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  • Una e-car con una carica di… essence!

    Parlando di Ford e di fragranze viene naturale pensare alle creazioni del famoso stilista statunitense. Questa volta invece la nuova Eau de perfume è un progetto della Motor Company. Per promuovere la Mustang Mach elettrica, Ford ha proposto ai propri acquirenti un gadget innovativo: il profumo alla… benzina. Presentata durante il Goddwood Festival of Spees, l’annuale incontro per appassionati di motori che si svolge nel West Sussex inglese, la nuova Ford Mustang Mach-E GT è sportiva, tecnologica e completamente elettrica. Un prodotto di qualità con ottime prestazioni e con un occhio di riguardo all’ambiente. Con una piccola mancanza che lascia nel cuore degli automobilisti una sensazione di vuoto. Non solo nel cuore, ma anche nel naso: l’odore pungente di benzina! Una fragranza considerata tra i profumi più allettanti, al pari di quello dei libri nuovi e ancora più buono di quello di vino o di formaggio. Secondo un sondaggio condotto da Ford Europe, un automobilista su cinque ritiene che l’elemento di cui sentirà maggiormente la mancanza passando all’elettrico è proprio l’odore del carburante. Così, oltre alla Mach-E è stata messa in produzione anche la Mach-Eau, per la gioia degli annusatori seriali ben contenti di farsi prendere per il naso. Il profumo è pensato per invogliare gli automobilisti ancora restii sull’uso dell’elettrico e per offrire ai clienti Ford un omaggio di fascia alta. La fragranza, creata dalla profumeria britannica Olficion, al momento non è in vendita e non si conoscono i tempi previsti per la commercializzazione. Ma la boccetta contiene veramente carburante fresco dal benzinaio? Non proprio. Il profumo presenta aromi di mandorla simili all’odore emanato all’interno delle auto e una sostanza (para-cresolo) che richiama l’odore di gomma degli pneumatici, oltre a ingredienti più classici come lavanda, zenzero, legno di sandalo e pepe. Come tocco finale, un elemento non meglio specificato che, a detta di Ford, richiama il mondo animale e selvaggio, in particolare quello dei cavalli; giustamente, trattandosi di una Mustang. Forse un po’ vaga come descrizione per un profumo top di gamma non in commercio, ma si sa, a caval donato…

  • Delfanti (RSE): “Con la mobilità elettrica 150 GWh disponibili per servizi al sistema”.

    Di fronte a uno scenario che comporterà necessariamente trasformazioni rapide e complicate del sistema elettrico, la mobilità può e deve giocare un ruolo da protagonista se, come stima il PNIEC, nel 2030 saranno oltre 5 milioni i veicoli elettrici in movimento sulle strade italiane. E, soprattutto, ci saranno 5 milioni di veicoli che rimarranno fermi diverse ore - giorno e notte - assumendo un ruolo di accumulatori su ruote a servizio del sistema. Una potenzialità, quindi, tutta da sfruttare. Questo è solo uno dei tanti spunti emersi durante l’evento (finalmente in presenza) Change and charge. La mobilità sostenibile per il viaggio nella transizione ecologica organizzato da RSE - Ricerca Sistema Energetico, seguito dall’inaugurazione dell’ area sperimentale per la ricarica dei BEV. L’infrastruttura è costituita da 27 colonnine (24 presso la sede RSE di Milano, 3 a Piacenza) prodotte da 5 partner industriali differenti - per verificare l’interoperabilità con il sistema di ottimizzazione e l’utilizzo degli standard - e gestite da un sistema centralizzato. “Con questo progetto – ha dichiarato Maurizio Delfanti, CEO di RSE – abbiamo voluto valutare e dimostrare la fattibilità e la convenienza per un’azienda di elettrificare la propria flotta e di come la mobilità sostenibile può offrire flessibilità al sistema elettrico”. “Tenendo conto della sola ipotesi più realistica – ha continuato Delfanti - nel 2030 la capacità di accumulo disponibile grazie alle BEV sarà di 150 GWh su base settimanale”. Uno scenario che presuppone però un deciso upgrade dell’infrastruttura di ricarica, che dovrebbe poter contare su 3 milioni di wallbox private e 250.000 pubbliche (tra ricarica lenta e volce), e una loro complementarietà.

