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  • Metano per i trasporti: il calo non è una buona notizia (nemmeno per l’ambiente)

    I dati dell’erogato di metano per autotrazione del primo semestre 2022 - meno 10 per cento - rendono sempre più evidenti gli effetti della crisi dovuta alle tensioni internazionali. Rispetto al 2019 il crollo arriva al 27 per cento. Serve un deciso intervento da parte delle istituzioni per salvare un settore che ha enormi potenzialità nella partita della decarbonizzazione dei trasporti. Dopo la timida ripresa del 2021, seguita alla recessione del 2020 dovuta alla pandemia, i numeri del primo semestre 2022 sui consumi di metano per autotrazione (in tutte le sue forme: CNG, BioCNG, GNL e BioGNL) fanno segnare un calo di oltre il 10 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Questo il segno drammatico che emerge dall’analisi diffusa dall’Ufficio Studi di Assogasmetano - Associazione che raggruppa le realtà che operano in Italia nell’erogazione di metano per i trasporti - con una crisi che risulta ancor più evidente se paragoniamo l’attuale erogato ai valori degli ultimi anni: rispetto al primo semestre 2019, ad esempio, il calo dei consumi arriva al 27 per cento. Nonostante le difficoltà, cresce la rete di rifornimento che a settembre ha toccato quota 1.562 distributori. Purtroppo, il grave stato di crisi dei prezzi della materia prima ha determinato alcune chiusure che - seppur provvisorie - stanno ulteriormente penalizzando i consumatori che hanno scelto il metano anche per il minor impatto ambientale. “I dati di consuntivo dei primi sei mesi 2022, uniti al fenomeno della chiusura temporanea di parecchi distributori che attualmente non sono in grado di sopportare la perdurante e pesantissima situazione di crisi - sottolinea Flavio Merigo, presidente di Assogasmetano - testimoniano l’urgenza di un deciso intervento da parte delle istituzioni, per salvare un settore che ha enormi potenzialità di decarbonizzazione nei trasporti, anche grazie all’impiego massiccio di biometano”. Ed è proprio dal biometano, un gas identico al metano fossile ma totalmente rinnovabile, che arriva qualche buona notizia. Prosegue, infatti, l’aumento della quota di biometano, ormai superiore al 30 per cento sul totale erogato, contribuendo allo stesso tempo alla riduzione delle emissioni. Si tratti infatti di gas rinnovabile prodotto a partire da biomasse agricole e agroindustriali e dalla frazione organica dei rifiuti solidi urbani, a cui tutti contribuiamo con la raccolta differenziata. A tal proposito, c’è molta attesa per l’uscita del nuovo Decreto Biometano, di cui si attende la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, che amplia il sistema di incentivazione anche in applicazione di quanto previsto dal PNRR. Anche l’Europa ci crede: non a caso nel REPowerEU Plan (finanziato con 210 miliardi di euro) il biometano diventa un importante punto di riferimento per raggiungere i target di risparmio energetico, diversificare le fonti di approvvigionamento e produrre energia pulita dagli scarti. Un eccellente esempio - concreto e virtuoso - di economia circolare.

  • Mercato auto, la ripresa non è elettrica

    I dati sulle immatricolazioni di settembre confermano la ripresa del mercato automobilistico vista ad agosto, dopo ben 13 mesi di flessioni. Sono quasi 111.000 mila le nuove vetture arrivate su strada, il 5,4 per cento in più rispetto alle 105 di settembre 2021. Considerando però il periodo gennaio-settembre, la flessione è ancora del 16,3 per cento, con 190.000 auto non acquistate rispetto allo scorso anno, che - ricordiamolo - si è attestato su valori solo di poco superiori al 2020, funestato dal dilagare della pandemia. Alla ripresa, curiosamente, non hanno contribuito le vetture elettriche e neanche le ibride plug-in, nonostante gli incentivi statali a cui si possono sommare quelli regionali e comunali di varia natura. Tra gli aiuti non monetari - ci uniamo al coro di critiche - andrebbe anche considerata la specifica e deprecabile deroga ai limiti per neopatentati. Proprio da settembre, infatti, anche i diciottenni possono guidare elettriche ed ibride plug-in senza alcun limite di potenza. Una norma di cui davvero sfugge la ratio, anche tenendo conto che, come ben sanno gli appassionati, la potenza di picco delle vetture elettriche può essere erogata per periodi non lunghissimi, ma ampiamente sufficienti per fare grandissimi danni. Del 40,1 per cento è stata la flessione per le elettriche a settembre e del 19,8 per le ibride plug-in, valori che peggiorano ulteriormente le vendite da inizio anno, rispettivamente del 23,6 e del 6,6 per cento. Valori che si commentano da soli - tanto più se si tiene conto dell’esigua quota di mercato, rispettivamente 3,6 e 4,7 per cento - e che vanno ricondotti più al mancato soddisfacimento di bisogni e aspettative dei consumatori che a problemi di produzione derivanti dall’ormai annosa mancanza di microchip e componentistica. Vanno male anche le altre alimentazioni, ma con evidenti segni di ripresa, a settembre: +15,1 per cento le auto a benzina, +6,6 quelle a gasolio, +22,5 le ibride a benzina - ormai le vetture più acquistate in assoluto - e +10,9 per cento le ibride diesel; in modesta flessione quelle a GPL e in grandissima difficoltà le vetture alimentate a gas naturale, per gli altissimi prezzi (e costi) del rifornimento. Antonio Sileo

