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- Da Genova a Venezia salpa la “Monte Bianco” tutta italiana
Con una potenza di 760 MW, una temperatura di ingresso di 1.500 gradi e oltre 520 tonnellate di peso, la nuova turbina GT36 di Ansaldo Energia è la più potente e performante mai costruita in Italia. Nonostante le restrizioni imposte dalla pandemia non abbiano consentito la realizzazione di un evento classico, i pochi presenti nello stabilimento di Genova e i molti partecipanti digital non hanno potuto nascondere la grande emozione per la presentazione della nuova turbina a gas di Ansaldo Energia. Prodotta per l’impianto a ciclo combinato di Marghera di Edison, la nuova turbina a gas di classe H di Ansaldo Energia è la più potente e performante mai realizzata in Italia. Costruita interamente nello stabilimento di Genova, la “Monte Bianco” - così è stata ribattezzata per la sua potenza - consentirà un rendimento energetico pari al 63 per cento, un abbattimento delle emissioni di CO2 del 40 per cento rispetto alla media del parco termoelettrico italiano e di oltre il 70 per cento per quanto riguarda l’ossido di azoto (NOX). Grazie a queste performance, quello di Edison diventerà così l’impianto termoelettrico più efficiente d’Europa. “Siamo un’azienda abituata a parlare con i fatti e con i numeri”, ha esordito Giuseppe Marino, amministratore delegato di Ansaldo Energia. “Ne do alcuni: questa turbina ha una potenza di 760 MW, può fornire energia a oltre 250.000 abitazioni, la temperatura di ingresso è di oltre 1.500 gradi, è lunga 13,4 metri e pesa oltre 520 tonnellate”. “Ci sono voluti 3 milioni e 700 mila ore di ingegneria - ha aggiunto l’ingegner Marino - per realizzare un progetto che ha coinvolto 250 fornitori su tutto il territorio nazionale, ha previsto accordi con oltre 40 università e centri di ricerca e ha comportato un investimento di oltre 600 milioni di euro.” Una ulteriore dimostrazione che per fare investimenti di tale portata serve la capacità di fare sistema per vincere una competizione sempre più aggressiva. Sono pochi i Paesi al mondo capaci di realizzare un prodotto come questo - Stati Uniti, Germania, Giappone - e tra questi pochi c’è, con orgoglio, anche l’Italia. Queste tecnologie hanno soprattutto bisogno di un cliente - come Edison - con una visione strategica molto avanzata e che creda nel prodotto. “Sono emozionato anche io - ha dichiarato Nicola Monti, amministratore delegato di Edison - perché questo progetto è frutto di una lunga collaborazione tra due aziende centenarie che hanno sempre avuto la capacità di guardare avanti. Al centro di questo nostro progetto c’è la sostenibilità della produzione e della fornitura elettrica, in pieno accordo con gli obiettivi del Green Deal europeo e del PNIEC”. La GT36 deve ora affrontare una particolare crociera. Con le sue 525 tonnellate - come 500 utilitarie messe insieme - sarà imbarcata su una nave cargo e, circumnavigato lo Stivale per giungere a destinazione, potrà essere installata nella centrale di Marghera.
