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  • Passante (Hitachi Energy): “Cambia il panorama dei consumatori di energia”

    La connessione tra la generazione di energia - preferibilmente rinnovabile - da una parte e il consumo di energia dall’altra, verso vecchi e nuovi uti­lizzatori (data center e trasporti in primis). Da oltre cento anni - anche se con altre denominazioni - Hitachi Energy intercetta tutti gli ambiti in cui l’elettricità può avere un peso. Una realtà industriale che si pone in Italia come uno dei principali attori, radicata sul territorio con tre unità produttive a Monselice, Lodi e Santa Palom­ba (Roma), che conosce perfettamente il mondo industriale e le sue esigenze, fornendo le migliori soluzioni in tema di Power Transmission, HV­DC, Power Quality, Substation e Power Supply. In occasione dell’inaugurazione del nuovo headquarter di Milano Filippo Passante, Operating Unit Manager, business unit Grid Integration di Hitachi Energy Italy ha aperto le porte di questa eccellenza a Nuova Energia, parlando dei nuovi paradigmi determinati dalla transizione energetica. “Abbiamo voluto ampliare il campo d’azione perché sta cambiando il panorama dei grandi consumatori di energia. I data center e i trasporti pub­blici locali, per esempio, sono nuovi player che si affacciano sul mercato e che solo pochi anni fa non eravamo abituati a considerare. In particolare, la parte di data center merita una men­zione, perché siamo di fronte a nuovi consumatori sicuramente energivori”. Power Supply significa fornitura di potenza a vecchi e nuovi consumatori e nel caso della mobilità elettrica siamo sicuramente di fronte a un nuovo consumatore. Per quanto riguarda il trasporto su gomma di passeg­geri e merci, Hitachi Energy si rivolge soprattutto alla mobilità elettrica legata alle flotte: gli autobus, ovviamente, ma anche i veicoli com­merciali adibiti al trasporto per il last mile. Senza dimenticare il trasporto ferroviario o navale, dove Hitachi Energy propone soluzioni per l’interconnessione delle navi portacontainer o da crociera alla rete elettrica portua­le in modo da consentirne lo spegnimento dei motori quando sono ormeggiate alla banchina.

  • Myanmar, le terre rare minacciano l’ambiente

    Impianti eolici, veicoli elettrici e semplici smartphone hanno fatto delle terre rare il nuovo oro nero, dando il via a una corsa senza confini alla ricerca e allo sfruttamento delle miniere. Con conseguenze spesso disastrose a livello sociale e ambientale. Nel rapporto Myanmar’s Poisoned Mountains rilasciato da Global Witness - organizzazione con sede nel Regno Unito che si batte per i diritti umani nel mondo - è mostrato come nella ex Birmania l’estrazione di terre rare è aumentata in modo considerevole, soprattutto dopo il colpo di stato militare del 2021, con un impatto devastante sugli ecosistemi locali. Ciò avviene in particolare nella zona di Kachin, dove circa 16.000 cittadini cinesi si sono trasferiti dalla provincia di Jiangxi per lavorare nelle miniere birmane, nelle quali anche i bambini sono impiegati per svolgere i lavori manuali più pesanti. “Le immagini satellitari hanno rilevato che l’estrazione di terre rare è passata da un piccolo numero di siti a più di 2.700 centri di raccolta mineraria in quasi 300 località, su un’area delle dimensioni di Singapore”. Operazioni che nella maggior parte dei casi prevedono processi di estrazione altamente inquinanti, con avvelenamento dei corsi d’acqua locali. “I rifiuti pericolosi dell’area mineraria - si legge nel rapporto - scorrono direttamente nel fiume N’Mai Kha, un affluente dell’Ayeyarwady, il fiume più importante del Myanmar e anche le colture coltivate vicino alle miniere sono contaminate”. Da notare che il bacino del fiume Ayeyarwady ospita i due terzi della popolazione del Myanmar, che conta 54 milioni di persone.

  • Santi (E.ON): “CER, serve il pieno coinvolgimento degli operatori”

