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  • Celle a combustibile sempre più made in Corea del Sud

    Nel gennaio 2019 la Corea del Sud ha emanato l’Hydrogen Economy Promotion and Hydrogen Safety Management Act, una delle prime strategie per promuovere lo sviluppo dell’idrogeno. Con questo documento il governo sudcoreano ha messo l’idrogeno verde al centro della propria politica industriale, puntando a svilupparne il mercato e a creare una catena di valore. In linea con questa politica, alla presenza del presidente Moon Jae-in e del vice primo ministro Hong Nam-ki, sono iniziati i lavori per la realizzazione di due factory per celle a combustibile a idrogeno nella città di Incheon, a ovest di Seoul, e di Busan, la principale città portuale del Paese. Gli stabilimenti, che inizieranno la produzione di massa nella seconda metà del 2023, saranno in grado di fabbricare 100.000 celle a combustibile a idrogeno ogni anno, andando così a rafforzare la leadership di mercato a livello globale della Corea del Sud. Con i nuovi siti si prevede di allargare la produzione dei sistemi a celle a combustibile destinati a nuovi ambiti: oltre che per le auto elettriche, anche al trasporto aereo leggero, alle macchine edili e alle attrezzature agricole. Noh Hyeong Ouk - ministro delle Terre, delle Infrastrutture e dei Trasporti sudcoreano - ha inoltre annunciato che sono state individuate le prime quattro realtà urbane candidate a diventare le prime città a idrogeno del Paese. Con un investimento di 29 miliardi di won (circa 21 milioni di euro) per ogni città, Ansan, Ulsan, Wanju e Jeonju si apprestano a sostituire le fonti energetiche attualmente in uso sfruttando le tecnologie a idrogeno.

  • Egitto e Arabia Saudita uniti... in corrente continua

    I governi di Egitto e Arabia Saudita hanno sottoscritto con tre consorzi, formati da aziende locali e internazionali, i contratti per la realizzazione di un collegamento tra le reti elettriche dei due Paesi. Con questa firma, avventa nel corso di una cerimonia svoltasi alla presenza di Mohamed Shaker, ministro dell’Elettricità egiziano, e di Abdulaziz bin Salman, ministro dell’Energia saudita, i due Paesi arabi potranno scambiare fino a 3 GW di energia elettrica nelle ore di punta, con tecnologia in corrente continua HVDC e con una tensione di 500 kV. Con un costo stimato di 1,8 miliardi di dollari, il progetto prevede la costruzione di tre sottostazioni di trasmissione ad alta tensione: due in Arabia Saudita, a Medina e a Tabuk, e una terza in Egitto, a Badr, a Est del Cairo. Le sottostazioni saranno collegate grazie a linee di trasmissione aeree lunghe 1.350 km e cavi marini di 22 km nel Golfo di Aqaba. Il collegamento, che dovrebbe diventare operativo a partire dalla fine del 2024, aumenterà la sicurezza per le due reti nazionali in previsione di un aumento della generazione da rinnovabili e potrà fare dell’Arabia Saudita un hub regionale per lo scambio di energia elettrica con altri Paesi.

  • Per l’Università di Aberdeen "il colore dei soldi" è sempre più solo green

    La transizione ecologica è un processo che non riguarda semplicemente la generazione di energia. La lotta al climate change coinvolge tutto il sistema economico-produttivo. E, ovviamente, anche il mondo finanziario, dove fondi d’investimento, banche e assicurazioni puntano sempre più su quelle società che mettono la sostenibilità al centro del loro modus operandi. Un’attenzione, quella per la finanza verde, mostrata anche dall’Università scozzese di Aberdeen che, in linea con la prossima COP26 di Glasgow, ha deciso il disinvestimento dai combustibili fossili. Il Direttivo dell’Università ha infatti approvato di escludere entro il 2025 dal suo portafoglio di investimenti – pari a ben 52,7 milioni di sterline (quasi 62 milioni di euro) le società di estrazione di combustibili fossili, per incoraggiare e sostenere la transizione verso una economia a basse emissioni di carbonio. “Attualmente – dichiara l’Ateneo in una nota - non investiamo direttamente in nessuna società di combustibili fossili e le partecipazioni indirette in asset pool sono inferiori al 3 per cento del portafoglio totale. Mentre perseguiamo le opportunità alternative, ridurremo a zero tali partecipazioni in asset aggregati entro il 2025”. Non solo; l’Università di Aberdeen ha anche annunciato che entro il 2025 almeno il 5 per cento del proprio portafoglio sarà investito, direttamente o attraverso fondi comuni, in aziende e settori che mirano esplicitamente a fornire un ritorno ambientale e sociale oltre che finanziario.

