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  • Idrogeno verde, opportunità di crescita per l’Irlanda del Nord

    Nel giugno 2019 il Regno Unito è stata la prima grande economia a impegnarsi per una riduzione del 100 per cento delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2050 e, di conseguenza, anche l’Irlanda del Nord ha sviluppato una nuova strategia per rimodellare il proprio mix energetico in un’ottica di decarbonizzazione. Ora la piccola nazione, che ha prodotto nell’ultimo anno il 48 per cento dell’elettricità da fonti rinnovabili, punta anche allo sviluppo dell’idrogeno verde. “L’Irlanda del Nord – ha dichiarato Diane Dodds, Ministro dell’economia nordirlandese – grazie alle proprie risorse eoliche e alle nuove tecnologie può avere un importante potenziale nella produzione di idrogeno verde”. Durante un incontro con alcuni industriali del settore, il ministro ha inoltre affermato che l’idrogeno creerà l’opportunità per nuovi posti di lavoro che a loro volta sosterranno una crescita economica a zero emissioni di carbonio. Già quest’anno la società Bamford Bus sta consegnando nuovi autobus con celle a combustibile alimentate da idrogeno verde prodotto da un parco eolico locale, mentre una joint venture tra le società energetiche CPH2 e B9 Energy prevede di produrre una nuova versione brevettata di elettrolizzatori, fondamentali per tutti i progetti sull’idrogeno verde.

  • Si apre l'ultima finestra disponibile per evitare la catastrofe climatica

    Nel 2019 il clima nonostante tutto è cambiato: è stato in tutto il mondo un altro anno di nuovi record climatici, tutti negativi. Rimasto a lungo nell’anticamera del dibattito pubblico, il cambiamento climatico ha fatto finalmente il suo ingresso tra i grandi temi trasversali che riempiono le piazze e fanno parlare le persone. A maggio l’osservatorio del NOAA di Mauna Loa, Hawaii, ha registrato il nuovo massimo di concentrazione di anidride carbonica in atmosfera, pari a 414.8 ppm. Luglio, sempre seconde le rilevazioni del NOAA, è invece stato il mese più caldo di cui si ha traccia, con una temperatura media globale di 0,95 °C sopra la media del secolo scorso. Secondo le stime preliminari del Global Carbon Project, le emissioni di CO2 da fonti fossili sono aumentate nel 2019 dello 0,6 per cento rispetto all’anno precedente, confermando una volta in più la correlazione diretta con la crescita economica. Per avere qualche speranza di centrare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi questa tendenza deve essere invertita. Tuttavia, alla COP25 di Madrid il disaccordo è stato completo su quasi tutti i temi sul tavolo. Il 2020 sarà un anno di cruciale importanza: non solo l’Accordo di Parigi entrerà in vigore a tutti gli effetti ma dovranno anche essere rivisti al rialzo gli obiettivi nazionali volontari di riduzione delle emissioni fissati nel 2015, oggi largamente insufficienti. Ambizioso è invece il target - la neutralità climatica al 2050 - che si è posta l’Unione europea con il Green New Deal. Questa nuova strategia di crescita dovrà coinvolgere tutte le politiche di competenza comunitaria e il suo successo dipenderà dalla capacità di mettere in atto la riconversione sostenibile di ogni settore dell’economia. Gli investimenti privati saranno determinanti per la strategia europea e il rapporto Finanza – Impresa dovrà consolidarsi moltiplicando le risorse da destinare per ridurre le emissioni di CO2 ed alimentare lo sviluppo economico in ottica di circolarità. Il 2020 apre un decennio unico nella storia dell’umanità, l’ultima finestra disponibile per evitare la catastrofe climatica. Le decisioni e le azioni che verranno intraprese cambieranno per sempre le sorti delle future generazioni. E potremo cambiarle in meglio solo riscrivendo il nostro modello di sviluppo con politiche coraggiose e il più possibile condivise. Agostino Re Rebaudengo