    Sempre più ricorrenti nel lessico non solo energetico, le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) possono rappresentare in questo delicato momento storico anche una delle soluzioni per contenere il caro bollette. Ma le CER, al netto di tutti gli sforzi di sem­plificazione fatti dal regolatore, restano oggetti complessi da maneggiare. Ma perché si possa assistere a un loro reale sviluppo serve un quadro regolatorio completo e stabile per coin­volgere gli operatori del settore, indispensabili per governarne le complessità e dare forma agli investimenti necessari. Il quadro della situazione è stato tracciato sulle pagine di Nuova Energia da Leonardo Santi, di­rettore affari regolatori e istituzionali di E.ON. “Credo che sia importante passare al più presto e senza ritardi dall’attuale fase spe­rimentale, utilissima per testare il disegno regolato­rio, a una soluzione di regime, che consentirà di realizzare progettualità più ampie e differenziate”. Inoltre, come per ogni intervento, è indispensabile una semplicità attuativa per promuovere un reale e consistente sviluppo di queste realtà. “Teniamo presente che i protagonisti e i fruitori delle CER sono principalmente i citta­dini, certamente poco propensi ad aderire a modelli complicati e di difficile accesso. Il quadro re­golatorio di dettaglio e, soprattutto, la sua esecuzione dovranno quindi tenere conto di criteri di semplicità, chiarezza ed efficienza”. Ma le CER restano comunque oggetti complessi da maneggiare ed è quindi secondo me imprescindibile il pieno coinvol­gimento degli operatori. E se da un lato va chiarito definitivamen­te proprio il ruolo delle società di servizi energetici all’interno delle comunità, altro tema cruciale è quello degli incentivi. “È fondamentale che il meccanismo di supporto presupponga un’analisi attenta degli economics delle iniziative, anche alla luce dell’evoluzione del contesto energetico, assicurando che la remunerazione garanti­sca un livello di redditività tale da attrarre i consumato­ri e da consentire la realizzazione delle iniziative”. Importante è quindi che gli incentivi siano congrui rispetto alla necessità di favorire uno sviluppo consistente delle comunità energetiche rinnovabili e, ancora una volta, definiti nei tempi attesi e in maniera stabile.

  • Dall’alluminio il futuro dell’accumulo?

    Sono già molte le soluzioni di stoccaggio delle energie rinnovabili per compensare i disallineamenti tra produzione e domanda; sono però per lo più soluzioni a breve termine, mentre quelle per periodi più lunghi sono ancora poche e, soprattutto, costose. Una novità in questo senso sembra arrivare dal progetto Reveal, avviato in Svizzera a luglio dall’Istituto SPF per la tecnologia solare che ha come obiettivo proprio lo sviluppo di un nuovo concetto di accumulo basato sull’alluminio. Una soluzione che potrà essere utilizzata per immagazzinare sia elettricità sia calore per lunghi periodi di tempo, mesi e persino anni. Basato sull’alluminio come vettore energetico, questa nuova tipologia di storage differisce sostanzialmente dai tradizionali mezzi di accumulo come le batterie o il Power-to-Gas. In particolare, i ricercatori del progetto Reveal puntano a sviluppare una soluzione innovativa in grado di produrre alluminio dall’ossido di alluminio, senza rilasciare emissioni di CO2 e utilizzando l’alluminio stesso per immagazzinare grandi quantità di energia. Il tutto con una densità di accumulo di oltre 15 MWh/m3, a costi non elevati e con un impatto ambientale inferiore rispetto alle soluzioni oggi usate. Inoltre, potrà essere facilmente utilizzato in unità scalabili da pochi kW a MW e anche in situazioni off grid. Cofinanziato dal programma di ricerca Horizon Europe dell’Unione Europea e dal Segretariato di Stato svizzero per l’istruzione, la ricerca e l’innovazione (SERI), il progetto Reveal vede la partecipazione di nove partner provenienti da Islanda, Slovenia, Norvegia, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Germania e Svizzera e si chiuderà a giugno 2026.

  • Nobili propositi: formare il prezzo del pane ignorando quello del grano

    Il nostro sistema energetico è stato investito da un vero e proprio sommovimento tellurico, che ne ha minato le fondamenta e messo in discussione la struttura complessiva in tutti i suoi elementi costitutivi. L’esplosione dei prezzi del gas - e a valle dell’energia elettrica - è la manifestazione più eclatante della profondità del rivolgimento in corso. Al di là delle ragioni che hanno generato questa dinamica - le pulsioni verso un revanscismo imperialista della Russia di Putin, le lacune dell’Europa che ha trascurato la sicurezza degli approvvigionamenti - era inevitabile che la forza dei numeri imponesse un ripensamento delle strategie energetiche dei singoli Paesi e dell’Unione Europea nel suo insieme. Ci si è resi improvvisamente conto che la transizione è un processo ad alta complessità per le molteplici interazioni in campo e che il gas gioca un ruolo fondamentale come ponte tra un passato basato sul fossile e un futuro, ancora non imminente, costruito carbon free. Nella reazione all’incendio dei prezzi non poteva non collocarsi anche la richiesta di un ripensamento dei meccanismi della loro formazione e più in generale del disegno di mercato che ha accompagnato i processi di liberalizzazione. Non voglio qui considerare la proposta di porre un tetto ai prezzi del gas e dell’energia elettrica. Personalmente non mi convince affatto, sia perché il tetto diventa un floor e i prezzi da lì non si schiodano più, sia per la difficoltà a convenire con i produttori il livello a cui il tetto è reciprocamente accettabile. Altra stravaganza, il riesumare il pay-as-bid. Portare il mercato elettrico italiano fuori dal contesto europeo, tutto basato sul pay-as-cleared, è palesemente assurdo, tanto più che l’esperienza inglese ha dimostrato che il pay-as-bid, al di là delle complicazioni che comporta nel meccanismo delle offerta, non è affatto conveniente per i consumatori. Vi sono poi le due suggestioni più fascinose: sganciare i prezzi elettrici dal gas e separare i prezzi delle rinnovabili da quelli delle fonti convenzionali. Ignorare i prezzi del gas nel definire i prezzi elettrici è un nobile proposito che può trovare attuazione quando si saprà come formare il prezzo del pane ignorando quello del grano. Detto in chiaro: è una totale assurdità. Rimane la Fata Morgana della separazione in borsa tra rinnovabili e convenzionali. Ma come organizzare una piattaforma di borsa per trattare un prodotto che non è definibile ex-ante nelle quantità e nel tempo? Non è cambiando strumenti di misura che potremo ridurre i prezzi, ma solo seguendo con rigore una politica di contenimento della domanda da un lato e di accelerazione nell’affrancamento dal gas russo da un altro. Illusorio pensare ad altre strade. Giuseppe Gatti