- Con un poco di zucchero... energia anche per la mobilità
Da rifiuto a risorsa. Si può sintetizzare così il mantra dell’economia circolare. È quello che nel nostro Paese già avviene in molti campi e - fuor di metafora - è ciò che avverrà nei campi (coltivati) dell’Emilia Romagna. Dagli scarti agricoli si otterrà infatti energia verde, grazie a un progetto che vede protagonisti la Regione, Confagricoltura Emilia-Romagna e la Confederazione generale bieticoltori italiani (CGBI). La produzione di biogas e biocarburante per la mobilità di nuova generazione avverrà grazie a impianti con potenza elettrica fino a 300 kW, a partire da sottoprodotti agricoli e reflui zootecnici sviluppati già da diversi anni dalla Confederazione. Come sottolinea Marcello Ortenzi su TeatroNaturale.it, la coltivazione delle barbabietole per produrre biogas e biometano rappresenta una scelta innovativa per ampliare la rotazione agronomica e interrompere la monocoltura a cereali per 1.600 impianti presenti in Italia e alimentati prevalentemente a insilati. La barbabietola, inserita nel processo di digestione anaerobica, offre anche il vantaggio di aumentare la velocità fermentativa della bietola, utilizzando una quantità ottimale della razione, pari al 25-30 per cento. Un’opportunità per tutto il centro-nord Italia per lo sviluppo e il rilancio dell’economia attraverso l’efficientamento energetico e la graduale decarbonizzazione dei trasporti, nell’ambito degli obiettivi prefissati dal Green Deal europeo. “Le proposte delle associazioni vanno nella direzione dell’economia circolare e dell’impiego di sottoprodotti in grado di produrre energia, entrambe direttrici strategiche per la Regione Emilia-Romagna” ha dichiarato Alessio Mammi, assessore regionale all’Agricoltura. “Il settore bieticolo-saccarifero è importante per la rotazione colturale e la produzione dello zucchero; comparto, quest’ultimo, che il nostro Paese deve provare a sostenere. La filiera rientra tra i finanziamenti regionali del Programma di sviluppo rurale, anche attraverso un premio accoppiato che riconosce significativi contributi a ettaro, e potrebbe promuovere l’integrazione del reddito di una fetta importante di imprese agricole del nostro territorio, anche di piccole dimensioni. Occorre quindi continuare a investire”. La Confederazione generale bieticoltori italiani ha alle spalle oltre un secolo di storia. Riunisce le due storiche associazioni nazionali di bieticoltori, ANB e CNB, e affianca più di 5.000 imprese agricole nel percorso di crescita all’interno di efficienti filiere agroalimentari e agroenergetiche (biomasse, biogas e biometano). Da dieci anni valorizza il sottoprodotto della barbabietola da zucchero a fini energetici, che va ad alimentare i 18 impianti biogas aderenti al gruppo, riconoscendo all’associato una integrazione di reddito fino a 5 euro a tonnellata sul prezzo industriale.
- Approda a Savona un nuovo accordo per lo storage
La spinta verso la sostenibilità dello shipping e della portualità passa necessariamente dal finanziamento dell’innovazione e delle infrastrutture. La cronica scarsità di fondi pubblici, resa più drammatica dal fardello della pandemia, rende l’argomento di stretta attualità. Qualcosa però si muove... controcorrente. È stato infatti siglato un accordo tra Falck Renewables - Next Solutions e S.V. Port Service (la società fornitrice di servizi nei porti di Savona e Vado Ligure) per l’analisi e il potenziale sviluppo di soluzioni di accumulo elettrico legato alla gestione delle micro-reti nei due porti. Il progetto prevede l’installazione di un sistema di storage in prossimità della stazione elettrica che alimenta la piattaforma logistica del porto, attraverso il quale è possibile partecipare ai mercati energetici ancillari. “Abbiamo trovato in S.V. Port Service un partner proattivo e consapevole del valore sperimentale della proposta. Si tratta di un progetto che può fare da apripista per lo sviluppo di sistemi di storage nelle sedi portuali” spiega Marco Cittadini, amministratore delegato di Falck Renewables - Next Solutions. La proposta, della durata di 10 anni, prevede soluzioni in grado di potenziare l’offerta dei servizi di rete erogati dal sito e l’ottimizzazione della relativa domanda energetica attraverso una migliore gestione dei carichi in consumo. L’iniziativa è in linea con gli obiettivi di transizione energetica previsti dal Piano nazionale integrato energia e clima (PNIEC), secondo cui la produzione da fonti rinnovabili dovrà più che triplicare entro il 2030, senza però compromettere la stabilità della rete. Questo comporta la necessità di potenziare le soluzioni di storage, utili a garantire l’affidabilità, la sicurezza e la corretta gestione della complessa infrastruttura rappresentata dal sistema elettrico.