  • Indonesia, dal calore della Terra 9,3 GW al 2035

    Quando si parla di rinnovabili è quasi automatico pensare ai parchi eolici - onshore e offshore - e agli impianti solari. Eppure, anche sottoterra si cela una forma di energia totalmente green, la geotermia, con un potenziale spesso non sfruttato in pieno. Non è così in Indonesia, dove il governo ha posto proprio lo sviluppo dell’energia geotermica come una delle priorità, fissando come obiettivo al 2035 una capacità geotermica di 9,3 GW. In particolare, l’ultimo rapporto Indonesia Power Market Size, Trends, Regulations, Competitive Landscape, and Forecast, 2022-2035 pubblicato dalla società d’analisi Global Data sottolinea come il governo di Giacarta abbia creato un fondo di 3,7 trilioni di rupie (pari a 275 milioni di dollari) per lo sviluppo di tale tecnologia e identificato oltre 300 siti per lo sfruttamento energetico in molte delle isole che compongono l’arcipelago, tra cui Sumatra, Java, Nusa Tenggara, Sulawesi e Maluku. Grazie alle nuove leggi introdotte dal governo indonesiano, inoltre, lo sfruttamento geotermico non rientra più tra le attività minerarie - attualmente vietate nelle aree forestali ad alto valore di conservazione - e sono stati introdotti bonus di produzione per i territori di localizzazione dei campi geotermici, oltre ad aste per incoraggiare la partecipazione dell’industria. Il maggiore impiego del calore della Terra potrà contribuire a raggiungere l’obiettivo del Paese di coprire il 23 per cento del proprio fabbisogno da fonti rinnovabili entro il 2060. Secondo una stima di Global Data, le riserve indonesiane sono pari a 24 GW, il 40 per cento delle risorse geotermiche mondiali. Inoltre, grazie alla geotermia l’Indonesia potrà ridurre i costi derivanti dalla dipendenza dai combustibili fossili, che nel 2021 hanno pesato per 83,7 trilioni di rupie indonesiane (IDR) e per 77,5 trilioni di IDR nei primi nove mesi del 2022.