  • COVID-19: Waste-to-Energy per la salute

    L’incenerimento dei rifiuti, grazie alle alte temperature, distrugge in modo sicuro virus e altri agenti patogeni ed è fondamentale per ridurre i rischi. Quello della gestione dei rifiuti è un settore che fornisce un servizio essenziale per la nostra società, come ha ribadito in questi giorni il commissario europeo per l’ambiente Virginijus Sinkevičius, in occasione della pubblicazione di una guida sul trasporto dei rifiuti nel contesto della diffusione del COVID-19. Al fine di proteggere la salute pubblica in questi tempi di pandemia, l’incenerimento fa parte a pieno titolo dell'infrastruttura critica a disposizione degli Stati membri per garantire il miglior trattamento possibile dei rifiuti contaminati che non possono essere riciclati. Inoltre, alcuni istituti di virologia governativi come il Robert-Koch-Institute tedesco affermano che il trattamento termico dei rifiuti infetti è obbligatorio. Anche ai dipendenti del settore dei rifiuti dovrebbe essere riconosciuto lo status di “lavoratore chiave”, poiché svolgono compiti essenziali durante l’attuale epidemia. La tecnologia Waste-to-Energy distrugge in modo sicuro il virus senza mettere in pericolo la salute dei lavoratori; i rifiuti sono immessi direttamente nel forno, evitando ogni contatto umano con il materiale contaminato. Secondo l’associazione CEWEP (Confederazione europea degli impianti di termo valorizzazione) “questa crisi dimostra ancora una volta quanto sia importante un approccio integrato alla gestione dei rifiuti, in cui ogni flusso deve trovare il modo più sostenibile di trattamento senza mettere in pericolo la salute umana o l’ambiente”. “Durante questi periodi straordinari - conclude la CEWEP - resta di fondamentale importanza che i flussi di rifiuti non contaminati continuino a essere separati e riciclati il ​​più possibile, seguendo correttamente le raccomandazioni degli istituti di virologia”.

  • Vehicle to Grid per la mobilità sostenibile

    Il progetto V2G si inserisce nell’alveo di un più ampio e differenziato programma di ricerca sulla mobilità sostenibile (non solo e non necessariamente elettrica). Tra le esperienze più recenti, RSE - Ricerca sul Sistema Energetico ha collaborato con il MiSE sviluppando uno studio che presenta un’analisi quantitativa dei possibili benefici economici per un possessore di un’auto elettrica che fornisce il servizio di bilanciamento alla rete. "Abbiamo lanciato questa iniziativa, con grande entusiasmo - ha dichiarato Maurizio Delfanti, Amministratore delegato di RSE. Questo progetto, infatti, va di pari passo con l’evoluzione del sistema energetico e del sempre maggiore impiego delle fonti rinnovabili. Fonti che portano come corollario una nuova esigenza di flessibilità, per la quale i veicoli elettrici potranno svolgere un ruolo fondamentale. L’obiettivo del progetto è infatti quello di sviluppare logiche di controllo per una gestione ottimale e bidirezionale della ricarica. Grazie alla tecnologia V2G, un domani si potrebbero ottenere ricavi tali da coprire da un terzo all’intero valore dei costi di ricarica. Un risultato che ci interessa molto, in quanto – come centro di ricerca pubblico – il nostro obiettivo è fare in modo che il cittadino abbia opzioni tecnologiche nuove al minimo costo". Lo studio ipotizza che all’auto elettrica si applichino misure economiche volte a favorire la fornitura di servizi di bilanciamento alla rete. Tali misure sono coerenti con la tipologia di quelle previste dal decreto che il MiSE dovrà emanare ai sensi dell’articolo 1, comma 1, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (legge di bilancio 2018). Le simulazioni elaborate da RSE hanno analizzato due casi di studio ritenuti significativi: la ricarica domestica e la ricarica di un’auto appartenente ad una flotta aziendale, ricaricata al termine dell’orario lavorativo mediante una colonnina installata presso l’azienda. Per entrambi i casi sono state considerate due differenti modalità di ricarica: V1G (solo prelievo da rete) e V2G (anche immissione in rete). Le valutazioni sui suddetti casi riguardano le movimentazioni di energia e i relativi flussi economici nell’ipotesi di differenti misure di supporto. Sono stati stimati ricavi fino al 37 per cento del costo annuo di ricarica per l’utente privato e fino all’86 per cento per l’azienda. Trattandosi di simulazioni basate su ipotesi non ancora consolidate, i risultati vanno interpretati come indicazioni di massima.