- Passante: “E-mobility? Spostiamo il baricentro sull’intera catena dell’energia”
Un numero sempre crescente di città inizia a considerare il vettore elettrico per la propria rete di trasporto. Ma per introdurre questa soluzione nel più ampio e complesso sistema di mobilità urbana non basta acquistare uno o più e-bus, e nemmeno elettrificare un’intera linea o tutta la flotta. Parte da questo spunto l’intervista di Nuova Energia a Filippo Passante, Operating Unit Manager per l’Italia della business unit Grid Integration di Hitachi ABB Power Grids. “Alla mobilità, a maggior ragione se elettrica - afferma Filippo Passante - serve proprio un punto di vista sistemico. E per essere aiutata ad adottare questo criterio, la città o l’azienda che gestisce il trasporto pubblico locale ha bisogno di interlocutori che adottino lo stesso metodo, che abbiano una competenza su tutta la catena integrata dell’energia: come la produci, come la integri, come la eroghi”. “Bisogna partire da una premessa: per affrontare la conversione all’elettrico dei trasporti rapidi di massa - continua Passante - non esiste un’unica tecnologia che vada incontro alle esigenze di ogni gestore di tpl. Perché non tutte le soluzioni vanno bene per tutti. È necessario passare a un approccio più olistico su tutta la catena della mobilità, con una logica di sistema”.
- Energia verde, firmato il più grande PPA bilaterale del Sud America
Prende corpo anche in America Latina la nuova tendenza di fornire energia pulita direttamente alle grandi aziende "energivore", riducendo così la loro impronta di carbonio e i costi di produzione. È stato firmato in Brasile, infatti, il più grande contratto bilaterale di acquisto e vendita di energia solare su larga scala. Il Power Purchase Agreement (PPA) prevede un investimento di 881 milioni di Real brasiliani ed è stato stipulato tra Atlas Renewable Energy e la britannica Anglo American Plc, una delle principali società minerarie globali (nel loro portafoglio ci sono diamanti - attraverso De Beers - rame, metalli del gruppo del platino, minerali ferrosi, carbone e nichel). L’energia verde sarà fornita dagli oltre 800.000 moduli dell’impianto fotovoltaico Atlas Casablanca, nello Stato di Minas Gerais, con una capacità installata di 330 MW. Produrrà energia sufficiente per una città di 1,4 milioni di abitanti, in base al consumo medio di una famiglia brasiliana. A partire dal 2022 l’impianto fornirà 613 GWh, che equivalgono a circa 9 TWh per i 15 anni della durata del contratto. L’accordo è parte della strategia di Anglo American che punta all’utilizzo del 100 per cento di energia rinnovabile per le proprie attività in Brasile a partire dal 2022 e si inserisce nel più ampio Anglo American Sustainable Mining Plan che ha tra gli obiettivi quello di ridurre del 30 per cento le emissioni di CO2 entro il 2030. “Con questa firma e con il contratto per la costruzione di un parco eolico a Bahia sottoscritto lo scorso dicembre - ha dichiarato Wilfred Bruijn, CEO di Anglo American in Brasile - forniremo il 90 per cento della nostra energia da fonti rinnovabili”.
- Isole Færøer, dal mare energia rinnovabile
La compagnia svedese per le energie marine Minesto sta realizzando un progetto di generazione di energia dalle maree nei pressi delle coste delle Isole Færøer. L'arcipelago, a governo autonomo e dipendente dalla Danimarca, è situato tra l’Islanda e la Norvegia, nell’Oceano Atlantico del Nord. Minesto, in collaborazione con la utility francese SEV, principale distributore di energia nell’arcipelago, installerà due convertitori di energia dalle maree, con la propria tecnologia Deep Green, nei pressi di Vestmannasund, uno stretto nella parte nord-occidentale dell’isola. L’accordo prevede che SEV si impegnerà ad acquistare l’elettricità generata fornendo inoltre le infrastrutture necessarie, come la connessione alla rete. L’installazione della prima unità è prevista per il secondo semestre 2020. Il progetto, chiamato Deep Green Island Mode (DGIM), è stato finanziato con 2,5 milioni di euro dalla Comunità Europea e vuole contribuire al raggiungimento dell’obiettivo delle Isole Færøer di produrre il 100% del proprio fabbisogno di energia elettrica da rinnovabili entro il 2030. “Siamo lieti - ha dichiarato Marin Edlund, amministratore delegato di Minesto - dei progressi compiuti nel progetto congiunto, che svolgerà un ruolo significativo nella transizione enrgetica delle Isole Færøer”. Come riconosciuto dalla Commissione Europea, per tutte le isole l’approvvigionamento di energia è costoso, spesso inquinante, inefficiente e dipendente dall'esterno, con impatti negativi significativi sulle emissioni, sulla competitività delle imprese e sull’economia. La tecnologia DGIM può fornire in modo economico elettricità pulita e prevedibile alle comunità insulari e ad altri utenti remoti.