  • A Santo Domingo sole, vento e… gas naturale!

    Intervenuto durante il convegno Energyear Caribe 2021, il neo ministro dell’energia e delle miniere dominicano Antonio Almonte ha dichiarato che la Repubblica Dominicana modificherà e aggiornerà la Legge 57-2007. Legge che incentiva lo sviluppo delle fonti rinnovabili, per adeguarla ai più ambiziosi obiettivi di decarbonizzazione e alle nuove tecnologie, in particolare per quanto riguarda l’eolico e il solare. Proprio per aumentare la generazione da FER, nell’ultimo anno sono stati inaugurati nel Paese parchi fotovoltaici per 150 MW e sono in fase di approvazione nuovi progetti, tra eolico e fotovoltaico, per altri 700 MW. Inoltre, in vista della dismissione della centrale a carbone di Punta Catalina, il governo ha indetto una gara pubblica internazionale per la costruzione di un impianto a gas naturale da 800 MW di potenza e che – secondo Antonio Almonte – garantirà al Paese “un approvvigionamento energetico sicuro e a un prezzo competitivo”. Attualmente le energie rinnovabili rappresentano il 23 per cento del mix energetico, con 1 GW di capacità installata.

  • Libano, una luce in fondo al tunnel?

    La Banca mondiale giudica la crisi economica che sta colpendo il Libano tra le tre peggiori attraversate da una nazione dal 1850 ad oggi. Il momento particolarmente difficile che sta attraversando il Paese dei cedri coinvolge infatti ogni aspetto: finanziario, economico, politico, sociale, infrastrutturale, umanitario e – ovviamente – energetico. Il tracollo economico, con il default del 2020, ha portato a drammatiche carenze di combustibili e di elettricità, con blackout anche di 22 ore al giorno. Un primo aiuto sembra ora arrivare dalla Giordania, che sta prendendo accordi con il nuovo governo libanese. Durante la sua visita ufficiale, il primo ministro giordano Bisher Al Khasawneh ha infatti assicurato che “la Giordania ha preso l’impegno di aiutare il Libano a risolvere la crisi energetica”. In particolare, il governo giordano si impegna a intervenire per accelerare il processo che consentirà di riportare nel Paese il gas naturale proveniente dall’Egitto, passando attraverso la Siria. Flusso che però potrà riprendere solo dopo i necessari controlli all’infrastruttura, che non viene utilizzata ormai da 10 anni. Intanto è venuta meno, per la scadenza del contratto, anche la fornitura da parte della società turca Karpowership, che dal 2013 forniva 370 MW attraverso due mega-generatori posizionati su chiatte ormeggiate nel porto di Beirut.

  • Panama si prenota per stoccare l’idrogeno verde

    Con il documento Lineamientos Estratégicos de la Agenda de Transición Energética 2020- 2030, il governo di Panama ha definito la propria roadmap verso la decarbonizzazione. Il piano si basa su diversi obiettivi, tra cui mobilità elettrica, generazione distribuita, efficienza energetica e accesso universale all’elettricità. Quest’ultima è la prima e principale questione da risolvere, secondo il Segretario nazionale all’Energia Jorge Rivera. Infatti il governo di Panama, sebbene negli ultimi anni abbia lavorato per espandere l’elettrificazione rurale, stima che saranno necessari nuovi investimenti per circa 350 milioni di dollari affinché tutto il Paese sia raggiunto dall’elettricità entro il 2030. Secondo il Ministero dell’Energia ad oggi sono circa 93.000 le famiglie panamensi senza accesso all’energia elettrica. Si tratta per la maggior parte di piccole comunità situate in zone remote, montuose o boschive. Panama - che a febbraio 2022 ospiterà l’Energy and Climate Partnership of the Americas (ECPA) incentrato su “Transizioni energetiche giuste e inclusive” - punta a eliminare l’uso del carbone entro il 2023, e mira a diventare un hub di bunkeraggio per l’idrogeno pulito, affiancando le infrastrutture già presenti per lo stoccaggio del gas naturale liquefatto (GNL) prodotto negli Stati Uniti. Il Paese sta anche riprendendo i colloqui con il governo della Colombia per realizzare un’ambiziosa interconnessione elettrica di circa 500 chilometri, che avrà una capacità di trasmissione di 400 MW, con due tratti terrestri rispettivamente di 220 chilometri e 150 chilometri e uno sottomarino di 130 chilometri.

