Se gli impianti solari sono spesso criticati per la necessità di occupare vaste aree, la combinazione di terreni agricoli coperti (e protetti) da pannelli solari può invece rappresentare una sinergia che porta benefici sia per gli investimenti in sistemi fotovoltaici sia per le colture sottostanti.
Una ricerca dell’Università di Aarhus, in Danimarca, ha stimato che il potenziale europeo del cosiddetto agrivoltaico è pari a ben 51 TW. I ricercatori hanno studiato diversi tipi di configurazioni e preso in considerazione il potenziale di produzione e l’impatto dei pannelli solari sui terreni agricoli sottostanti.
In particolare, sono state prese in esame tre configurazioni, con interfilari e altezze diverse a seconda del tipo di coltura: statica con inclinazione ottimale, con tracciamento orizzontale a un asse (rotazione da est a ovest durante il giorno su un asse fisso) e con pannelli bifacciali montati verticalmente.
Per il confronto, il gruppo di ricerca ha sviluppato un modello che simula le ombre sui pannelli e sul terreno, consentendo un’analisi accurata della riduzione dell’output per ogni ora simulata. Tra le diverse configurazioni, la versione con tracciamento dell’asse ha determinato una resa elettrica più elevata.
L’analisi dell’Università di Aarhus ha individuato che la quota di terreno ammissibile per questo tipo di installazione è compresa, nella maggior parte dei Paesi europei, tra il 12 e il 29 per cento, distribuita tuttavia in modo non uniforme. La quota maggiore di terre disponibili si trova in Irlanda, con il 63,9 per cento, seguita dall’Ungheria (58,6 per cento) e dalla Danimarca (53,9 per cento). In Norvegia, invece, solo l’1 per cento dei terreni è risultato adatto allo sviluppo dell’agrivoltaico.
Lo studio dei ricercatori danesi aveva come condizione quella di mantenere per scopi agricoli almeno l’80 per cento del terreno su cui si trovano gli impianti, massimizzando allo stesso tempo la produzione di elettricità.
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