  • In Europa (e in Italia).... tira una brutta aria

    Non ci siamo! In questi anni la Commissione Europea ha fatto sforzi tangibili per migliorare la qualità dell'aria. Eppure, siamo ancora lontani da un risultato soddisfacente. Le prossime direttive dovranno essere ancora più severe e ambiziose rispetto a quelle oggi vigenti. A dirlo è la Corte dei Conti europea, che sul tema ha pubblicato il report Inquinamento atmosferico: la nostra salute non è ancora sufficientemente protetta. La Corte, in piena sintonia con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha posto l’accento sui seguenti inquinanti atmosferici, identificati come più nocivi per la salute umana: il particolato (PM), il biossido di azoto (NO2), il biossido di zolfo (SO2) e l’ozono troposferico (O3). L’attenzione “globale” alle emissioni di CO2 ha probabilmente distolto l’interesse da questi inquinanti. La stessa Corte dei Conti è poi giunta alla conclusione “che le azioni dell’UE volte a proteggere la salute umana dall’inquinamento atmosferico non hanno prodotto l’impatto atteso. I considerevoli costi umani ed economici non si sono tradotti in interventi adeguati” e ha “raccomandato alla Commissione di considerare un aggiornamento ambizioso della direttiva sulla qualità dell’aria ambiente, che rimane uno strumento importante per rendere l’aria più pulita”. Il nostro Paese – non certo a sorpresa – è in forte affanno. Le mappe pubblicate dalla European Environmental Agency (Air Quality in Europe 2018) confermano che le maggiori concentrazioni di PM10 e PM2,5 si riscontrano nella Pianura Padana, attorno all’area di Roma e in Polonia (ma in questo caso entra in gioco come causa primaria l’uso del carbone per la generazione elettrica). È la stessa EEA, d’altra parte, a sottolineare come la produzione di particolato sia strettamente legata anche all’uso di biomasse (rinnovabile non vuol necessariamente dire sostenibile!): “Un impatto negativo sulla qualità dell’aria è dovuto al crescente utilizzo di biomasse in impianti non dotati di adeguati sistemi di controllo delle emissioni”. Un concetto ripreso e confermato dalla stessa Corte dei Conti: “La combustione di biomassa legnosa può anche comportare emissioni più elevate di determinati inquinanti atmosferici nocivi. L’uso di caldaie inefficienti alimentate a combustibili solidi aggrava il problema dell’inquinamento atmosferico”. Eppure, si tratta di una fonte spesso incentivata. In questi ultimi anni il legislatore si è concentrato sul settore trasporti, introducendo – anche in ambito locale – restrizioni e limitazioni spesso molto articolate. La stessa attenzione, per ora, non sembra invece aver riguardato il riscaldamento domestico. È ancora la Corte dei Conti a ricordarci: “L’UE ha stabilito norme volte a migliorare l’efficienza di tali dispositivi, norme che entreranno però in vigore solo nel 2022 e per i nuovi dispositivi. La sostituzione di caldaie inefficienti, spesso in abitazioni di famiglie a basso reddito, costituisce una sfida considerevole per le autorità di alcuni Stati membri”. Va per altro ricordato come il ricorso al gasolio (combustibile con livelli di emissioni particolarmente elevati) resta un’opzione tutt’altro che marginale. L’Annual Report dell’Unione petrolifera, pubblicato nel 2019, evidenzia che i consumi di gasolio per riscaldamento nel 2018 hanno raggiunto in Italia 1 milione di tonnellate (sostanzialmente stabili rispetto al 2017).