  • Gas, tra decarbonizzazione e ideologia la situazione resta difficile

    La crisi energetica occupa da settimane le prime pagine dei quotidiani e le aperture dei telegiornali. Da più parti ci si interroga sulla situazione, per comprendere le ragioni che hanno portato a questo punto e cercare di capire come affrontare le criticità. È questo il lavoro messo in opera anche da Cdo Energia, la filiera di Compagnia delle Opere, che con il webinar Caro bolletta: le cause e i rimedi ha coinvolto tre autorevoli esperti - Lorenzo Giussani, Head of Generation & Trading A2A, Antonio Gozzi, Presidente Federacciai, e Antonello Pezzini, Segreteria tecnica del Ministro per la Transizione Ecologica - nel tentativo di dare indicazioni sull’oggi e offrire tracce di risposta sulle azioni di domani. Anche Nuova Energia ha seguito i lavori. Riportiamo (a puntate, il materiale è davvero molto ricco!) alcuni passaggi significativi. Quello dell’energia è un mercato libero, connotato da volatilità, incrementi e riduzioni. Dopo un anno - il 2020 - in cui i prezzi sono crollati, il costo della materia prima gas ha iniziato la sua corsa al rialzo dalla seconda metà del 2021, per un insieme di dinamiche che sembravano transitorie e legate all’andamento stagionale dei consumi. La situazione si è invece consolidata con l’invasione russa dell’Ucraina a fine febbraio 2022 e con la minaccia di una possibile interruzione dei flussi di gas dalla Russia, uno dei principali fornitori dell’Europa. “I russi hanno utilizzato scientemente la rarefazione del gas per finanziare la guerra - è il commento di Antonio Gozzi, Presidente Federacciai. Già da giugno 2021 sono iniziate a mancare sulle piattaforme dello spot market quantità aggiuntive di gas; una manovra finalizzata a una strategia di crescita dei prezzi e quindi di extra-profitti per Gazprom”. A ciò si è aggiunta la forte riduzione, negli ultimi anni, degli investimenti europei in ricerca di nuove sorgenti di gas, provocando una maggiore difficoltà a rispondere allo shortage artatamente creato dai russi. “L’Europa, in maniera improvvida - prosegue Gozzi - ha sposato una estremizzazione puramente ideologica della teoria della decarbonizzazione, non razionale né pragmatica”. E poi siamo arrivati alla guerra e alle sue conseguenze, con implicazioni per i consumatori date sia dalla situazione del gas, sia dall’impatto che questa fonte ha sul mercato elettrico, che funziona a prezzo marginale. Il prezzo all’ingrosso che si forma sul mercato è dato dalla risorsa marginale e oggi è dettato dagli impianti che producono energia elettrica bruciando gas, che sono inevitabilmente i più costosi. L’impennata del prezzo del gas si traduce quindi in una impennata del prezzo dell’energia elettrica. Così come per una impresa, anche per un consumatore domestico l’incremento dei prezzi dell’energia è visibile sia nelle bollette sia nei beni che acquista, con una deriva inflattiva rilevante. Da giugno 2021 in poi è stata una escalation, e su tutte le escalation si innestano meccanismi di mercato, definibili speculativi fino a un certo punto. “Una delle ragioni che ha provocato il balzo del gas è che molti si sono coperti rispetto a future crescite del prezzo: quando ci sono aspettative rialziste, utility o grandi sistemi industriali comprano gas a termine per coprirsi rispetto a futuri aumenti. Sono comportamenti che tecnicamente vengono definiti di hedging, se volete possiamo definirli processi speculativi. Certo è che il meccanismo è autopropulsivo”. Dal punto di vista di equilibrio del sistema, oltre a quello dei costi si pone il problema di brevissimo termine legato alla disponibilità di gas per questo inverno, per far fronte all’incremento dei consumi per riscaldamento. Per questo si sono massimizzate le altre fonti di importazione e sono stati riempiti gli stoccaggi. Salvo situazioni meteorologiche estreme, grazie anche alle ipotesi concordate da Snam con i gasivori per eventuali - programmate e razionali - riduzioni dei consumi, questo inverno potrebbe passare senza grandi traumi. “Sono convinto che la situazione resterà difficile - conclude Gozzi - e lo resterà fino a quando non ci sarà la completa autonomia dal gas russo. Previsioni? Deve passare la nottata. Che, secondo me, non è tanto questo inverno. Mi preoccupa quello del 2023-2024, perché bisognerà riempire di nuovo gli stoccaggi”.

  • Un’alleanza per installare 380 GW di eolico offshore al 2030

    Anche se in Europa è costante la realizzazione di nuovi impianti per la generazione di energia da fonti rinnovabili, sono necessarie politiche e sinergie tra gli Stati per accelerarne lo sviluppo in modo da traguardare gli obiettivi di decarbonizzazione. In tal senso, un importante accordo è stato siglato tra l’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (IRENA), il Global Wind Energy Council (GWEC) e la Danimarca. IRENA, GWEC e Governo danese hanno infatti lanciato la Global Offshore Wind Alliance (GOWA), un’alleanza che punta a sfruttare l’enorme potenziale dell’eolico offshore. GOWA ha l’obiettivo - e l’ambizione - di contribuire a facilitare l’installazione a livello globale di 380 GW di eolico offshore entro il 2030. Un traguardo che, se raggiunto, significherebbe un aumento della capacità globale installata del 670 per cento rispetto ai 57 GW del 2021. Due i punti su cui lavorerà in particolare GOWA: stimolare governi, attori del settore privato e organizzazioni internazionali a lavorare insieme per rimuovere gli ostacoli e aumentare gli investimenti; sostenere a livello politico la creazione di percorsi standard per portare a maturità i nuovi mercati attraverso la condivisione delle best practice. “Un massiccio aumento dell’energia prodotta da fonte eolica offshore - ha dichiarato Dan Jørgensen, ministro danese per il Clima e l’energia - è fondamentale per combattere il cambiamento climatico, eliminare gradualmente i combustibili fossili e rafforzare la sicurezza energetica. Non possiamo farlo da soli ma dobbiamo lavorare insieme, pubblico e privato, nonché tra diversi Paesi e regioni. La Global Offshore Wind Alliance sarà una piattaforma per attuare questa collaborazione”. “La sicurezza energetica e la crisi - ha dichiarato Francesco La Camera, Direttore generale di IRENA - ci stanno costringendo a ripensare il nostro mondo. Tutti possiamo trarre vantaggio dai parchi eolici offshore, che rappresentano un’importante aggiunta al portafoglio tecnologico mondiale. Ma per avere davvero successo, abbiamo bisogno di una maggiore cooperazione”. Ed è in questo che la Global Offshore Wind Alliance può aiutare, creando le partnership necessarie per guidare la transizione energetica globale. IRENA e l’Agenzia internazionale per l’energia (IEA) prevedono infatti che saranno necessari 2.000 GW di eolico offshore per raggiungere lo zero netto entro il 2050. Durante l’evento di presentazione dell’alleanza, svoltosi a New York, GOWA ha ricevuto la promessa di una prossima adesione degli Stati Uniti. “Sebbene ogni Paese debba intraprendere la propria azione interna per affrontare il cambiamento climatico - ha dichiarato Laura Daniel-Davis vicesegretario aggiunto per la gestione della terra presso il Dipartimento degli interni degli Stati Uniti - l’attuale crisi richiede che tutti noi lavoriamo insieme per compiere progressi significativi. Solo attraverso la collaborazione sarà possibile costruire un futuro più sostenibile per tutti”.