  • Squellerio (Liquigas): “GPL, alternativa per sostenere la filiera produttiva”

    La guerra in Ucraina ha portato alla maggiore crisi energetica degli ultimi decenni. L’impennata dei prezzi dell’energia e il rischio dell’interruzione delle forniture di gas naturale stanno mettendo in ginocchio molte attività imprenditoriali del nostro Paese, dove il metano gioca un ruolo importante nei consumi finali. Ecco che in aiuto possono ora arrivare quei combustibili, come il GPL, spesso fino a oggi visti come figli di un Dio minore. Donatella Squellerio, direttore marketing, sviluppo e supporto vendite di Liquigas, parla delle opportunità e delle prospettive di mercato nell’ampia intervista di copertina che apre il numero di Nuova Energia attualmente in distribuzione. “A livello locale ma anche europeo stanno nascendo grandi opportunità in termini di sostituzione del metano con il GPL. Per molte realtà produttive - preoccupate dall’aumento di costi e impensierite dalla probabile indisponibilità della materia prima gas - il GPL in questo contesto può costituire un’alternativa a basse emissioni e che non subisce contraccolpi sia dal punto di vista della fornitura sia dei prezzi. Per questo stiamo ricevendo richieste per realizzare impianti dedicati a GPL, in grado di sostenere le filiere produttive”. Per questo Liquigas ha sviluppato velocemente una strategia distributiva e uno specifico aspetto contrattualistico per poter far fronte alle esigenze di alcuni comparti che sono già in difficoltà (e lo saranno ancora di più con l’avvento della stagione invernale). Non si tratta solo di sostituzione ma anche di integrazione: una sorta di backup per non rischiare di rimanere fermi e poter programmare l’impatto economico in funzione dell’andamento del contesto. Nonostante le difficoltà enormi generate dalle circostanze, anche il mondo dell’oil&gas è chiamato a dare il suo contributo alle sfide che chiede la transizione energetica. Da qui l’importanza della ricerca e dell’innovazione per sviluppare nuovi combustibili. “Con il Gruppo SHV Energy stiamo investendo nella ricerca di combustibili alternativi ad alto potenziale calorifero e bassissime emissioni. C’è un grandissimo impegno nello sviluppo di sustainable fuels, nuove molecole che possano sostituire nel medio-lungo periodo il paniere di prodotti che costituiscono oggi la nostra commercializzazione”. Già disponibile è il bioGNL, su cui c’è una progettualità specifica. Con AirLiquide -Liquigas ha stretto la prima partnership strategica di medio-lungo periodo in Italia, un accordo quinquennale che mette a disposizione bioGNL per il settore dell’autotrazione, derivante dalla trasformazione di rifiuti organici, di residui di lavorazioni agricole e dell’industria zootecnica. Il Gruppo sta poi lavorando su bioGPL e rDME, il dimetiletere rinnovabile, l’altra direzione di sviluppo sul breve-medio termine: grazie a tecnologie di produzione già disponibili è possibile ricavare rDME da fonti organiche di diversa natura e abbondanti - quali reflui zootecnici, scarti vegetali della produzione di biomassa e rifiuti solidi urbani. “La joint venture fra SHV Energy e UGI International - conclude Donatella Squellerio - punta a realizzare sei impianti nei prossimi 5 anni, per una capacità di produzione totale di 300.000 tonnellate di rDME l’anno entro il 2027”.