  • Carbone versus Khole: un confronto Italia-Germania

    L’impresa di una decarbonizzazione dell’economia europea risulta notevolmente impegnativa, considerando la chiusura di altri 8 reattori nucleari in Germania e gli impatti sociali ed economici per la chiusura di centrali a lignite e carbone che nel 2018 hanno prodotto il 19,2 per cento dei 3.250 TWh nella UE. A fine 2018, i Paesi con la maggior dipendenza dal carbone risultavano essere la Danimarca, l’Olanda, la Romania, il Portogallo e la Slovenia con una quota compresa tra il 20 e 31 per cento, la Grecia con il 34 per cento, la Germania con il 36, la Bulgaria con il 43, la Repubblica Ceca con il 47 e la Polonia con il 77. L’Italia è al 12 per cento. Risulta interessante un confronto Italia–Germania sulla base dei dati consolidati al 2017. L'Italia – secondo Agora Energiewende – nel 2018 ha avuto circa 27 TWh di produzione da carbone (circa il 10 per cento del totale rispetto al 36 della Germania) con emissioni di CO2 pari a circa 25 Mt, una forte produzione da gas, niente nucleare e quindi costi di produzione ben superiori a quelli tedeschi. La Germania ha avuto nel 2018 146 TWh prodotti da lignite e 83TWh da carbone, con emissioni di CO2 valutabili in 220 Mt, pari quindi a 9 volte le emissioni per elettricità da carbone in Italia; punta molto su eolico, specie offshore, e dovrà tenere in conto l’uscita programmata entro il 2022 degli ultimi 8 gruppi nucleari. La Germania non proclama l’uscita dal carbone a breve e dal recente documento di fine gennaio 2019 della Khole commission, la propone per il 2038 a seguito di dettagliate analisi sui costi; è possibile un’anticipazione al 2035 da valutarsi nel 2032, e sono proposti 40 miliardi di euro di indennizzi per le regioni con miniere e “speciali misure da meglio definire al fine di evitare sensibili aumenti delle già alte tariffe elettriche”. È prevista la chiusura entro il 2022 di 12,7 GW di centrali a lignite; tuttavia le compensazioni sono ancora da definire e non mancano le contestazioni dei proprietari. Venendo all’Italia, è stato scritto nella SEN – e ribadito nel recente PNIEC – che tutte le centrali a carbone verranno chiuse entro il 2025. Occorre definire celermente un chiaro accordo con i proprietari delle centrali per la valorizzazione degli stranded asset e una immediata partenza delle autorizzazioni per le infrastrutture previste da Terna. Chiaramente, sia per l’Italia che per la Germania, saranno determinanti per l’effettivo raggiungimento dell’obbiettivo temporale della chiusura delle centrali a carbone le reali località e tipologia/entità delle nuove FER, le procedure per promuovere/definire gli investimenti in nuova generazione e relativi impatti sulla rete, le tempistiche per i permessi e i totali costi effettivi con la loro attribuzione a chi e come li pagherà.

  • Massachusetts-EPA: le emissioni rinviate a giudizio

    I gas serra inquinano? Sembra una domanda oziosa, la cui risposta non può essere diversa da quella prevista. Eppure negli Stati Uniti è stato necessario arrivare davanti alla Corte Suprema - con il caso Massachusetts versus EPA (2007) - nel quale si è stabilito che, per sostanze che inquinano l’aria, si intendono anche i gas serra. In tale contenzioso, un gruppo di Stati sosteneva che l’Environmental Protection Agency (EPA), non regolamentando le emissioni del settore trasporti, non avrebbe dato attuazione al Clean Air Act (legge del 1967 in base alla quale il controllo dell’inquinamento atmosferico costituisce responsabilità del governo centrale). E proprio la sezione 202 del Clean Air Act dà all’EPA il potere di stabilire standard per la riduzione dell’inquinamento generato dai trasporti. Secondo l’Agenzia governativa, però, i gas serra non rientrerebbero tra le sostanze inquinanti cui il Clean Air Act si riferisce e per questo l’EPA non avrebbe alcun potere nella regolamentazione delle emissioni. La Corte Suprema ha dato ragione ai ricorrenti: i gas serra costituiscono sostanze inquinanti, la cui disciplina rientra senz’altro nelle competenze conferite all’EPA dal Congresso con il Clean Air Act. Pertanto, non solo l’EPA avrebbe potuto disciplinare le emissioni dei trasporti, ma era anche tenuta a farlo ove avesse riscontrato che tali emissioni fossero potenzialmente nocive per la salute umana. Effettivamente, l’EPA nel 2009 ha prodotto uno studio, il cosiddetto Endangerment Finding, che ha definito inquinanti i gas serra e attestato come il cambiamento climatico indotto da tali sostanze sia in grado di mettere seriamente a repentaglio la salute umana, generando ingenti costi per la sanità pubblica. L’Agenzia ha quindi stabilito standard per le emissioni dei veicoli a motore e per il settore elettrico, in base alla sezione 111 del Clean Air Act che richiede di regolare il livello degli inquinanti provenienti da fonti stazionarie, laddove contribuiscano a causare un inquinamento dell’aria tale da mettere a repentaglio la salute pubblica.