- Transizione energetica, quale ruolo per il nucleare?
Il prossimo decennio sarà cruciale per il settore dell’energia, che giocherà un ruolo fondamentale per raggiungere gli obiettivi globali di decarbonizzazione. Le rinnovabili sono già in campo (e giocano in attacco) ma l’atomo, in questa partita, non starà in panchina. Un’ampia gamma di esperti e organizzazioni ha messo in evidenza, infatti, come il nucleare risulti necessario per assicurare energia elettrica per tutti, nel rispetto dell’ambiente e nella lotta ai cambiamenti climatici. “L’energia nucleare può svolgere un ruolo importante nella transizione energetica”: non lo dice un’associazione di parte o un club di nuclearisti incalliti, lo scrive l’International Energy Agency. Secondo il report IEA Nuclear Power in a Clean Energy System, pubblicato a maggio 2019, “nelle economie avanzate l’energia nucleare oggi rappresenta il 18 per cento della generazione ed è la più grande fonte di elettricità a basse emissioni di carbonio”. Tuttavia, la sua quota è diminuita negli ultimi anni poiché il parco impiantistico nucleare sta invecchiando, l’aggiunta di nuova capacità è ridotta al minimo e alcuni impianti costruiti negli anni ‘70 e ‘80 sono stati fermati. “Tutto questo – continua la IEA – ha rallentato la transizione verso un sistema elettrico pulito. Frenare la discesa del nucleare sarà vitale per aumentare il ritmo della decarbonizzazione nella fornitura di elettricità”. Per seguire una traiettoria coerente con gli obiettivi di sostenibilità – compresi quelli climatici globali – la crescita dell’energia elettrica da fonti “pulite” dovrebbe essere tre volte più veloce rispetto a oggi: l’85 per cento dell’elettricità globale entro il 2040, rispetto al solo 36 per cento di oggi. Dunque, conclude il report IEA, “insieme a ingenti investimenti in efficienza e nelle rinnovabili, ci sarebbe bisogno di un aumento dell’80 per cento della produzione globale di energia da fonte nucleare entro il 2040 per sostenere tale andamento”. Insomma, senza investimenti nel nucleare, realizzare un sistema energetico sostenibile sarà molto più difficile (e costoso). Certo non impossibile, ma richiederà uno sforzo straordinario.
- AIRU: il teleriscaldamento in Italia resta al palo
Nella strategia di comunicazione di AIRU, l’Annuario il Riscaldamento Urbano rappresenta il prodotto editoriale di punta, in grado di offrire la più aggiornata overview sullo stato dell’arte e sulle evoluzioni del settore in Italia. Anche per l’edizione 2019 il Riscaldamento Urbano parte dall’analisi dello sviluppo storico per poi presentare un quadro di sintesi (infrastrutture in esercizio, volumi riscaldati, calore distribuito, ...) della situazione attuale e un focus dedicato a biomasse e geotermia. Quest’anno, però, sono due le novità rispetto al passato: una nuova veste grafica per le schede tecniche di dettaglio relative a oltre 190 reti presenti su tutto il territorio nazionale, e la pubblicazione di un Estratto. “Si è scelto di proporre i contenuti anche sotto forma di Estratto - racconta Ilaria Bottio, Segretario Generale di AIRU - per coinvolgere un uditorio più ampio rispetto al precedente. L’Annuario è rivolto ai tecnici, è destinato agli accademici e agli operatori del settore. Per interessare il mondo dei decisori pubblici e rendere più fruibile da parte loro l’Annuario, abbiamo pensato ad un volume agile, di 50 pagine, con dati aggregati e non presentati in dettaglio. L’Estratto - conclude Ilaria Bottio - può rappresentare un utile strumento per i Sindaci o gli assessori regionali a supporto di una corretta ed efficace comunicazione sul territorio, per far conoscere benefici e opportunità economico/ambientali del teleriscaldamento”. AIRU ha più volte ricordato, anche in sede istituzionale, il fondamentale contributo che il teleriscaldamento può fornire al raggiungimento degli obiettivi (sottoscritti sia a livello nazionale, sia in ambito europeo) al 2030 e 2050. Molti Paesi europei hanno intrapreso già da anni programmi di sviluppo e di sostegno, con investimenti significativi sul calore distribuito, ampliando la diffusione delle reti, il numero delle città servite, le calorie distribuite. Con sconforto