  • Nucleare e teleriscaldamento? Decarbonizziamo!

    Nella provincia cinese di Shandong la centrale nucleare di Haiyang ha iniziato a fornire calore alla rete cittadina, con un risparmio annuo di 60.000 tonnellate di CO2 e 23.000 tonnellate di carbone. Mentre la Commissione Europea sta decidendo se l’energia nucleare possa rientrare nella sua tassonomia verde (che intende favorire gli investimenti considerati sostenibili), la China Nuclear Energy Association (CNEA) ha annunciato che la centrale nucleare di Haiyang, situata nella provincia settentrionale di Shandong ha iniziato a fornire calore per la rete di teleriscaldamento. Avviato nello scorso inverno, nell’ambito del piano quinquennale (2017-2021) rilasciato dalla National Energy Administration, questo primo progetto di nuclear district heating riscalderà inizialmente 700.000 metri quadri di edifici, tra pubblici e residenziali, oltre ai locali a servizio di Shandong Nuclear Power Company (SDNPC), società statale proprietaria della centrale. In particolare, il sistema progettato estrae vapore non radioattivo dal circuito secondario delle due unità Haiyang AP1000 che, grazie a uno scambiatore di calore multistadio, viene convogliato in due stazioni di scambio termico (una in loco e una fuori dalla centrale) riscaldando l’acqua immessa nella rete di riscaldamento cittadino, permettendo così di risparmiare ogni anno 60.000 tonnellate di anidride carbonica e l’utilizzo di oltre 23.000 tonnellate di carbone. A regime, entro la fine del 2021, grazie a questo sistema sarà riscaldata l’intera città di Haiyang, che diventerà un modello per le aree settentrionali della Cina. Non solo; secondo SDNPC, apportando lievi modifiche alle unità 1 e 2 della centrale – che forniscono alla rete 20 TWh di elettricità l’anno - si potrebbe arrivare a ottenere capacità sufficiente per riscaldare 30 milioni di metri quadri di edifici. Una volta completate le altre unità in realizzazione, l’impianto potrà fornire calore a oltre 200 milioni di metri quadri di abitazioni entro un raggio di 100 chilometri, evitando l’utilizzo di oltre 6 milioni di tonnellate di carbone. Tutto questo mentre il Joint Research Centre (JRC), chiamato dalla Commissione a esprimere un parere, afferma nel suo rapporto - non ancora pubblicato ufficialmente ma già di dominio pubblico - che l’energia nucleare può essere classificata come pulita e che l’impatto sulla salute umana è da considerare come il più basso in assoluto, insieme a quello del fotovoltaico. Aprendo - forse - a nuovi interessanti scenari.

  • Al via in Africa un nuovo parco solare da 5 GW

    A margine del recente vertice dei leader sul clima, il governo americano ha annunciato la firma del memorandum d’intenti (MOI) per la realizzazione del progetto Mega Solar, un nuovo parco solare che sarà costruito in collaborazione tra Botswana e Namibia. Finanziato all’interno dell’iniziativa Power to Africa dall’U.S. Agency for International Development (USAID), dall’African Development Bank, dall’International Bank for Reconstruction and Development (BIRS) e dall’International Finance Corporation (IFC), il nuovo parco solare dovrebbe generare fino a 5 GW consentendo il risparmio di circa 6,5 ​​milioni di tonnellate di CO2 l’anno. Una volta operativo, entro il 2030, si stima che Mega Solar genererà migliaia di posti di lavoro sia direttamente che indirettamente e consentirà a Namibia e Botswana, dopo una prima fase che prevede la produzione di energia per soddisfare la domanda interna, di esportarla nella regione dell’Africa meridionale. L’iniziativa Power to Africa, istituita dall’Electrify Africa Act del 2013, vuole contribuire alla crescita economica della regione dell’Africa meridionale, a combattere il cambiamento climatico attraverso un migliore accesso all’elettricità pulita, affidabile e conveniente. Dal 2013 Power to Africa, grazie a investimenti pari a 22 miliardi di dollari, ha già collegato più di 20 milioni di abitazioni e aziende a soluzioni on-grid e off-grid, portando per la prima volta elettricità a 98 milioni di persone in tutta l’Africa sub-sahariana.