  • Eolico offshore in California, 25 GW entro il 2045

    Tutti i governi degli Stati che compongono gli USA hanno lanciato la propria sfida per il conseguimento della piena decarbonizzazione, con diversi modi e tempistiche. Tra i più attivi e propositivi va annoverato lo Stato della California, che si è posto come obiettivo di arrivare a ottenere la totalità dell’energia da fonti rinnovabili entro il 2045. Per poter raggiungere questa meta, il Governatore del Golden State punta ad avere entro tale date 25 GW di capacità eolica offshore. Una proposta ora approvata anche dalla California Energy Commission (CEC), che è stata chiamata a stabilire obiettivi per il 2030 e il 2045 e un Piano strategico per lo sviluppo dell’industria dell’eolico offshore. Nel rapporto preliminare la CEC ha fissato come target intermedio al 2030 una capacità pari a 5 GW - sufficiente per fornire elettricità a oltre 3 milioni di abitanti - per arrivare quindi a 25 GW entro il 2045, così da poter soddisfare il fabbisogno elettrico di 25 milioni di abitazioni. “Questa straordinaria risorsa - ha dichiarato David Hochschild, presidente della CEC - genererà elettricità pulita 24 ore su 24 e ci aiuterà ad abbandonare il più rapidamente possibile l’energia basata sui combustibili fossili, garantendo al contempo l’affidabilità della rete”. Il rapporto presentato dalla California Energy Commission è stato sviluppato in coordinamento con le agenzie federali, statali e locali e le parti interessate alla pesca e alla salvaguardia degli oceani e della vita marina. La CEC dovrà ora determinare modalità e tempi dei processi autorizzativi per gli impianti offshore e per le relative infrastrutture di trasmissione. L’intero piano dovrà essere presentato al legislatore entro giugno 2023. Questa spinta allo sviluppo dell’eolico offshore fa seguito all’accordo raggiunto lo scorso anno dal Governatore della California, Gavin Newson, con il Bureau of Ocean Energy Management (BOEM), agenzia del Dipartimento degli interni degli USA che per la prima volta ha aperto la costa occidentale allo sviluppo di questa tecnologia. In particolare, il BOEM ha designato come aree idonee quelle di Morro Bay e Humboldt Bay. Secondo una stima del National Renewable Energy Laboratory (NREL), il potenziale eolico offshore della California può arrivare a 200 GW.

  • Grassi (Confindustria Varese): “Sul gas, agire subito e politica energetica di lungo periodo”

    Sulla capacità di reazione allo choc energetico che sta colpendo imprese e famiglie si gioca la credibilità delle forze politiche che si candidano a governare il Paese. La situazione, già critica da mesi, sta diventando insostenibile: una crisi senza paragoni che rischia di presentare costi sociali superiori alle risorse necessarie per intervenire. Di fronte ai livelli raggiunti dai prezzi del gas e dell'energia elettrica, forse non ci si rende pienamente conto delle ripercussioni e si spera nelle capacità di reazione del sistema imprenditoriale e del tessuto sociale. Ma questa volta il quadro sembra davvero diverso. “Siamo impotenti - commenta Roberto Grassi, presidente dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese. Occorrono interventi urgenti per garantire la tenuta industriale del Paese e dei suoi territori più manifatturieri. Ha ragione il Presidente Bonomi: è questione di sicurezza nazionale”. Ci sono imprese del settore della plastica - come risulta dalle continue segnalazioni che arrivano ai telefoni di Confindustria Varese e del suo consorzio Energi.Va - che nei primi 6 mesi dell’anno hanno pagato bollette per un totale di 1 milione di euro, contro i 300.000 del 2021. Tintorie tessili che a luglio di un anno fa pagavano 52.000 euro per l’energia elettrica e 47.000 euro per il gas, diventati 166.000 e 266.000 nello stesso mese di quest’anno. Per non parlare della lavorazione dell’acciaio, con realtà che a luglio 2021 avevano bollette da 280.000 euro e che ora sono a quota 1,3 milioni. Stesso scenario nelle fonderie specializzate nei componenti dell’automotive. Le cartarie non sono da meno, passate da una bolletta mensile di 77.000 euro ai 272.000 euro di oggi. Anche con i crediti di imposta introdotti del Decreto Legge Aiuti, rimangono pur sempre incrementi del 128 per cento. E non si sono ancora viste le conseguenze dei record di agosto. “Sono in crescita le chiamate di imprese che non riapriranno dopo le ferie - precisa il presidente Grassi - e altre che hanno già deciso di bloccare la produzione perché a questi livelli, pur di fronte a un buon portafoglio ordini, è ormai ampiamente non economico produrre”. Per fare fronte alla circostanza, tra le proposte di Confindustria Varese spicca la sospensione temporanea del sistema delle autorizzazioni ETS per le emissioni di gas serra e la destinazione all’industria della quota di energia di produzione nazionale (anche da fonti rinnovabili) a prezzo calmierato. “Sarebbe opportuno riformare l’attuale meccanismo della formazione del prezzo dell’elettricità - conclude Grassi - sganciandolo dalle quotazioni del gas. Porterebbe benefici immediati, fermando la vendita a prezzi folli dell’energia elettrica prodotta con fonti rinnovabili, che in alcune ore della giornata garantiscono anche il 60 per cento dell’offerta e i cui costi di produzione non sono aumentati. Sarebbe una misura più efficace, equa e veloce dell’imposizione fiscale sugli extraprofitti”. Serve però anche una politica energetica di lungo periodo: l’aumento della produzione nazionale di gas, un ripensamento sul nucleare pulito e la rimozione degli ostacoli ai rigassificatori (“per convincersi si guardi ai vantaggi su cui può contare la Spagna su questo fronte”). Questa situazione durerà anni e il mondo dell’energia non sarà più quello di prima.