si constata invece che il nostro Paese sembra credere in questa tecnologia solo a parole, nel recepimento delle direttive europee. Nei fatti, nulla si realizza. Per 34 anni consecutivi si è assistito alla diffusione capillare del teleriscaldamento, ma dal 2015 tutto si è fermato. Il settore sta vivendo un momento di sofferenza, nonostante le nuove iniziative di efficientamento del servizio tramite recupero di cascami termici industriali, utilizzo di fonti rinnovabili e riduzione della fonte fossile. Le reti esistenti crescono solo grazie alla lungimiranza dei gestori e degli amministratori locali. “È noto - commenta Lorenzo Spadoni, presidente AIRU, nell’introdurre il volume - che la nuova presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, come primo atto formale ha annunciato all’Europarlamento un Green Deal per l’Europa volto a ridurre le emissioni di CO2 del 50-55 per cento al 2030. Il teleriscaldamento è stato più volte identificato come una delle soluzioni su cui puntare”. “Ma in Italia - continua Spadoni - se a parole c’è piena sintonia con Bruxelles e il PNIEC assegna al teleriscaldamento un peso crescente nelle politiche energetiche del nostro Paese, nei fatti il comparto soffre tutte le criticità di una crescita quasi zero, nonostante le aziende del nostro settore sarebbero pronte a mettere in campo investimenti di rilievo”.
- Carbone versus Khole: un confronto Italia-Germania
L’impresa di una decarbonizzazione dell’economia europea risulta notevolmente impegnativa, considerando la chiusura di altri 8 reattori nucleari in Germania e gli impatti sociali ed economici per la chiusura di centrali a lignite e carbone che nel 2018 hanno prodotto il 19,2 per cento dei 3.250 TWh nella UE. A fine 2018, i Paesi con la maggior dipendenza dal carbone risultavano essere la Danimarca, l’Olanda, la Romania, il Portogallo e la Slovenia con una quota compresa tra il 20 e 31 per cento, la Grecia con il 34 per cento, la Germania con il 36, la Bulgaria con il 43, la Repubblica Ceca con il 47 e la Polonia con il 77. L’Italia è al 12 per cento. Risulta interessante un confronto Italia–Germania sulla base dei dati consolidati al 2017. L'Italia – secondo Agora Energiewende – nel 2018 ha avuto circa 27 TWh di produzione da carbone (circa il 10 per cento del totale rispetto al 36 della Germania) con emissioni di CO2 pari a circa 25 Mt, una forte produzione da gas, niente nucleare e quindi costi di produzione ben superiori a quelli tedeschi. La Germania ha avuto nel 2018 146 TWh prodotti da lignite e 83TWh da carbone, con emissioni di CO2 valutabili in 220 Mt, pari quindi a 9 volte le emissioni per elettricità da carbone in Italia; punta molto su eolico, specie offshore, e dovrà tenere in conto l’uscita programmata entro il 2022 degli ultimi 8 gruppi nucleari. La Germania non proclama l’uscita dal carbone a breve e dal recente documento di fine gennaio 2019 della Khole commission, la propone per il 2038 a seguito di dettagliate analisi sui costi; è possibile un’anticipazione al 2035 da valutarsi nel 2032, e sono proposti 40 miliardi di euro di indennizzi per le regioni con miniere e “speciali misure da meglio definire al fine di evitare sensibili aumenti delle già alte tariffe elettriche”. È prevista la chiusura entro il 2022 di 12,7 GW di centrali a lignite; tuttavia le compensazioni sono ancora da definire e non mancano le contestazioni dei proprietari. Venendo all’Italia, è stato scritto nella SEN – e ribadito nel recente PNIEC – che tutte le centrali a carbone verranno chiuse entro il 2025. Occorre definire celermente un chiaro accordo con i proprietari delle centrali per la valorizzazione degli stranded asset e una immediata partenza delle autorizzazioni per le infrastrutture previste da Terna. Chiaramente, sia per l’Italia che per la Germania, saranno determinanti per l’effettivo raggiungimento dell’obbiettivo temporale della chiusura delle centrali a carbone le reali località e tipologia/entità delle nuove FER, le procedure per promuovere/definire gli investimenti in nuova generazione e relativi impatti sulla rete, le tempistiche per i permessi e i totali costi effettivi con la loro attribuzione a chi e come li pagherà.