  • Il gas naturale in aiuto alla Nuova Zelanda?

    I dati rilasciati dal Ministry for Business, Innovation and Employment (MBIE) della Nuova Zelanda hanno mostrato come nel 2020 le rinnovabili hanno rappresentato il 40 per cento circa della produzione energetica del Paese; tra queste il geotermico con il 22 per cento e l’idroelettrico con il 10 per cento. Il resto è stato generato in maggior misura da petrolio, con il 32 per cento e dal gas naturale con il 20 per cento; circa il 7 per cento quella generata con il carbone. I dati del secondo trimestre del 2021 hanno però mostrato un raddoppio della produzione da carbone rispetto lo stesso periodo del 2020 evidenziando, secondo l’Energy Resources Aotearoa (ERA) – associazione che rappresenta i produttori di petrolio, gpl e gas naturale della Nuova Zelanda – una carenza di energia nel Paese e la necessità di sviluppare la produzione di gas naturale come un’alternativa a basse emissioni di carbonio. Anche la Gas Industry Company e la Climate Change Commission si sono dette d’accordo che saranno necessari maggiori investimenti nella produzione di gas naturale per non dipendere ulteriormente in futuro da importazioni costose e ad alta emissione come il carbone e fornire energia affidabile e conveniente nel percorso di transizione energetica.

  • Da sole e vento il 30 per cento dell’energia del Vietnam nel 2030

    Il Sud Est asiatico è una delle zone dove negli ultimi anni maggiore è stato lo sviluppo dell’ energia solare, con il Vietnam a guidare la classifica, grazie anche alle particolari tariffe incentivanti. Nel Paese sono stati infatti realizzati impianti fotovoltaici per 5 GW, superando l’obiettivo di 1 GW al 2020 e costituendo circa il 13 per cento dell’elettricità prodotta. Obiettivi più ambiziosi sono ora stati definiti dal Ministero dell’Industria e del commercio (MOIT) nel VIII Power Development Plan (PDP), che riguarda il periodo 2021-2030, con una prospettiva al 2045: il Piano prevede come priorità lo sviluppo delle fonti rinnovabili e l’attrazione di nuovi investimenti. In particolare, l’VIII PDP stima che entro il 2030 le risorse elettriche del Vietnam raggiungeranno 132 GW; di questi, il 27 per cento saranno generati da impianti a carbone, il 21 per cento da gas, il 18 per cento da energia idroelettrica, il 29 per cento da energia eolica e solare e il 4 per cento da importazioni. Sempre secondo il MOIT, attualmente gli impianti a carbone coprono circa il 35 per cento della capacità di generazione di energia elettrica del Paese.