  • Storage in USA: nel secondo trimestre 2022 oltre 2 GWh di nuova capacità

    Parola d’ordine: accumulo. Un’indicazione che negli Stati Uniti sembra essere stata colta senza indugio. Lo dimostrano i dati raccolti nell’ultimo rapporto US Energy Storage Monitor, pubblicazione trimestrale di Wood Mackenzie Power & Renewables e dell’American Clean Power Association (ACP). Nel secondo trimestre del 2022 il mercato statunitense dell’accumulo di energia ha stabilito un nuovo record di installazioni, per un totale di 2,6 GWh. Un risultato dovuto in larga parte allo Stato del Texas, che ha contribuito per il 60 per cento alla capacità installata nel trimestre e nonostante altri progetti per 1,1 GW già programmati abbiano subito ritardi e andranno quindi a ricadere nella contabilità della seconda parte dell’anno. “Negli Stati Uniti - ha dichiarato Jason Burwen, vicepresidente Energy Storage in ACP - il settore dell’accumulo di energia sta raggiungendo la piena maturità, con oltre 1 GW installato regolarmente ogni trimestre”. Un effetto ottenuto anche grazie all’approvazione da parte del Congresso USA dell’estensione del credito d’imposta sugli investimenti solari e sullo stoccaggio autonomo come parte dell’Inflation Reduction Act. “Con i nuovi crediti d’imposta disponibili dall’Inflation Reduction Act - prosegue ancora Jason Burwen - la domanda per gli investitori e gli operatori di rete ora non è se implementare l’accumulo, ma quanto distribuirlo e quanto velocemente”. Elementi che secondo Wood Mackenzie consentiranno di aggiungere 59,2 GW di capacità di accumulo di energia entro il 2026.

  • Australia, in vista nuovo impianto di accumulo da 1 GW

    La generazione di energia da fonti rinnovabili, per loro natura non programmabili, deve essere supportata da adeguati sistemi di accumulo, in modo da garantire la sicurezza e la stabilità della rete. In Australia il Regional Joint Development Assessment Panel (JDAP) della Contea di Collie - un organo decisionale indipendente composto da esperti, tecnici e rappresentanti del governo locale - sta ora ultimando l’iter autorizzativo che consentirà la realizzazione di un nuovo sistema di accumulo di energia a batteria (BESS) con una capacità di 1 GW/4 GWh. Il progetto della batteria di Collie, come è stato ribattezzato e che sarà avviato nei pressi della cittadina che dista circa 215 km da Perth, prevede uno sviluppo in cinque fasi da 200 MW/800 MWh e sarà realizzato su un’area di 12,5 ettari. Una volta in servizio, il BESS sarà collegato al South West Interconnected System (SWIS), la principale rete elettrica statale, e contribuirà alla sicurezza del sistema in termini di inerzia, controllo della frequenza, potenza del sistema e controllo della tensione. Una volta completata la prima fase, il sistema di storage sarà in grado di fornire una capacità di stoccaggio sufficiente a coprire per un’ora il fabbisogno energetico medio di 260.000 famiglie. Sempre nell’ambito del progetto, è prevista la realizzazione di una nuova sottostazione con trasformatori di potenza e una linea di cavi aerei da 330 kV.