  • Cina, caldo e siccità lasciano a secco le EV

    Anche la rete di distribuzione elettrica cinese è messa a dura prova dal caldo torrido e dalla siccità. In Sichuan, regione alimentata per la maggior parte da energia idroelettrica, la situazione è talmente critica che le autorità hanno costretto Tesla e Nia a disconnettere le colonnine di ricarica. Caldo e siccità sono un binomio pericoloso per la rete elettrica. Insieme alle temperature salgono anche i consumi, complici principalmente i condizionatori. In pochi riescono a fronteggiare l’ondata di caldo record senza ricorrere al sistema di raffrescamento per eccellenza. Per questa ragione, in Cina questa estate la domanda di elettricità è aumentata di circa il 25 per cento. Dopo le riduzioni chieste alle aziende più energivore, a farne le spese sono ora le automobili. Come segnala la redazione online di Quattroruote, nella regione del Sichuan, Tesla e Nia sono state costrette a disconnettere le colonnine di ricarica delle proprie vetture elettriche per limitare i consumi, a favore di abitazioni e fabbriche. Attualmente nelle metropoli di Chengdu e Chongqing la maggior parte dei Supercharger Tesla non sono attivi, fatta eccezione per alcune infrastrutture funzionanti solo di notte, quando la domanda di elettricità è minore. La casa automobilistica ha chiesto inoltre ai proprietari delle automobili di coordinarsi o condividere le proprie stazioni di ricarica domestica. Come se non bastasse, i possessori di EV Nio non possono sostituire le batterie scariche delle proprie automobili con altre cariche poiché le stazioni dedicate (oltre 900) sono chiuse. Una situazione che assume contorni particolarmente critici nella regione del fiume Yangtze, fortemente dipendente dall’energia idroelettrica, ma che è comune a tutto il Paese. Motivo per il quale il vicepremier Han Zheng, in barba alla sostenibilità, ha dichiarato che la Cina aumenterà il sostegno agli impianti di generazione a carbone per mantenere una fornitura stabile di energia. Una decisione che solleva diversi interrogativi. Uno fra tutti: ha senso indirizzare gli sforzi comuni verso la mobilità elettrica anche se a muoverla è energia di origine fossile? Se si volesse essere coerenti con i principi del Fit for 55 la risposta è no. L’International Energy Agency avvisa infatti che i benefici che l’elettrificazione dei trasporti porterà, in termini di riduzione dell’inquinamento e delle emissioni, saranno tali solo se l’energia necessaria per muovere i mezzi sarà prodotta da rinnovabili. Edoardo Lisi

  • Merigo (Assogasmetano): “Senza misure straordinarie, settore ferito a morte”

    Gli altissimi prezzi dell’energia, e del gas naturale in particolare, stanno falcidiando bilanci di famiglie e imprese. Diverse le misure già prese, anche per contenere le spinte inflattive. Ciononostante, la situazione resta grave e si prospetta peggiore per il prossimo autunno. Tra i soggetti più colpiti vi sono le famiglie, prevalentemente a medio e basso reddito, che posseggono le 985 mila automobili alimentate a metano circolanti in Italia, acquistate proprio per la storica convenienza di prezzo e per i minori impatti ambientali. A queste bisogna aggiungere le aziende che utilizzano flotte di veicoli commerciali e di autobus e, naturalmente, le imprese che il metano lo distribuiscono. Il gas naturale per autotrazione, anche se con ritardo rispetto agli carburanti, dal 3 maggio è stato agevolato con la riduzione dell’aliquota IVA al 5 per cento e l’azzeramento dell’accisa, in vigore almeno fino al 20 settembre (come previsto dal decreto-legge 115/2022 più noto come Aiuti-Bis). Nel frattempo, però, la situazione è ulteriormente precipitata: il prezzo del gas all’ingrosso è ormai decuplicato rispetto ai valori degli ultimi 15 anni, a cui va aggiunto il costo dell’elettricità necessaria per la compressione/erogazione del gas che è quintuplicato. Il prezzo alla pompa, nonostante l’azzeramento dei ricavi, specie nelle ultime settimane, è quasi quadruplicato, tanto che in molti impianti le vendite si sono azzerate e in altri l’erogazione è sospesa. “Servono misure straordinarie per una crisi senza precedenti che, altrimenti, annichilirà l’intero settore” ha dichiarato Flavio Merigo, presidente di Assogasmetano. “Spariranno gli oltre 1.600 distributori di metano, saranno ferite a morte le industrie italiane del settore (un’eccellenza senza eguali), una filiera con quasi 20.000 addetti, e verrà meno il contributo del metano per auto alla concorrenza con gli altri carburanti e all’ambiente”. Già oggi, infatti, il 30 per cento del gas erogato dai distributori per uso autotrazione è biometano, che non emette nuova CO2 e può essere prodotto con il contributo di tutti con la raccolta differenziata dell’umido. Un chiaro esempio di vera economia circolare. Assogasmetano ritiene indispensabile a questo punto l’apertura di un tavolo di crisi, come le associazioni chiedono da tempo, ma anche l’immediata esplorazione di soluzioni che portino a prezzi calmierati. “Uno dei possibili è un intervento straordinario del GSE (che già si occupa di ritirare il biometano incentivato) - conclude Merigo. Magari attraverso Acquirente Unico, che è stato recentemente incaricato di gestire i servizi del Fondo Bombole Metano, che potrebbe contribuire all’approvvigionamento del settore acquistando per conto degli operatori una parte significativa del totale del metano per auto necessario all’Italia, a beneficio dei soggetti (famiglie e imprese) che utilizzano questo carburante”.