  • CESI, Codazzi riconfermato. Bortoni alla presidenza del CdA

    Leader mondiale indipendente nel testing, nell’ispezione e nella certificazione di componenti elettromeccanici per il settore elettrico, il Centro Elettrotecnico Sperimentale Italiano (CESI) rinnova il Consiglio di Amministrazione e riconferma Matteo Codazzi come Amministratore delegato. Quando si parla di testing e di consulenza per il settore elettrico, si parla tout court di CESI. E non solo per l’Italia; il Gruppo è infatti leader mondiale, con clienti sparsi in 70 Paesi, con sedi a Milano, Arnhem, Berlino, Mannheim, Chalfont (USA), Praga, Dubai, Rio de Janeiro, Santiago del Cile e Knoxville (USA). Il Gruppo CESI svolge un ruolo fondamentale nel supportare i player del settore elettrico nel difficile percorso verso la transizione energetica, nella resilienza delle reti e la riduzione delle emissioni. È inoltre tra le poche realtà al mondo a sviluppare e produrre celle solari avanzate (III-V triple junction GaAs) per applicazioni spaziali e terrestri (CPV). Successi e crescita globale – nonostante le criticità legate alla pandemia - che hanno portato gli azionisti a riconfermare Matteo Codazzi come amministratore delegato del Gruppo per il triennio 2021-2023. “Negli ultimi anni CESI ha saputo cogliere la sfida posta dall’evoluzione del settore energetico - ha dichiarato Codazzi - trasformandola in un’opportunità di crescita e divenendo un leader con presenza globale nei servizi per l’innovazione e la transizione energetica. In questo scenario, l’autorevolezza, l’indipendenza e le profonde competenze di una personalità di grande rilievo istituzionale, come il Presidente Bortoni, sono un apporto essenziale per il futuro di CESI”. L’assemblea ha infatti nominato Presidente del CdA Guido Bortoni, già al vertice di ARERA – Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente dal 2011 al 2018 e da luglio 2019 Senior Advisor - Regulatory presso la Direzione Generale Energia della Commissione Europea. Nel nuovo Consiglio di Amministrazione del Gruppo anche Alberto Calvo, Antonio Cammisecra, Ernesto Ciorra, Giuseppe Del Villano, Giacomo Donnini, Fabio Ignazio Romeo, Francesco Venturini e Flavio Villa. “È un ritorno nei luoghi in cui è iniziata la mia carriera - ha commentato Bortoni - dove ho avuto l’opportunità di sviluppare un background attestato sulle best practice italiane ed europee, essenziale per il dialogo con Istituzioni e player nel mondo dell’energia. Ritrovo oggi un Gruppo più espanso, diversificato e ulteriormente migliorato, che con i suoi servizi di testing e consulting si pone come coadiutore e ispiratore degli attori della trasformazione energetica globale”. Congratulazioni Presidente, e buon lavoro!