  • Dai porti della Germania un treno carico di…. idrogeno!

    Se l’idrogeno - quello verde, ovviamente - sembra ormai essere una delle opzioni su cui l’Europa punta per traguardare gli obiettivi di decarbonizzazione, rimangono da risolvere problemi come l’alto costo di produzione e la sua distribuzione. In Germania DB Cargo, la divisione di Deutsche Bahn specializzata nel trasporto merci e leader in Europa con il 21 per cento di quota di mercato, ha sviluppato una soluzione per trasportare grandi quantità di idrogeno su rotaia. Un sistema alternativo, in attesa della realizzazione dei gasdotti, per trasferire l’idrogeno dai porti tedeschi ai clienti industriali situati nell’entroterra. In particolare, l’H2 che arriverà in Germania via mare in forma liquida sarà trasportato da carri cisterna già predisposti per gli impieghi dell’industria chimica. “L’idrogeno - ha dichiarato Sigrid Nikutta, responsabile di DB Cargo - svolgerà un ruolo importante nel futuro mix energetico. Abbiamo sviluppato una soluzione che lo trasporta in modo facile ed efficiente dai porti ai consumatori, in particolare ai nostri clienti industriali. È così che possiamo creare una catena di approvvigionamento sicura ed efficiente per l’economia tedesca”. DB Cargo sta contestualmente lavorando allo sviluppo di particolari contenitori da utilizzare nella distribuzione su piccola scala. Il governo federale tedesco stima che entro il 2030 la domanda di idrogeno nel Paese raggiungerà i 100 TWh l’anno.

  • Dalle rinnovabili un aiuto per ridurre i costi energetici del settore della plastica

    Offrire alle imprese dell’industria della plastica soluzioni al problema del caro energia, fornendo le informazioni necessarie a comprendere quale sia la proposta impiantistica più efficace in funzione delle esigenze produttive di ogni specifica azienda del settore. Questo il cuore del protocollo di collaborazione tra ANIE e Unionplast. Un passo in avanti verso l’abbattimento dei costi energetici e, insieme, verso la sostenibilità. L’accordo firmato dal presidente Filippo Girardi per ANIE - Federazione che associa 1.400 aziende delle filiere dell’elettrotecnica e dell’elettronica, con circa 500.000 occupati e un fatturato aggregato di 76 miliardi di euro - e da Marco Bergaglio, presidente di Unionplast - l’Unione Nazionale dei trasformatori di plastica, associazione nata nel 1945 che conta 283 aziende e occupa 21.000 addetti - mira proprio ad accelerare il processo di transizione verso l’uso di fonti alternative. Attraverso il protocollo si intende sviluppare presso i soci Unionplast un percorso congiunto per favorire la diffusione di investimenti verdi finalizzati a realizzare impianti di produzione da fonti rinnovabili. Avvalendosi delle competenze di ANIE Rinnovabili e ANIE Servizi integrati, gli interventi saranno concentrati su tre pilastri: informazione, formazione e consulenza, relazioni istituzionali. L’industria italiana della trasformazione della plastica rappresenta un settore di primaria importanza nel panorama industriale e una eccellenza a livello internazionale, seconda in Europa solo alla Germania. Questo significa circa 6 milioni di tonnellate di polimeri trasformati ogni anno e 100.000 occupati in aziende di taglia piccola e media. Il settore ha intrapreso da anni un percorso di circolarità sul lato materiali - 1 milione e 200mila tonnellate dei 6 lavorati è plastica riciclata - con un processo ben avviato e consolidato. “L’accordo siglato con ANIE consentirà di ridurre i costi energetici che gravano sulle nostre aziende, prevedendo percorsi di formazione per i nostri soci - commenta Marco Bergaglio, presidente di Unionplast - che acquisiranno maggiore consapevolezza sulle tecnologie offerte dalle rinnovabili, contribuendo a velocizzare lo sviluppo di questi impianti per il raggiungimento dei target di transizione ecologica del Paese”. Se, da una parte, l’impulso alla decarbonizzazione dato dall’adozione del vettore elettrico per i processi di fusione dei materiali e di affinamento ha portato maggiore efficienza, oggi il settore si trova a fare i conti con una bolletta energetica pesante. Da qui, l’avvio di un processo che porti a una maggiore indipendenza, sostenibilità e risparmio.