  • Repubblica Dominicana, dal sole un aiuto alla sostenibilità

    Inaugurati due parchi fotovoltaici a Mata Palma, nella Repubblica Dominicana. Con una potenza massima di 50 MW nominali ciascuno e composti da 149.000 pannelli fotovoltaici, i nuovi impianti contribuiranno al raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità del Paese caraibico al 2030. Durante la cerimonia di inaugurazione degli impianti solari a Mata Palma, nel municipio di Guerra della Repubblica Dominicana, il ministro dell’Energia e delle Miniere, Antonio Almonte, ha dichiarato di essere convinto - visto il ritmo attuale - di raggiungere nel 2030 “molto più del 30 per cento dell’energia prodotta da fonti rinnovabili - che rappresenta il target concordato - dal momento che in un breve lasso di tempo il Paese ha già superato il 20 per cento”. Durante i primi due anni di amministrazione del presidente Luis Abinader, infatti, con il supporto della Commissione Nazionale per l’Energia (CNE) - istituzione collegata al Ministero dell’Energia e delle Miniere - sono entrati in funzione quattro impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile e altri 12 sono in costruzione, a seguito dell’applicazione della legge n. 57- 07 sugli Incentivi per lo Sviluppo delle Fonti Energetiche Rinnovabili e il rispetto degli impegni internazionali. In particolare, nel periodo 2020-2022 sono stati collegati in rete il Santanasol Photovoltaic Park, situato nel comune di Nizao, nella provincia di Peravia, che contribuisce con 50 MW al sistema elettrico nazionale, e il Parco Fotovoltaico El Soco, che con un investimento di 90 milioni di dollari conta 146.000 pannelli solari e immette 50 MW nel Sistema Elettrico Nazionale Interconnesso (SENI). Gli altri due impianti sono Girasol Solar Park, che con i suoi 120 MW di picco è il più grande del Paese e delle Antille e ha incrementato la capacità fotovoltaica nazionale del 50 per cento, così come il Parco Fotovoltaico Bayasol: 50 MW di generazione solare, che equivale alla fornitura di energia pulita per circa 26.000 abitazioni. Entro il 2025 il Governo ha preso l’impegno di integrare il 25 per cento di rinnovabili nel sistema elettrico nazionale. Un secondo obiettivo è garantire che almeno il 30 per cento della generazione elettrica provenga da fonti a emissioni zero di gas serra, coerentemente con gli accordi raggiunti nelle convenzioni contro i cambiamenti climatici. “L’impulso dato dal presidente Abinader ai progetti di energia da fonte rinnovabile - ha dichiarato Almonte - ha a che fare con una visione strategica per la trasformazione del settore elettrico dominicano. Non è una moda: è una questione di pianificazione ponderata per fornire elettricità in modo più efficiente, amico dell'ambiente e a costi inferiori”. Tutto questo per fornire per la prima volta al Paese energia sufficiente a coprire i picchi di domanda, garantire lo slancio dell’economia e mantenere una riserva fredda che consenta di non avere più blackout dovuti ai deficit di generazione, lavorando alla generazione da rinnovabili, all’ampliamento della rete di trasmissione e, soprattutto, affrontando la grande sfida di rafforzare, sviluppare e rendere più efficiente il settore della distribuzione.

