da altri settori tecnologie di riciclo commercialmente mature e migliorare la sicurezza energetica interna riducendo la dipendenza del Paese dall’importazione di materiali. Il concorso prevede due fasi, che si svilupperanno nel 2023 e 2024: Initiate! per la presentazione dei progetti, e Accelerate! per la realizzazione di prototipi e dimostrazione su vasta scala della tecnologia applicata. Al termine della prima fase saranno selezionati 20 progetti, sei dei quali parteciperanno alla seconda che prevede, oltre a un premio in denaro, la possibilità di lavorare in sinergia con i ricercatori del DOE.
- Uzbekistan, 125 milioni di dollari per digitalizzare la rete elettrica
Per ottimizzare la generazione da fonti rinnovabili sono necessarie prima di tutto adeguate infrastrutture, a partire da quelle di distribuzione. Reti che purtroppo sono totalmente mancanti in molti Paesi in via di sviluppo. L’Asian Development Bank (ADB) ha approvato un prestito di 125 milioni di dollari per migliorare la rete di trasmissione elettrica dell’Uzbekistan, l’efficienza energetica e una maggiore integrazione delle FER nel mix del Paese. Il progetto Digitalize to Decarbonize - Power Transmission Grid Enhancement prevede infatti la digitalizzazione della rete di trasmissione con moderne linee ad alta tensione e sottostazioni pronte per essere collegate a un sistema di supervisione, controllo e acquisizione dati (SCADA). Questo consentirà di acquisire dati storici e in tempo reale, permettendo una migliore gestione dell’approvvigionamento energetico e di ridurre il numero di interruzioni non programmate, aumentando l’efficienza della rete. In particolare, il progetto finanziato da ADB consentirà di ammodernare 12 linee di trasmissione in sette regioni del Paese asiatico - Bukhara, Fergana, Kashkadarya, Samarkhand, Surkhandarya, Navoi e Tashkent - per una lunghezza totale di 359 chilometri. Saranno inoltre rimodernate anche quattro sottostazioni da 200 kV a Faizabad, Obi-Khaet, Zafar e Zarafshan, così da poter soddisfare il previsto aumento della domanda elettrica. L’Uzbekistan è entrato a far parte dell’Asian Development Bank nel 1995; da allora, ADB ha concesso al governo di Tashkent sovvenzioni e prestiti per 10,8 miliardi di dollari. Fondata nel 1966, ADB conta 68 membri, di cui 49 dell’area Asia e Pacifico.
- Europa unita? Nuove energie per il vecchio continente
A meno di un anno dalle elezioni europee, nel ricco programma del Meeting per l’amicizia fra i popoli un incontro per capire l’orientamento culturale e politico delle istituzioni del Vecchio Continente nei prossimi anni. Conoscere per decidere: è questo lo scopo dell’evento aperto da un videomessaggio di Roberta Metsola, presidente del Parlamento Europeo. “Il titolo del Meeting rappresenta una positiva provocazione - esordisce Roberta Metsola - in un momento in cui il mondo è più instabile, polarizzato e si trova ad affrontare prove sfidanti. Vogliamo cogliere l’opportunità che queste sfide offrono alla nostra Europa, perché non sono le sfide a definire il nostro tempo, ma come risponderemo ad esse. L’Unione Europea è anche una storia di amicizie personali: riconoscere nell’altro un’opportunità piuttosto che un ostacolo, per realizzare insieme un progetto di bene. Spetta a noi tradurre questa aspirazione in politiche concrete”. “Quando parliamo di Europa sono di più i distinguo, le delusioni e le contrapposizioni rispetto ai momenti di adesione e di condivisione“. Parte da questo dato di realtà l’intervento di Enzo Moavero Milanesi, professore di Diritto dell’Unione Europea all’Università Luiss Guido Carli. La capacità di autorità europea si è affievolita. Soprattutto di fronte a grandi sconvolgimenti, l’Europa arranca e il motivo forse va cercato nell’ imperfetto assetto dell’Unione. “L’Europa non è una federazione né una confederazione ma una organizzazione internazionale e questo - sostiene Moavero Milanesi - non è un fatto secondario. Non ha una vera e propria Carta costituzionale (una Costituzione con la C maiuscola) né ha una costituzione strutturale. Rimane un club di Stati”. Una delle paure dei cittadini europei è quello che sui temi fondamentali si perda la sovranità nazionale. Quale governance è necessaria affinché si formi una idea di Europa unita permettendo al contempo di valorizzare la volontà popolare? “Per trattare adeguatamente un tema rischioso come quello che è stato posto - una unità possibile e convergente all’interno di una comunità di popoli così diversi - bisogna decidere se la complessità sia un difetto o elemento di ricchezza. Quando è nato il progetto europeo, qualcuno ha deciso che quella diversità non fosse un ostacolo ma una base su cui fondare un disegno unitario”. Si presenta con questa provocazione Massimiliano Salini, deputato al Parlamento Europeo per il PPE. Da quale punto di vista si sta di fronte a questa complessità? Quel punto - secondo Salini - si chiama uomo. “Partire dall’uomo per arrivare all’ipotesi politica e non il contrario. È l’ordine dei fattori che va valutato attentamente. Costruire un progetto che parta da una idea di uomo libero”. E sull’intervento delle istituzioni nella vita economica di un Paese, fa una precisazione: il problema non sta nel decidere di sostenere un determinato modello e mettere a disposizione danaro per questo, ma stabilire il modo univoco in cui devono essere tassativamente usati quei soldi. Un vincolo che tarpa le ali alla libera creatività dei tanti talenti presenti nella società civile. “La distinzione non si pone tra presenza o meno dello Stato nella vita economica di un Paese – presenza sopportabilissima e spesso necessaria - ma il punto sta nel capire se lo Stato, pur quando finanzia, si fida della capacità dell’uomo di usare bene quel danaro”.