- Buone notizie dal vento: 60 GW di capacità
Il secondo miglior anno per la storia dell’eolico mondiale: 60,4 GW sono stati installati a livello globale nel 2019, con un aumento del 19 per cento rispetto al 2018. È quanto emerge dal 15° rapporto Global Wind Report 2019 curato dal Global Wind Energy Council (GWEC). La capacità totale raggiunge quota 651 GW, con un aumento del 10 per cento sul 2018. Cina e Stati Uniti guidano la classifica dei più grandi mercati eolici onshore e insieme rappresentano oltre il 60 per cento della capacità installata nel 2019. L’eolico offshore gioca un ruolo sempre più importante, registrando un record di 6,1 GW nel 2019 (il 10 per cento delle nuove installazioni). “Nonostante il settore continui a registrare una crescita costante - ha dichiarato Ben Backwell, CEO di GWEC - quando si parla di transizione energetica e di obiettivi climatici non siamo ancora dove dovremmo essere. Se vogliamo avere qualche possibilità di raggiungere i target dell’Accordo di Parigi, dovremo installare almeno 100 GW di eolico ogni anno nel prossimo decennio, e arrivare a 200 GW l’anno dopo il 2030”. Il 2020 avrebbe dovuto essere un altro anno record per l’energia eolica: il report del GWEC prevedeva infatti il traguardo di 76 GW di nuova capacità. Tuttavia, gli impatti della pandemia di COVID-19 sull’economia globale, sui mercati dell’energia e su quello specifico dell’eolico sono ancora sconosciuti. Sarà necessario rivedere a breve le previsioni 2020-2024 e pubblicare una prospettiva aggiornata nel secondo trimestre 2020.
- Il Piemonte entra in Lombardia con la gestione del calore da biomassa
Le tre centrali di TCVVV - Teleriscaldamento Coogenerazione Valtellina Valchiavenna Valcamonica situate a Tirano, Sondalo e Santa Caterina Valfurva (SO) passano a CogenInfra. Il Gruppo piemontese ha infatti acquisito il 71 per cento delle azioni della società TCVVV e gestisce ora sei sistemi di teleriscaldamento tra Lombardia e Piemonte, con 111 GWh complessivi di calore distribuito. Le tre reti lombarde, alimentate da caldaie a biomassa, servono complessivamente 1.240 clienti; è già stata programmata per la primavera 2021 l’estensione della rete a Tirano e l’ammodernamento della centrale di Sondalo. Oltre alle tre reti acquisite da TCVV, CogenInfra gestisce già le centrali di Mondovì e di Borgaro Torinese. “Il nostro approccio - ha dichiarato Ilaria Cannata, presidente del Consiglio di gestione di CogenInfra - è quello di ottimizzare gli impianti che acquisiamo, con lo scopo di renderli più competitivi e sostenibili, e consolidare il frammentato mercato italiano del teleriscaldamento creando un nuovo attore nazionale del settore”.
- Idrogeno verde, opportunità di crescita per l’Irlanda del Nord
Nel giugno 2019 il Regno Unito è stata la prima grande economia a impegnarsi per una riduzione del 100 per cento delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2050 e, di conseguenza, anche l’Irlanda del Nord ha sviluppato una nuova strategia per rimodellare il proprio mix energetico in un’ottica di decarbonizzazione. Ora la piccola nazione, che ha prodotto nell’ultimo anno il 48 per cento dell’elettricità da fonti rinnovabili, punta anche allo sviluppo dell’idrogeno verde. “L’Irlanda del Nord – ha dichiarato Diane Dodds, Ministro dell’economia nordirlandese – grazie alle proprie risorse eoliche e alle nuove tecnologie può avere un importante potenziale nella produzione di idrogeno verde”. Durante un incontro con alcuni industriali del settore, il ministro ha inoltre affermato che l’idrogeno creerà l’opportunità per nuovi posti di lavoro che a loro volta sosterranno una crescita economica a zero emissioni di carbonio. Già quest’anno la società Bamford Bus sta consegnando nuovi autobus con celle a combustibile alimentate da idrogeno verde prodotto da un parco eolico locale, mentre una joint venture tra le società energetiche CPH2 e B9 Energy prevede di produrre una nuova versione brevettata di elettrolizzatori, fondamentali per tutti i progetti sull’idrogeno verde.