  • Anche nei rally l’idrogeno si apre la strada

    Che la Toyota facesse sul serio con l’idrogeno era chiaro da un pezzo, almeno tra chi segue le automobili con passione. Nel fine settimana appena trascorso ne abbiamo avuto un’altra - dinamica - dimostrazione. A fare da apripista al Rally di Ypres, tappa belga del campionato del mondo, è stata infatti la GR Yaris H2, alimentata appunto a idrogeno, e pilotata da Juha Kankkunen, una leggenda dei rally. Il primo ad aver vinto quattro volte il campionato del mondo - che con la Toyota ha corso a inizio carriera e vinto il suo ultimo mondiale (Celica Turbo 4WD, nel 1993) - non è andato certo con il piede leggero, ma la Yaris a idrogeno, bianca con le decalcomanie azzurre e nere, non ha mostrato alcuna esitazione e senza emettere neanche un grammo di CO2. La vettura, verosimilmente, è la stessa presentata a dicembre scorso a Bruxelles. Condivide la meccanica con la Corolla, sempre alimentata a idrogeno, che corre in Giappone ormai da oltre un anno; non ne conosciamo i dettagli tecnici ma sappiamo che le prestazioni non sono inferiori a quelle ottenibili con l’alimentazione a benzina. La GR Yaris H2, infatti - a differenza della Mirai, già arrivata alla seconda serie e regolarmente acquistabile anche in Italia - non è mossa dalla combinazione fuel cell-motore elettrico ma utilizza direttamente l’idrogeno nel motore 1.600 turbo con cuscinetti a sfera che, nella versione di serie alimentata a benzina con iniezione diretta e indiretta, eroga 261 CV e 360 Nm di coppia massima trasmessa alle ruote dalla trazione integrale e due differenziali autobloccanti Torsen meccanici. Nota per i non appassionati: la Toyota GR Yaris - fortemente voluta da Akio Toyoda, che con la GR ha consolidato la stima e la gratitudine dei patiti d’auto di tutto il mondo - al di là del nome condivide molto poco con la popolare utilitaria, già auto dell’anno 2021. GR infatti sta per Gazoo Racing, il reparto corse di Toyota, e la sigla non è presente per scena: si tratta infatti una vera homologation special che si colloca appieno nel solco di icone come la Ford Escort Cosworth, la Mitsubishi Lancer Evo, la Subaru Impreza Wrx, la Toyota Celica GT-Four e, sì, anche della sempre più mitica Lancia Delta. Un mezzo così strettamente imparentato con le corse e con i rally (la disciplina più vicina alla strada) in effetti non si vedeva da vent’anni e infatti il successo è stato eclatante (basti vedere le quotazioni dell’usato e l’aumento di prezzo della vettura da nuova, per la quale tocca aspettare non poco). C’è dunque da attendersi un utilizzo dell’idrogeno nei rally? Vedremo. Intanto, mentre aumentano le case automobilistiche interessate all’alimentazione a idrogeno anche per le vetture endotermiche, è sempre più chiaro che il futuro per il motore a scoppio, nelle competizioni e non solo, non è così nero, anche in Europa. È questa un’ottima notizia, non solo per l’ambiente, ma anche per la concorrenza; utile tanto al Pianeta quanto ai suoi abitanti. a.s.

  • Cattaneo (Regione Lombardia): “La Laudato si’ è la Rerum Novarum dei nostri tempi”

    Il cambiamento climatico è arrivato anche a Rimini. E non solo per il nubifragio che ha flagellato il litorale o per la temperatura - piuttosto alta, complice anche la nutrita affluenza di pubblico - percepita nei padiglioni della Fiera che ospitano dal 20 al 25 agosto la 43esima edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli. Di clima - e dei suoi effetti sulla nostra vita quotidiana - si è parlato anche nello spazio di Fondazione Lombardia per l’Ambiente (FLA) e di Arpa Lombardia, da due punti di vista interessanti e con due ospiti autorevoli: Raffaele Cattaneo, assessore all’Ambiente e Clima di Regione Lombardia, e Giorgio Medici, Environment & Airport Safety Director di SEA. “Il tema è serio - ha esordito l’assessore Cattaneo - e forse non ci siamo ancora resi conto appieno della necessità di adottare con urgenza un modello di sviluppo diverso da quello a cui siamo abituati. Tra i tanti estremi - ed estremismi - è essenziale trovare un punto di equilibrio che è rappresentato da ciò che la realtà ci mette di fronte”. Gli obiettivi che la Regione Lombardia si è data sono quelli indicati dall’Europa e dalle Nazioni Unite: la neutralità carbonica al 2050 - quindi emissioni nette zero - con il target intermedio rappresentato dalla riduzione del 55 per cento delle emissioni di CO2 entro il 2030. “Abbiamo declinato tutto questo nel nostro Piano regionale energia ambiente e clima - prosegue Cattaneo. Tradotto in termini concreti significa che, prima di tutto, nei prossimi sette anni dobbiamo ridurre di un terzo i consumi finali di energia”. In Lombardia i consumi di energia sono stabili da circa 20 anni: circa 25 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (tep). Ridurli di un terzo significherebbe portarli a circa 17 “ed è un’impresa da far tremare i polsi”. Vorrebbe dire che ogni famiglia, ogni istituzione e ogni attività economica dovrà diminuire i propri consumi del 30-35 per cento. Contemporaneamente sarà necessario raddoppiare la produzione da rinnovabili. La principale fonte in Lombardia è quella idroelettrica, seguita dalle biomasse: due tipologie di generazione che difficilmente potranno incrementare il proprio contributo, anche per le ragioni legate ai cambiamenti climatici. Di vento ce n’è poco, non resta che puntare sul fotovoltaico. Ma se 1 MW serve un ettaro, installare 7 GW di pannelli solari - tanti ne servirebbero - vorrebbe dire occupare una superficie pari a 7.000 campi da calcio... Nessuno ha la bacchetta magica e non servono slogan sempre più ambiziosi. Soprattutto, questi risultati non si otterranno solo grazie agli interventi delle istituzioni: c'è bisogno di uno slancio dal basso e del contributo di tutti. “La questione cruciale è trovare equilibrio adeguato alla realtà. La scelta di elettrificare tutti i trasporti, per esempio, è ideologica: blocca la ricerca sui biocarburanti e sui nuovi motori. Senza una cultura capace di guardare la realtà tutta intera si fanno solo danni”. “La domanda da farsi - ha concluso Raffaele Cattaneo - è con quale antropologia affrontiamo il tema del cambiamento climatico. Senza una visione adeguata della storia, dell'uomo e della realtà non ci potrà essere una vera svolta ecologica. Urge la necessità di una cultura e una visione politica all’altezza della sfida. La Laudato si’ è la Rerum Novarum dei nostri tempi”.