  • In Polonia via dal carbone con l’eolico offshore

    Il phase-out dal carbone è alla base del processo di decarbonizzazione intrapreso dall’Europa. Una strada non semplice e scontata per Paesi che hanno in questa fonte fossile la loro principale risorsa energetica. La Polonia, che ancora nel 2020 lo ha usato ricavandone il 71 per cento dell’energia elettrica, ha adottato una nuova politica energetica al 2040 (PEP2040) per ridurne gradualmente l’utilizzo, portando al 56 per cento la sua quota nel mix energetico al 2030, con un aumento al 23 per cento della quota di energia da FER. Per accrescere la generazione da rinnovabili, il governo polacco punta in particolare a sviluppare l’eolico. Con uno stanziamento previsto di 22,5 miliardi di euro saranno realizzati parchi eolici offshore per una capacità di 5,9 GW al 2030 e 11 GW entro il 2040, che porteranno alla creazione di 60.000 nuovi posti di lavoro diretti e indiretti. Sempre all’interno della PEP2040, si prevede che nel 2024 la capacità fotovoltaica possa raggiungere gli 8,3 GW. Nel 2020, secondo i dati di Polskie Sieci Elektroenergetyczne (PSE), la società che gestisce la rete elettrica polacca, il carbone fossile ha rappresentato il 47 per cento della produzione di energia primaria, seguito da lignite (24,9 per cento), gas naturale (9,1 per cento), petrolio greggio (1,6 per cento) e fonti rinnovabili (10,75 per cento).

  • Energia dai rifiuti anche nel profondo della Penisola araba

    In uno dei Paesi più poveri del mondo, lo Yemen, dove il 92 per cento della popolazione vive con meno di 40 dollari al mese, il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) in partnership con l’Unione Europea ha lanciato un nuovo progetto - il primo del genere nel Paese - per la realizzazione di un termovalorizzatore nel governatorato di Lahj. L’impianto potrà trasformare fino a cinque tonnellate al giorno di rifiuti solidi urbani e agricoli e generare con il gas prodotto circa 100 kWh di elettricità, sufficiente per alimentare 100 attività commerciali e generare circa 7.500 posti di lavoro per gli abitanti delle aree rurali, impiegando tecnici locali per il funzionamento e la manutenzione. Contribuirà inoltre a garantire l’accesso all’elettricità a un prezzo accessibile e a ridurre l’emissione di gas climalteranti. “Lo Yemen – ha dichiarato Auke Lootsma, rappresentante dell’UNDP nel Paese - è altamente vulnerabile agli impatti dei cambiamenti climatici e ciò ha portato a carenze energetiche che, insieme a una cattiva gestione dei rifiuti solidi, creano grandi rischi per la salute umana”. L’iniziativa mira infatti a incoraggiare le comunità, il settore privato e le istituzioni ad adottare soluzioni innovative per il miglioramento dei mezzi di sussistenza e la sicurezza climatica.

  • IRENA e AIIB insieme per un’Asia sempre più green

    In Asia oggi vive circa il 60 per cento della popolazione mondiale e contribuisce a quasi il 50 per cento delle emissioni globali di gas climalteranti legate all’energia. Nel 2020 le energie rinnovabili rappresentavano solo il 15 per cento del consumo totale di energia primaria. Nell’ottica di contribuire maggiormente allo sviluppo di nuovi progetti green, è stato recentemente siglato un accordo tra l’Asian Infrastructure Bank (AIIB) e l’International Renewable Energy Agency (IRENA). Il memorandum d’intesa prevede infatti un impegno a lavorare insieme per sostenere la transizione energetica dell’Asia, accelerando gli investimenti e mobilitando capitali privati ​​per nuovi impianti di generazione da FER. “Attraverso partnership come questa - ha dichiarato Francesco La Camera, direttore generale di IRENA - possiamo catalizzare il flusso di capitali verso le energie rinnovabili e le infrastrutture legate alla transizione energetica, per costruire un sistema più resiliente, sostenibile e inclusivo”. “Con la crescente domanda di energia dell’Asia – ha sottolineato Jin Liqun, presidente di AIIB - e le sfide del cambiamento climatico, dobbiamo garantire che la regione investa più che mai nelle energie rinnovabili e nell’efficienza energetica, per facilitare la transizione verso un mix energetico a basse emissioni di carbonio”. Negli ultimi cinque anni, AIIB ha investito in 12 progetti di energia rinnovabile, per un importo di 1,25 miliardi di dollari, in Egitto, India, Kazakistan, Maldive, Oman, Pakistan, Tagikistan, Turchia e Nepal.