  • Quando il price cap non tutela i consumatori. Il caso della Gran Bretagna

    Una delle soluzioni suggerite, o paventate, per calmierare i costi di gas e luce è l’introduzione di un tetto ai prezzi, che potrebbe essere imposto dal Governo. Una soluzione controversa che ha già dimostrato tutte le sue falle nel mercato britannico. Un’accurata analisi pubblicata sul numero in distribuzione di Nuova Energia prova a spiegarne i motivi. “Il Regno Unito - scrive Carolina Gambino su Nuova Energia - è il Paese con le minori riserve di gas, l’1 per cento delle scorte totali europee e i Britons sono quindi in balia dell’import. E dei relativi prezzi”. Inoltre, nella patria delle liberalizzazioni ci sono ancora undici milioni di utenti domestici che non hanno mai switchato, o che non hanno scelto nessuna particolare opzione, e a cui viene pertanto applicata una default tariff, la tariffa base di un fornitore, generalmente la più svantaggiosa. È proprio per tutelare questa fascia di consumatori, vincolati a offerte che l’Autorità definisce troppo costose a fronte di quanto effetti­vamente fornito, che è stato introdotto un tetto massimo al prezzo per unità di energia applicabile e agli oneri fissi. In particolare, il cap è determinato dall’Ofgem (Office of Gas and Electricity Markets) due volte l’anno, a febbraio e agosto, ed entra in vigore in aprile e in ottobre per la durata di sei mesi. Ma se l’introduzione del tetto è stata salutata con gioia dalle associazioni per la tutela dei consumatori - continua l’analisi di Carolina Gambino - l’industria è, per usare un eufemismo, meno entusiasta. Il cap, nella migliore delle ipotesi, erode i margini a livelli pericolosi e molti si affrettano a dirottare i clienti, in modi più o meno ortodossi, verso piani tariffari più redditizi. Non solo; il meccanismo semestrale non è abbastanza elastico per riflettere le variazioni di prezzo di un mercato ipermutevole e le piccole aziende sono incapaci di bloccare i prezzi acquistando in anticipo e riducendo l’esposizione alle fluttuazioni. E anche se il price cap continuerà, fino al 2023, a far parte del nuovo ordine del mercato, istituzioni e associazioni di categoria come Energy UK si chiedono se sia ancora utile persino per i consumatori, dal momento che non riesce comunque a proteggerli dai rincari. Secondo John Penrose, il primo parlamentare a proporre il price cap alla House of Commons, il meccanismo non sarebbe più adatto allo scopo per cui è stato creato. Governo, associazioni e industria sono all’opera per studiare una exit strategy e alternative per il futuro.

  • Caro energia UK, con la strage di provider cresce la povertà energetica

    Il caro bollette non colpisce solo l’utente finale, industriale o domestico che sia. Una conseguenza altrettanto dirompente ricade su chi, questa elettricità, la commercializza: i cosiddetti provider, molti a rischio fallimento. Caso emblematico, quello della Gran Bretagna, uno dei mercati più liberalizzati al mondo. L’analisi di Nuova Energia. È metà di settembre 2021 - inizia così l’approfondimento di Carolina Gambino - quando il Segretario di Stato per gli affari economici, l’energia e la stra­tegia industriale del Regno Unito riunisce una serie di incontri mini­steriali di emergenza con i fornitori di energia e l’Autorità di regolazio­ne per sondare la profondità di una crisi che, si spera, non significherà un inverno al freddo e al buio. Il messaggio delle dichiarazioni pubbliche a corollario degli incon­tri è: niente panico. La sicurezza delle forniture non è in discussio­ne, non ci si aspetta emergenze in questo senso nell’inverno a venire. Invece, a febbraio 2022 la moria di sup­plier è già a quota 31 e serviranno 2,7 miliardi di sterline per dirottare verso aziende più solide i due milioni e mezzo di clienti dei provider falliti; costi che andranno ad appesantire le bollette già poco sostenibili di tutte le famiglie inglesi. National Energy Action - continua Carolina Gambino su Nuova Energia - nell’aprile 2022 stimava che 6,5 milioni di famiglie britanniche stessero vivendo in condizioni di povertà energetica, un peggioramento rispetto i 4 milioni dell’ottobre 2021. Ma quel che preoccupa di più è la previsione: i poveri dell’ener­gia potrebbero salire a 8,2 milioni, certo a causa della crisi energetica globale ma anche dei meccanismi particolari di un mercato nazionale dove in un circolo vizioso i provider falliscono a causa dei costi eccessivi, diventando a loro volta fonte di ulteriori costi.