  • Stop alle modifiche unilaterali, le associazioni scrivono alla Commissione

    A una settimana dall’entrata in vigore del decreto-legge 9 agosto 2022 n. 115, meglio noto come Aiuti-Bis, le associazioni di categoria italiane - Utilitalia, Elettricità Fututa, Energia Libera, Proxigas, Aiget, Assogas - hanno scritto alla Commissione europea per denunciare la sospensione, fino al 30 aprile 2023, delle modifiche unilaterali dei contratti di fornitura di energia e gas, anche se tale possibilità è prevista nei contratti già sottoscritti. La misura, contenuta negli articoli 3 e 4 del decreto, mira a salvaguardare i consumatori. Nei fatti però, come denunciano le associazioni, rappresenta una minaccia per il mercato interno dell’energia e per i rivenditori che sono già in difficoltà a causa dell’altissima volatilità dei prezzi del gas naturale. Nei prossimi mesi, infatti, se i prezzi dell’elettricità e del gas aumenteranno - e purtroppo i motivi non mancano - i fornitori non riusciranno a recuperare i maggiori costi, con conseguenze gravissime, fino il fallimento. Ricordiamo che nei mesi scorsi era pressoché impossibile prevedere nell’entità e soprattutto nella durata gli attuali incrementi di costo e dunque è facilmente comprensibile come la gran parte dei contratti di fornitura sottoscritti da tempo - tanto più se a prezzo fisso - siano diventati antieconomici. Del resto, in diverse comunicazioni, la Commissione ha chiarito come la fissazione di prezzi al dettaglio inferiori ai costi non possa essere considerata una soluzione coerente con i principi europei in materia di antitrust e di aiuti di stato, tanto nel lungo quanto nel breve termine. Le associazioni sottolineano come la sospensione delle modifiche unilaterali avrà conseguenze negative anche sui nuovi contratti al dettaglio, spingendo i fornitori a proporre offerte di vendita direttamente agganciate al prezzo del mercato all’ingrosso (quello che si forma quotidianamente nella Borsa elettrica italiana). Trasferendo quindi tutta la volatilità di quest’ultimo, senza il ricorso a strumenti di copertura, anche su normalissimi, piccoli consumatori finali. Al contrario, concludono le associazioni, il governo italiano dovrebbe continuare ad aiutare i consumatori bisognosi, oltre che con i bonus sociali, con la riduzione degli elementi fiscali e parafiscali e l’introduzione di misure per ridurre il costo del gas naturale importato. a.s

  • Idrogeno, Porsche simula l’utilizzo su una Cayenne

    Porsche, come sanno tutti gli appassionati, è sempre stata anche una società di ingegneria che ha lavorato - e lavora - anche per altre case automobilistiche, e non solo. Citiamo al volo l’Audi RS2 Avant, la Mercedes 500E e l’Harley-Davidson V-Rod. E proprio Porsche Engineering è scesa in pista, ancorché virtualmente, per testare l’uso dell’idrogeno direttamente nel motore a combustione interna. Una soluzione, dunque, da affiancare ai carburanti alternativi, in particolare gli e-fuel (dove Porsche è più avanti di tutti), per utilizzare anche nei prossimi decenni le auto endotermiche senza problemi di emissioni. La combustione con idrogeno, infatti, non emette CO2, resterebbero solo le emissioni di ossidi di azoto che però sarebbero ben al di sotto dei limiti fissati dalla norma Euro 7, ancora in discussione, e prossime allo zero con tutte le mappature del motore. Da notare l’attenzione a mantenere bassi i consumi di carburante pur eguagliando potenza e coppia dei motori a benzina, come ha sottolineato Vincenzo Bevilacqua, che in Porsche Engineering è Senior Expert Engine Simulation. Per il motopropulsore sono partiti dall’otto cilindri, 4.400 biturbo a benzina, da 550 CV - o meglio dal suo set di dati digitali che sono modificati tenendo conto delle specifiche dell’idrogeno, come ad esempio il rapporto di compressione, e di turbocompressori dedicati. Quattro i prototipi testati per arrivare a sistema turbo con compressori back-to-back, con due compressori, in disposizione coassiale, azionati dalla turbina oppure da un motore elettrico di supporto tramite un albero comune: l’aria scorre attraverso il primo compressore, passa nell’intercooler e quindi viene ricompressa nel secondo. Come vettura è stata scelta la gemella digitale della Cayenne (lo stesso motore è montato anche sulla Panamera) che nel giro virtuale al Nürburgring non è andata male, raggiungendo una velocità massima di 261 km/h. Certo non siamo ancora vicini alla messa su strada, ma è altrettanto vero che si può ormai annoverare anche Porsche - e potenzialmente pure per conto terzi - nella crescente lista di case automobiliste interessate all’idrogeno. Il che non è affatto poco. a.s.

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