  • Sulla via della seta 100 MW di nuova capacità eolica

    Nell’ultimo documento di programmazione Concept note for ensuring electricity supply in Uzbekistan in 2020-2030, il governo dell’Uzbekistan ha riconsiderato i propri obiettivi di implementazione delle rinnovabili, aumentando da 5 a 7 GW la capacità di generazione da solare e da 3 a 5 GW quella eolica. In linea con questo programma, il Ministero dell’Energia ha annunciato il via di un nuovo progetto per un parco eolico da 100 MW nella regione del Karakalpakstan. Una volta completato - la messa in funzione è prevista tra due anni – la wind farm genererà circa 350 GWh l’anno, consentendo un risparmio di 160.000 tonnellate/anno di CO2. “L’Uzbekistan - ha dichiarato Sherzod Khodjaev, viceministro dell’Energia della Repubblica dell’Uzbekistan - sta facendo grandi passi in avanti per diminuire la dipendenza dai combustibili fossili e ridurre le emissioni di CO2 . Questo progetto è una componente chiave della nostra ambiziosa e più ampia strategia energetica per lo sviluppo di fonti di energia rinnovabili”. Il Paese sta anche lavorando a stretto contatto con la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS) per aprire il settore energetico nazionale agli investimenti privati.​ Per attirare capitali stranieri ha in programma la realizzazione di tre nuovi impianti fotovoltaici nelle regioni di Namangan, Bukhara e Khorezm, per una capacità complessiva di 500 MW.

  • Materie prime critiche, la lista aggiornata dell’UE

    Le risorse, ormai lo sappiamo bene, non sono infinite. La crescita della popolazione, l’industrializzazione e la digitalizzazione porteranno a una crescita della domanda di materie prime che è destinata ad aumentare in modo esponenziale, soprattutto nel prossimo decennio. Il tema dell’approvvigionamento dei materiali rari preoccupa anche la Comunità europea, tanto da spingere la Commissione a stilare un elenco di materie prime critiche (CRM) e ad aggiornarlo ogni 3 anni. Le materie prime sono alla base delle tecnologie pulite, dei pannelli solari, delle turbine per l’eolico, delle auto elettriche e dell’illuminazione a basso consumo. Gli sfidanti obiettivi di decarbonizzazione insieme a quelli legati alla produzione di energia rinnovabile ci fanno intuire perché l’UE si interessi tanto all’accesso e alla reperibilità di queste risorse. Le terre rare non riguardano solo le alte sfere energetiche e l’industria; in realtà ci sono molto più vicine di quello che crediamo. Un ormai comunissimo smartphone può contenere fino a 50 tipi di metalli diversi. Che se non fossero facilmente fruibili potrebbero rendere il telefono - e altre comodità - molto meno comuni. Nel 2020 l’UE ha effettuato la più recente valutazione di criticità su materie prime non energetiche e non agricole. Tra terre rare pesanti e leggere, metalli del gruppo del platino ed elementi singoli, si è arrivati a una lista di 83 nomi, più del doppio rispetto al primo elenco stilato nel 2011. Tra le nuove entrate, troviamo bauxite, litio, titanio e stronzio. È stato invece escluso l’elio per la sua scarsa importanza economica, pur con qualche preoccupazione per la sua distribuzione molto concentrata. Il nichel è tra gli elementi da tenere d’occhio per il prossimo elenco, per la prevista crescita nella domanda di accumulatori. Leggi l'articolo completo sul sito di Nuova Energia.

  • Scaldare Milano a biomassa? Servirebbe mezza Lombardia!

    Per contrastare il riscaldamento globale è necessario ridurre le emissioni di gas serra di circa il 50 per cento entro il 2030, con l’arrivo a quota zero atteso per il 2050. Emissioni che sono dovute soprattutto alla generazione di energia elettrica, al riscaldamento e ai trasporti. E se è vero che si va verso una sempre maggiore urbanizzazione, la partita si giocherà in larga parte nelle città. Una partita che va giocata già ora. Ebbene, come alimentare i consumi energetici di una città come Milano esclusivamente con soluzioni a energia rinnovabile provate, funzionanti, commercialmente disponibili e a costi conosciuti? Prova a ipotizzarne lo scenario Gianguido Piani, in un articolo di Nuova Energia. “Le tecnologie "sostenibili" (con virgolette d’obbligo) di riscaldamento attualmente conosciute - afferma Piani - sono la generazione termica da fonte solare con accumulo stagionale oppure il riscaldamento a biomassa. In Europa sono stati fatti numerosi tentativi di riscaldamento di quartieri o piccoli insediamenti con generazione solare e accumulo termico stagionale; i risultati però sono stati finora insoddisfacenti e restano parecchi dubbi sulla fattibilità in larga scala di questa soluzione. Restano legna e pellet”. E se a Milano nel 2018 sono stati consumati 1.036,3 milioni di metri cubi di metano, con un contenuto energetico di 11.078 GWh, l’area boschiva necessaria per alimentare tali consumi risulta essere 10.000 chilometri quadrati. E dal momento che la Lombardia ha un’estensione di 24.000 chilometri quadrati, il bosco ideale per riscaldare Milano prenderebbe poco meno della metà dell’intera superficie regionale.