  • Idroelettrico, la Bolivia torna a investire

    Dopo l’elezione del nuovo Presidente Luis Arce Catacora, e il conseguente ripristino di un sistema democratico nel Paese, si stanno riattivando anche alcuni progetti che consentiranno alla Bolivia di aumentare la generazione di energia da fonti rinnovabili, che secondo stime della International Energy Association (IEA) nel 2020 ha rappresentato un quarto dell’elettricità prodotta. Il governo ha infatti avviato il Piano elettrico al 2025, che prevede investimenti per 30 miliardi di dollari per aumentare la capacità elettrica e l’espansione della rete, in modo da dare accesso all’elettricità anche a quella parte di popolazione rurale - il 12 per cento circa - che ancora ne è sprovvista. A riguardo, il ministro degli Idrocarburi e dell’energia Franklin Molina ha sottolineato che la politica energetica della Bolivia si baserà su sette pilastri: sicurezza, sovranità, universalizzazione, integrazione ed efficienza energetica, industrializzazione e rafforzamento del settore, con investimenti che riguarderanno anche la produzione di diesel rinnovabile e idrogeno verde. Tra i progetti riattivati, i principali riguardano il settore idroelettrico. In particolare, sono ripresi i lavori per la centrale idroelettrica di Ivirizu, nel dipartimento di Cochabamba, che genererà 290 MW, e quella di Miguillas, nel dipartimento di La Paz, con una capacità prevista di 204 MW. Il ministro Molina ha inoltre anticipato che l’elettricità in eccesso, grazie al previsto aumento della produzione energetica, sarà esportata verso altri Paesi del Sud America, in particolare l’Argentina, traducendosi in maggiori entrate e in un vantaggio economico per la Bolivia.

  • La Scozia aiuta la transizione energetica con 72 milioni di euro!

    Attraverso l’Energy Transition Fund, un piano quinquennale varato nel giugno 2020, il governo scozzese ha stanziato 62 milioni di sterline (oltre 72 milioni di euro al cambio attuale) per sostenere la crescita e la diversificazione dei settori del petrolio, del gas e dell'energia, contribuendo allo stesso tempo ad attrarre ulteriori investimenti privati e la creazione di posti di lavoro. All’interno di questo pacchetto, il Governo ha ora stanziato 26 milioni di sterline (poco più di 30 milioni di euro) per la realizzazione di una Energy Transition Zone (ETZ) ad Aberdeen, nel nord est del Paese. La zona, progettata perché diventi un hub per l'energia pulita con la realizzazione di nuove infrastrutture, sia eoliche sia per lo sviluppo dell’uso dell’idrogeno, dovrebbe portare alla creazione diretta di 2.500 nuovi posti di lavoro entro il 2030, oltre ad altri 10.000 legati in qualche modo alla transizione energetica. L’Energy Transition Zone sarà situata adiacente al rinnovato porto meridionale di Aberdeen, e le attività includeranno la produzione, lo smistamento e l'assemblaggio dell'eolico offshore, impianti per la produzione dell'idrogeno verde, impianti per il rifornimento trimodale, oltre a un centro di ricerca per l’eolico offshore galleggiante e un Energy Skills Academy Hub. “La nostra ambizione – ha dichiarato Maggie McGinlay, CEO di ETZ Ltd - è quella di trasformare la regione in un cluster energetico integrato a livello globale, focalizzato sull'accelerazione verso lo zero netto con un programma di ampio impegno con le comunità locali e le imprese per garantire che le ambizioni della regione siano sviluppate in linea con le esigenze della comunità, dell'industria e degli investitori”. Oltre a ETZ i principali progetti finanziati dall’Energy Transition Fund riguardano il Global Underwater Hub (per lo sviluppo delle attività subacquee), il Net Zero Solution Center, il progetto Acorn (per la produzione di idrogeno da gas naturale e la cattura e lo stoccaggio della CO2 ) e l’Hydrogen Hub (per l’utilizzo dell’idrogeno nel settore dei trasporti).