  • In Gabon nuovo impianto solare da 120 MW

    Con il Piano di bilancio a medio termine 2022-2024 il governo del Gabon ha confermato gli obiettivi previsti dal Piano di Accelerazione della Trasformazione per favorire lo sviluppo di impianti rinnovabili. In questo contesto, sei mesi dopo l’approvazione da parte del Ministero dell’Energia e delle risorse idrauliche, ha preso il via la realizzazione del nuovo impianto solare di Ayémé, da 120 MW. L’impianto, che sarà costruito in due fasi, è situato su un’area di 250 ettari a circa 30 chilometri dalla capitale Libreville e sarà completato entro luglio 2023. La prima fase del progetto prevede l’installazione di pannelli fotovoltaici per un totale di 60 MW, oltre a un sistema di accumulo di energia con una capacità di 15 ore. Il nuovo impianto consentirà di soddisfare il crescente fabbisogno energetico della capitale e della provincia dell’Estuaire, nel nord ovest del Paese, oltre a contribuire a ridurre le emissioni di CO2 di circa 100.000 tonnellate l’anno già durante la prima fase. Grazie a un accordo di acquisto di energia a lungo termine (PPA) siglato dal governo del Gabon, per i prossimi 25 anni tutta l’elettricità prodotta sarà venduta alla Société d’énergie et d’eau du Gabon (Seeg). Il Gabon si è posto come obiettivo di avere l’80 per cento di energia rinnovabile nel proprio mix energetico al 2030.

  • Anche il climate change incide sul mix delle rinnovabili

    Il cambiamento climatico non solo impatta fortemente sull’andamento dei prezzi dell’energia, ma incide anche sul mix energetico rinnovabile. A giugno le temperature torride hanno fatto registrare un meno 38 per cento di produzione da idroelettrico e hanno spinto il PUN - Prezzo Unico Nazionale a 271,31 euro/MWh, con punte di 368 euro/MWh. Quello che emerge scorrendo il report dei prezzi del secondo trimestre 2022 redatto da Falck Renewables Next Solutions è proprio il rapporto biunivoco tra rinnovabili e cambiamento climatico. Nonostante l’aumento delle installazioni e il maggiore irradiamento solare abbiano portato a un aumento del 20 per cento della produzione fotovoltaica, la siccità record - la peggiore degli ultimi 70 anni in Europa - ha fatto mancare l’apporto hydro tra maggio e giugno, periodo in cui solitamente questo è più marcato. Il crollo dell’idroelettrico - con un calo di 2.100 GWh - ha fatto sì che a giugno il Residual Load - ovvero lo scarto tra la domanda e la produzione rinnovabile - si attestasse a 13.655 GWh, 2.000 GWh in più rispetto alla media degli ultimi cinque anni (2018 - 2022). Anche il perdurare della guerra in Ucraina continua a incidere in maniera significativa sul mercato dell’energia, confermando il trend generale di crescita dei prezzi con il conseguente aggravio dei costi per gli utenti finali. “Siamo tutti consapevoli della centralità delle rinnovabili nello sviluppo di una società più sostenibile e nel contrasto al cambiamento climatico” dichiara Luca Prosdocimi, Head of Trading di Falck Renewables Next Solutions. “Ciò che emerge con chiarezza è come questo rapporto sia biunivoco, ossia quanto il cambiamento climatico possa a sua volta modificare il nostro modo di produrre energia”. I dati del report diventano ancora più significativi se riflessi nell’ottica delle previsioni al rialzo sul terzo trimestre 2022. Con un livello di tensione così alto tra gli operatori, dove ogni news ha un impatto spropositato sui prezzi delle commodity energetiche, è difficile immaginare un autunno privo di volatilità e incertezza.

  • Treni a idrogeno? Il caso studio della Sardegna

    I trasporti sono un settore fortemente energivoro e, soprattutto, ancora dipendente dall’utilizzo di combustibili fossili. Il dibattito è soprattutto incentrato sul possibile blocco al 2035 alla produzione di auto a combustione interna, ma non vanno dimenticati altri vettori, come aerei, navi e treni. Sul numero in distribuzione di Nuova Energia viene presentato un interessante studio di RSE - Ricerca sul Sistema Energetico su una possibile riconversione a idrogeno della rete ferroviaria sarda, non elettrificata e caratterizzata da un sistema di trazione a diesel. Terza regione per estensione, con 377 comuni dislocati in quattro provincie, la Sardegna ha una rete ferroviaria lunga 1.035 chilometri ma poco utilizzata per gli spostamenti, che avvengono per il 99,9 per cento su gomma. Lo studio di RSE propone un’analisi comparativa, a parità di domanda e offerta di mobilità della rete ferroviaria sarda, per analizzare, rispetto alla situazione attuale, quali effetti ne deriverebbero in termini di consumi energetici e di impatto ambientale, senza trascurare la sostenibilità economica. “Il caso studio - affermano i ricercatori di RSE - evidenzia un potenziale vantaggio dell’utilizzo di idrogeno come combustibile nel trasporto ferroviario in termini di emissioni evitate, mentre dal punto di vista della sostenibilità economica non si riscontra evidenza di convenienza rispetto alla elettrificazione delle tratte attualmente servite da motrici alimentate con diesel”. Va notato che il fondo complementare al PNRR ha già previsto 140 milioni di euro per il progetto pilota di collegamento a idrogeno Alghero centro - Alghero aeroporto.