  • Litio, arriverà dalla Serbia "l’oro bianco" per le e-car

    Una delle criticità che accompagna il percorso verso la decarbonizzazione è lo sfruttamento dei minerali critici, come litio, nickel, cobalto, manganese e grafite indispensabili per le batterie delle auto elettriche e le cosiddette terre rare, essenziali ad esempio per le turbine eoliche. In Serbia, il cui sottosuolo ospita tra le più grandi riserve di litio al mondo, è in fase di realizzazione il controverso progetto per l’estrazione di un silicato di litio e boro chiamato jadarite, dal nome del fiume Jadar nei pressi del quale è stato scoperto. Lo sfruttamento della miniera, che sorge a circa 130 chilometri da Belgrado e dovrebbe essere produttiva dal 2026, trasformerebbe la Serbia in uno dei maggiori produttori di litio, definito ormai oro bianco. Un progetto che però rischia di produrre, secondo gli oppositori del Governo, danni ambientali maggiori dei supposti benefici economici, mettendo in pericolo la salute pubblica degli abitanti delle zone interessate; in particolare per l’arsenico che potrebbe finire nei corsi d’acqua. Secondo il Governo serbo, i progetti relativi allo sfruttamento della jadarite porteranno più di 1.000 nuovi posti di lavoro diretti e altri 1.500 indiretti e contribuiranno per l’1 per cento al PIL del Paese. Zorana Mihajlović, ministro delle Miniere e dell’energia, ha dichiarato che il valore complessivo delle riserve minerarie in Serbia è di oltre 200 miliardi di euro.

  • Estonia e Lettonia sempre più eoliche e interconnesse

    In accordo con il Latvian National Energy and Climate Plan 2021-2030 e l’Estonian National Development Plan of the Energy Sector 2030, i due Paesi baltici hanno intrapreso un nuovo progetto comune per la realizzazione di un nuovo parco eolico offshore, all’interno del progetto ELWIND. I Ministeri dell’Economia di Estonia e Lettonia hanno infatti dato mandato a due società per uno studio di pre-fattibilità di un parco eolico offshore nel golfo di Riga, con una capacità prevista di 1 GW; lo studio, che sarà disponibile entro la fine dell’anno, preselezionerà aree idonee di circa 200 km quadrati ciascuna valutando una serie di criteri tecnici, economici e di sostenibilità. Una volta realizzato, il parco eolico produrrà 3,5 TWh di elettricità l’anno, soddisfacendo circa il 40 per cento del consumo annuo di elettricità dell’Estonia. Nell’ambito del progetto ELWIND, i due TSO Elering (estone) e AS Augstsprieguma tikls (lettone) stanno sviluppando una rete di trasmissione offshore tra i due Paesi, alla quale in futuro potranno essere collegati altri grandi parchi eolici. Dal momento che il progetto ELWIND vede coinvolti due Paesi, potrebbe ottenere lo status di importanza regionale e ricevere contributi europei dai fondi del CEF RESS (The Connecting Europe Facility of renewable energy). Recentemente è stata inaugurata la terza interconnessione Estonia-Lettonia, una linea di trasmissione elettrica a 330 kV che ha notevolmente migliorato la sicurezza dell’approvvigionamento elettrico in entrambi i Paesi, aumentato la capacità di scambio transfrontaliero di elettricità e rafforzato ulteriormente la rete in vista della prevista disconnessione degli Stati baltici dalle reti elettriche di Russia e Bielorussia, nel 2025.

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