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  • INQUINAMENTO

In Europa (e in Italia).... tira una brutta aria

Non ci siamo! In questi anni la Commissione Europea ha fatto sforzi tangibili per migliorare la qualità dell'aria. Eppure, siamo ancora lontani da un risultato soddisfacente. Le prossime direttive dovranno essere ancora più severe e ambiziose rispetto a quelle oggi vigenti.


A dirlo è la Corte dei Conti europea, che sul tema ha pubblicato il report Inquinamento atmosferico: la nostra salute non è ancora sufficientemente protetta. La Corte, in piena sintonia con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha posto l’accento sui seguenti inquinanti atmosferici, identificati come più nocivi per la salute umana: il particolato (PM), il biossido di azoto (NO2), il biossido di zolfo (SO2) e l’ozono troposferico (O3). L’attenzione “globale” alle emissioni di CO2 ha probabilmente distolto l’interesse da questi inquinanti.

La stessa Corte dei Conti è poi giunta alla conclusione “che le azioni dell’UE volte a proteggere la salute umana dall’inquinamento atmosferico non hanno prodotto l’impatto atteso. I considerevoli costi umani ed economici non si sono tradotti in interventi adeguati” e ha “raccomandato alla Commissione di considerare un aggiornamento ambizioso della direttiva sulla qualità dell’aria ambiente, che rimane uno strumento importante per rendere l’aria più pulita”.


Il nostro Paese – non certo a sorpresa – è in forte affanno. Le mappe pubblicate dalla European Environmental Agency (Air Quality in Europe 2018) confermano che le maggiori concentrazioni di PM10 e PM2,5 si riscontrano nella Pianura Padana, attorno all’area di Roma e in Polonia (ma in questo caso entra in gioco come causa primaria l’uso del carbone per la generazione elettrica).

È la stessa EEA, d’altra parte, a sottolineare come la produzione di particolato sia strettamente legata anche all’uso di biomasse (rinnovabile non vuol necessariamente dire sostenibile!): “Un impatto negativo sulla qualità dell’aria è dovuto al crescente utilizzo di biomasse in impianti non dotati di adeguati sistemi di controllo delle emissioni”. Un concetto ripreso e confermato dalla stessa Corte dei Conti: “La combustione di biomassa legnosa può anche comportare emissioni più elevate di determinati inquinanti atmosferici nocivi. L’uso di caldaie inefficienti alimentate a combustibili solidi aggrava il problema dell’inquinamento atmosferico”. Eppure, si tratta di una fonte spesso incentivata.

In questi ultimi anni il legislatore si è concentrato sul settore trasporti, introducendo – anche in ambito locale – restrizioni e limitazioni spesso molto articolate. La stessa attenzione, per ora, non sembra invece aver riguardato il riscaldamento domestico. È ancora la Corte dei Conti a ricordarci: “L’UE ha stabilito norme volte a migliorare l’efficienza di tali dispositivi, norme che entreranno però in vigore solo nel 2022 e per i nuovi dispositivi.

La sostituzione di caldaie inefficienti, spesso in abitazioni di famiglie a basso reddito, costituisce una sfida considerevole per le autorità di alcuni Stati membri”. Va per altro ricordato come il ricorso al gasolio (combustibile con livelli di emissioni particolarmente elevati) resta un’opzione tutt’altro che marginale.


L’Annual Report dell’Unione petrolifera, pubblicato nel 2019, evidenzia che i consumi di gasolio per riscaldamento nel 2018 hanno raggiunto in Italia 1 milione di tonnellate (sostanzialmente stabili rispetto al 2017).


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