  • Lo shale oil argentino riprende la sua corsa

    Anche una delle più grandi riserve di petrolio di scisto (shale oil) al mondo, Vaca Muerta in Argentina, ha risentito della crisi determinata dal Covid-19, con la conseguente diminuzione dei consumi energetici. Nel mese di giugno 2020, quando le restrizioni causate dalla pandemia erano ancora molto stringenti, si erano infatti effettuate solo 196 operazioni di fratturazione, con una produzione di soli 90.000 barili al giorno. Dopo un anno, a suggellare i segnali di una ripresa economica a livello globale, le attività estrattive sembrano ritornate a condizioni ante virus. A giugno 2021 si è registrata infatti una ripresa delle attività con ben 532 operazioni e, man mano che i prezzi del petrolio si avvicinano ai livelli pre-pandemia aumenta la probabilità che Vaca Muerta amplierà la produzione di shale gas e shale oil. Esteso su un'area di 30.000 km² nella regione di Neuquen, nella Patagonia settentrionale, il bacino ospita la seconda più grande riserva di gas di scisto e la quarta più grande riserva di petrolio di scisto al mondo. Gestita da Yacimientos Petrolíferos Fiscales Sociedad Anónima (YPF), la compagnia petrolifera e del gas statale argentina, Vaca Muerta ha raggiunto un record di 124.000 barili al giorno (bpd – barrels per day) neldicembre scorso e, secondo le stime della società di consulenza Rystad Energy, la produzione potrebbe raggiungere i 145.000 – 150.000 bpd.

  • La Corea del Sud aggiunge 21 MW alla sua generazione eolica

    Una delle azioni del governo di Seul per arrivare a coprire il 20 per cento di elettricità da fonti rinnovabili entro il 2030, è rappresentata dallo sviluppo dell’energia eolica. A Taebaek, nella regione di Gangwon-do che ha una delle condizioni di vento migliori della Corea del Sud, è stato ora realizzato un nuovo parco eolico da 21 MW. Realizzato dalla società americana Eurus Energy Group, che gestisce altri tre parchi eolici nel Paese per un totale di 177 MW, Samsu Wind Power è composto da cinque turbine eoliche da 4,5 MW ed è il primo nel Paese ad utilizzare turbine di questa taglia in un'area montuosa sopra i 1.000 m di altitudine. Nell’incontro del 6 luglio scorso con Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo della Commissione europea per il Green Deal, Moon Sung Wook, ministro del Commercio, dell'industria e dell'energia sudcoreano ha posto intanto l’attenzione sulla necessità di espandere la cooperazione in atto per poter raggiungere gli obiettivi al 2050; in primo luogo, dando maggiore slancio allo sviluppo dell’idrogeno verde.

  • In soli cinque anni la Danimarca abbatte le emissioni di CO2 del 34 per cento

    L’ultimo Energy and Climate Outlook (DECO20) rilasciato dalla Danish Energy Agency ha evidenziato ulteriormente come il Paese nordeuropeo sia ormai avviato a raggiungere l’obiettivo dell’indipendenza da combustibili fossili nel 2050; forse, anche con anticipo rispetto ai tempi previsti. I dati mostrano infatti che nel 2020 la quota di energia generata da eolico e solare è stata poco più del 50 per cento e si stima che già nel 2030 la produzione da fonti rinnovabili sarà sufficiente a coprire tutto il consumo della Danimarca. Una crescita spinta anche dagli ambiziosi Piani del governo danese, che includono ad esempio la creazione di due vere e proprie isole energetiche, che amplieranno la capacità della Danimarca fungendo da hub per parchi eolici offshore. In particolare, un’isola artificiale sarà realizzata nel Mare del Nord e sarà in grado di fornire 3 GW di energia, ma con un potenziale di espansione a lungo termine di 10 GW. Una seconda verrà invece creata nel Mar Baltico, al largo della costa di Bornholm, e fornirà ulteriori 2 GW di energia. Il costante aumento della generazione da rinnovabili sta ovviamente comportando anche un minore rilascio di CO2 ; sempre secondo la Danish Energy Agency, ente che fa parte del Ministero del clima, dell'energia e dei servizi pubblici, le emissioni sono calate in soli cinque anni del 34 per cento e nel solo 2020 del 12,4 per cento. Fanno, purtroppo, da contraltare i dati che arrivano dal lontano oriente: in Cina, infatti, nel 2020 le emissioni di gas serra sono aumentate dello 0,8 per cento.