- Massachusetts: raddoppia la capacità solare
Lo Stato americano del Massachusetts si è impegnato a generare entro il 2030 il 50 per cento del proprio fabbisogno di elettricità da fonti energetiche rinnovabili attraverso il programma SMART. A supporto di questo importante obiettivo è stato recentemente introdotto il Clean Peak Energy Standard, che fornisce incentivi a supporto di quelle tecnologie green che contribuiscano a soddisfare la domanda energetica nei periodi di picco stabiliti dal DOER, il Massachusetts Department of Energy Resources. Il Dipartimento, che è un’agenzia dell’Executive Office of Energy and Environmental Affairs (EEA), ha inoltre pubblicato un aggiornamento normativo - definito Emergency Regulation - per sviluppare ulteriormente il cosiddetto programma SMART, Solar Massachusetts Renewable Target, creato per incentivare e promuovere l’energia solare. SMART è un programma di incentivazione originariamente previsto per un totale 1.600 MW. La nuova regolamentazione, che ha effetto immediato, prevede che la capacità solare supportata venga raddoppiata, passando da 1,6 GW a 3,2 GW. I progetti ammissibili dovranno essere interconnessi da una delle tre società di servizi presenti in Massachusetts: Eversource, National Grid e Unitil.
- Australia, il solare vira verso i “grandi impianti”
A settembre 2019 l’Australia contava oltre 2,2 milioni di impianti fotovoltaici, con una capacità combinata di 13.904 MW, la maggior parte proveniente da installazioni sul tetto. Ma tutto questo sta per cambiare... Nel Paese l’energia dal sole contribuisce già per oltre il 5 per cento della produzione di elettricità australiana. A settembre 2019 l’Australia contava oltre 2,2 milioni di impianti fotovoltaici, con una capacità combinata di 13.904 MW; il 25 per cento di questa capacità era stata installata nei 12 mesi precedenti. Tuttavia la maggior parte della generazione solare del Paese proviene da installazioni domestiche: nel 2018 due milioni di famiglie australiane hanno installato pannelli solari sul tetto. Ma tutto questo sta per cambiare. L’Australia sta ora investendo in diversi schemi di impianti di grande capacità. Si noti, in particolare, che il gigante olandese del petrolio e del gas Royal Dutch Shell intende costruire un suo primo impianto solare su scala industriale proprio in Australia. L’impianto, di potenza pari a 120 MW e composto da circa 400.000 pannelli, sarà realizzato a Wandoan nello Stato del Queensland e dovrebbe entrare in esercizio all'inizio del 2021.
- Irlanda, un fallimento le politiche sulla mobilità
Nell'ambito delle valutazioni periodiche che l'OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) effettua sulle prestazioni ambientali dei Paesi membri, An Tasice (the National Trust for Ireland), un'organizzazione benefica che si propone di preservare e proteggere il patrimonio naturale dell'Irlanda, ha presentato un rapporto sulla politica dei trasporti in Irlanda negli ultimi dieci anni. Il report in particolare sottolinea l'incapacità del governo irlandese di raggiungere quegli obiettivi di trasporto sostenibili previsti dal Piano del 2009 Una nuova politica dei trasporti in Irlanda, che rappresenta quindi un grave fallimento delle politiche pubbliche. An Taisce ha messo in evidenza numerosi obiettivi che i vari governi succedutisi nel corso degli anni non sono riusciti a raggiungere, quali quello di ridurre i viaggi legati al lavoro, ottenere un calo del 20 per cento del pendolarismo automobilistico e garantire che le distanze percorse dalle auto entro il 2020 non aumentassero significativamente rispetto ai livelli del 2009, con una conseguente diminuzione delle emissioni. Le emissioni di gas a effetto serra dei trasporti sono diminuite invece solo del 7 per cento dall'anno di riferimento UE 2005 per le emissioni nazionali e la percentuale di viaggi in auto per lavoro e' addirittura aumentata. "E' l'effetto - ha dichiarato Ian Lumley, An Taisce Advocacy Officer - della mancanza di una visione globale del problema e di decenni di politiche fallimentari".