  • Economia circolare: dai reflui, un camion (anzi, 40) di biometano liquido

    In questi casi citare De Andrè è scontato, ma lo faremo ugualmente: dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori. E a Truccazzano, in provincia di Milano - dove Air Liquide e Dentro il Sole hanno inaugurato la loro prima unità produttiva di biometano in Italia - nascono fiori preziosi come lo è il gas di questi tempi. Con un investimento di circa 10 milioni di euro, l’impianto lombardo valorizza circa 150 tonnellate/giorno di scarti agricoli e zootecnici delle aziende limitrofe e contribuisce alla decarbonizzazione del settore trasporti producendo biometano tramite digestione anaerobica biogas, che garantisce un’impronta carbonica ridotta rispetto al gas naturale estratto da fossili. Attraverso le tecnologie di Air Liquide il biogas viene purificato in biometano e quindi liquefatto per essere utilizzato come combustibile. La capacità di produzione è pari a 1.600 tonnellate/anno di biometano liquido, che corrispondono grosso modo al rifornimento di 40 camion che percorrono 100.000 km l’anno. L’unità di Truccazzano è altresì dotata di una tecnologia specifica che purifica il digestato, un sottoprodotto della produzione del biometano, che può essere utilizzato dagli agricoltori come fertilizzante avanzato, sia sotto forma liquida sia solida. Una circolarità totale del processo, vero e proprio esempio virtuoso di economia circolare. “Sono entusiasta di essere con voi a inaugurare la nostra prima unità di produzione di biometano in Italia - ha dichiarato Christiane Muller, Vice President Air Liquide Global Markets & Technologies - la prima di molte altre che seguiranno. Sono convinta che il biometano abbia un futuro brillante davanti a sé: è una soluzione già disponibile, testata ed efficace per la decarbonizzazione. Riduce la dipendenza dai combustibili fossili - e questo nella situazione attuale diventa ancora più pregnante - valorizza i reflui, aggiunge valore al settore agricolo e origina posti di lavoro sul territorio”. Replicando il medesimo modello di business Air Liquide ha già avviato la costruzione di altri due impianti produttivi, a Fontanella e a Covo, in provincia di Bergamo, che saranno operativi entro la fine del 2022. Il Gruppo ha competenze lungo l’intera catena del valore del biometano: dalla produzione di biogas dai rifiuti e scarti alla sua purificazione in biometano, dalla liquefazione allo stoccaggio e al trasporto fino alla distribuzione. A livello globale, conta oggi 22 unità produttive (saranno 25 entro la fine del 2022) in Europa, negli Stati Uniti e in Cina, per una capacità annua di 1,6 TWh. “Questo impianto è il primo di una lunga serie che Air Liquide ha in animo di costruire - ha dichiarato GianLuca Cremonesi, Direttore Generale di Air Liquide Biogas Solution Italy - principalmente nel Nord Italia. Il nostro piano industriale prevede un discreto numero di progetti: oltre ai due che saranno avviati entro la fine dell’anno, ne abbiamo altri due per i quali abbiamo già i permessi e di cui abbiamo iniziato la fase progettuale”. Air Liquide replicherà lo schema progettuale messo in opera a Truccazzano - individuare i partner agricoli, selezionare l’ubicazione più indicata per l’impianto, costituire una società di scopo dedicata - su una ventina di nuovi progetti. Società che comprende, oltre agli agricoltori, i due partner industriali: Dentro Il Sole (DIS), il cui know-how tecnologico consente di ricavare il biogas da letame e da scarti agro-zootecnici, e Air Liquide che si occupa del gas to liquid e che trasforma il biogas in biometano liquido. Dal campo alla stalla, dalla stalla alla strada per poi tornare al campo sotto forma di fertilizzante avanzato (e anche - perché no! - come carburante per i mezzi agricoli). Insomma, come ha chiosato Giuliano Mattavelli, General Manager di DIS, si tratta proprio di economia circolare che “fa più di un giro completo. Quasi un giro e mezzo!”.

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