  • Premiata la tecnologia multidrains per lo sfruttamento della geotermia

    L’energia geotermica, che si sprigiona sotto forma di calore della terra, spesso non viene pienamente sfruttata per temperature non ottimali o per limitata produttività del giacimento che ne rendono il progetto poco sostenibile economicamente. Proprio per incentivare le aziende a studiare soluzioni innovative e sviluppare nuovi progetti geotermici, l’European Geothermal Energy Council (EGEC), in collaborazione con Messe Offenburg, organizzatore della Fiera GeoTHERM, ha istituito l’European Geothermal Innovation Award, ora intitolato a Ruggero Bertani, già presidente di EGEC. Il prestigioso riconoscimento, che dal 2014 viene assegnato a prodotti innovativi e nuovi progetti nel campo geotermico, ha voluto premiare quest’anno l’innovativa architettura dei pozzi multidrenaggio, che può quasi raddoppiare la produttività di un giacimento geotermico. In particolare, questa tecnologia multidrains è stata progettata per produrre energia sufficiente per una nuova rete di teleriscaldamento geotermico a Velizy-Villacoublay, un comune dell’hinterland parigino dove non vi erano proprietà geologiche ottimali, e mantenere il progetto economicamente sostenibile. Per la prima volta impiegato in un progetto di geotermia profonda, il multidrenaggio, già utilizzato nell’oil&gas, permette di attraversare più volte un bacino geotermico, ne massimizza la superficie di scambio e ne aumenta la portata generale dell’80 per cento, consentendo all’impianto geotermico di fornire molta più potenza. “Questa innovazione - ha dichiarato Miklos Antics, presidente di EGEC - apre innumerevoli opportunità di sviluppo per il settore geotermico. Il fatto che possa essere facilmente replicato nei comuni di tutta Europa rende molte aree con scarsa qualità di invaso (e quindi minore capacità geotermica) nuovi possibili obiettivi”. A partire dalla fine del 2021, la nuova rete di teleriscaldamento geotermico a Velizy-Villacoublay coprirà il 60 per cento della domanda di calore, soddisfacendo il fabbisogno di riscaldamento di 12.000 abitazioni e permettendo un risparmio di 22.800 tonnellate di CO2 l’anno.

  • Brasile: entro il 2024 30 GW di capacità eolica installata

    Il 2020 può senza dubbio definirsi l’anno del vento, con ben 93 GW di nuova capacità eolica installata, grazie soprattutto a Cina e Stati Uniti. Un aumento su base annua del 53 per cento che, secondo i dati rilasciati dal Global Wind Energy Council (GWEC) nel suo Global Wind Report 2021, hanno portato a 743 GW la capacità di energia eolica nel mondo, con un risparmio di 1,1 miliardi di tonnellate di CO2. Una crescita che è stata rilevante anche in Brasile, dove la capacità installata è arrivata nel 2020 a 19 GW, pari in media al 9,97 per cento della generazione immessa nel Sistema Interconnesso Nazionale del Paese verdeoro e dove, secondo Bloomberg New Energy Finance, l’industria eolica ha investito 20 miliardi di real (oltre 3 miliardi di euro). A oggi, secondo l’Associação Brasileira de Energia Eólica (ABEEólica) sono infatti 726 i parchi eolici in funzione con più di 8.500 turbine, mentre sono già in costruzione altri impianti per una capacità di 4 GW. “Lo scorso anno - ha dichiarato Elbia Gannoum, presidente esecutivo di ABEEólica - l’eolico è stata la fonte che è cresciuta di più, rappresentando il 43,17 per cento della nuova capacità installata totale”. Nella classifica mondiale della capacità eolica stilata dal GWEC il Brasile ha mantenuto nel 2020 la settima posizione ed è stato il terzo Paese per nuove installazioni. L’Associação Brasileira de Energia Eólica stima che entro il 2024 sarà almeno di 30 GW la capacità installata nel Paese.

  • Auto, nel 2020 il 10 per cento del venduto europeo è elettrico

    Una recente indagine dell’European Automobile Manufacturers’ Association (ACEA), che rappresenta i 15 principali produttori con sede in Europa di auto, furgoni, camion e autobus, ha messo in evidenza come l’adozione di veicoli elettrici da parte dei consumatori è direttamente collegata al PIL pro capite di un Paese, sottolineando come l’accessibilità economica rimane, insieme alle infrastrutture, un problema importante. In particolare, se le auto elettriche e ibride plug-in hanno rappresentato il 10,5 per cento di tutto il venduto nuovo nell’UE nel 2020, in 10 Stati membri - quelli nei quali si trovano anche pochissimi punti di ricarica - la quota di mercato è risultata inferiore al 3 per cento. D’altro canto, sottolinea l’indagine di ACEA, un mercato superiore al 15 per cento per le e-car si trova solo nei Paesi più ricchi del Nord Europa. Questo scenario, oltre ai forti incentivi statali e uno dei prezzi dell’elettricità più bassi al mondo, fanno della Norvegia la nazione europea che, anche nel 2020, ha visto in termini percentuali il maggior numero di auto elettriche vendute. Le e-car hanno infatti rappresentato il 54,3 per cento delle vendite di veicoli nuovi nel 2020 (76.789 su un totale di nuove immatricolazioni di 141.412 unità), con un aumento del 27,3 per cento rispetto al 2019; con i veicoli PHEV (ibridi plug-in) che hanno toccato il 20,4 per cento del mercato e le ibride l’8,6 per cento. Ma se andiamo a vedere i modelli più venduti, troviamo in cima alla classifica l’Audi e-tron e la Tesla Model 3. “Per continuare verso l’obiettivo zero emission – ha dichiarato Eric-Mark Huitema, direttore generale di ACEA - la Commissione europea deve garantire urgentemente che ci siano tutte le giuste condizioni e che nessun Paese o cittadino venga lasciato indietro. I veicoli a zero emissioni devono essere accessibili e convenienti per tutti”.

  • In Albania idroelettrico e fotovoltaico (galleggiante!) viaggiano a braccetto

    Dopo aver iniziato a fornire energia alla rete nazionale nel 2016, con una produzione media annua di 255 GWh, la centrale idroelettrica di Banja, in Albania, ospita ora nel bacino idrico l’innovativo progetto di un impianto solare galleggiante. Avviato nel 2020, il progetto pilota ha visto ora il completamento della prima unità solare galleggiante che è stata connessa alla rete nazionale e iniziato a generare energia. Una volta completato, l’impianto sarà composto da quattro unità flottanti da 0,5 MW ciascuna, con una potenza installata totale di 2 MW. Le unità galleggianti sono ancorate al bacino della centrale idroelettrica e ogni unità (di 70 metri di diametro) è composta da un tubo ad anello galleggiante in polietilene e da una membrana impermeabile, sulla quale sono montate le strutture. La prima unità realizzata copre 4.000 metri quadrati e presenta 1.600 pannelli solari. “Si tratta - ha dichiarato durante la cerimonia di inaugurazione Belinda Balluku, ministro albanese delle Infrastrutture e dell’Energia - di un progetto in linea con la strategia del nostro governo per la diversificazione delle fonti energetiche rinnovabili, e l’aumento della loro capacità di generazione”. La seconda fase del progetto prevede entro la fine del 2021 l’installazione di ulteriori tre unità galleggianti con una capacità aggiuntiva combinata di 1,5 MW. L’Albania, che può contare sul maggior numero di ore di sole l’anno in Europa, ha una delle più alte quote di energia rinnovabile nel sud-est europeo; in particolare, l’idroelettrico rappresenta circa il 95 per cento della produzione di elettricità del Paese.

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