  • Il presente sono ancora i fossili, parola di cartone animato

    I cartoni animati di oggi sono tutt’altra cosa rispetto a quelli che guardavamo noi qualche decennio fa. A parte l’immortale Siamo fatti così dedicato a spiegare il corpo umano, ben pochi erano educativi, formativi, didattici. Oggi anche la serie animata più “fiabesca” contiene messaggi di educazione civica e sociale, che ai tempi ci scordavamo, presi com’eravamo da manga giapponesi, robot o nanetti blu. I nanetti di oggi non sono più blu e non vivono in un villaggio scappando dal gatto di turno, oggi questi esserini sono molto più colorati e si intrufolano dappertutto per spiegare tante cose, spesso levando di impiccio i poveri genitori alle prese con l’ennesimo perché. Si chiamano storybots e il loro compito è proprio quello di rispondere alle domande dei bambini. Lavorando nel settore dell’energia, un episodio in particolare ha attirato l’attenzione mia, ma soprattutto quella di mio figlio, quattrenne attempato: “Che cos’è l’elettricità?”. Ed ecco iniziare il viaggio degli esserini colorati, che dall’elettrodomestico arrivano alla presa, poi su per il traliccio e, camminando camminando, giungono alla centrale, non prima di aver cantato le lodi – cantato per davvero, con tanto di orrida e orecchiabile canzoncina – di Edison e della sua lampadina. Confesso, mi sarei aspettato che la meta finale fosse il solito impianto di energia rinnovabile, subissati come siamo da messaggi di energia pulita per salvare il Pianeta. D’altronde, spiegare a dei bambini cos’è “quella cosa che dà energia alle cose quando serve” sarebbe stato molto più semplice usando un parco eolico o una centrale idroelettrica. Più politically correct, diciamocelo, anche se Greta non era ancora salita all’onore delle cronache quando si apprestavano a scrivere le trame degli episodi. E invece, ecco la sorpresa. Gli esserini arrivano finalmente alla centrale elettrica. Gli apre la porta... anzi, il buco, un topo che li accompagna fin dentro alla turbina – con tanto di rotore palettato! – non prima di aver visto da cosa viene fatta girare: dal vapore. Il topo non manca di ricordare agli storybots che ci sono anche altre fonti di energia, ma in quel caso il vapore veniva prodotto “bruciando combustibili fossili”. Non c’è tempo di capire quale combustibile in particolare, perché ci siamo già infilati dentro il generatore. E dal generatore all’atomo è un attimo: veniamo catapultati in un mondo di protoni, neutroni ed elettroni che cantano, ballano e soprattutto saltano. Grazie storybots per aver spiegato a mio figlio la realtà e non le promesse protocollose dei politici di turno. Luciano Maria Gandini

  • Lo sfruttamento del moto ondoso è pronto a spiegare le vele

    Energia dal mare, prossima frontiera. Nel portafoglio delle rinnovabili la generazione da moto ondoso resta una opzione ancora tutta da sviluppare. Solo in Europa, l’industria energetica oceanica prevede di distribuire 100 GW di capacità produttiva entro il 2050, raggiungendo il 10 per cento della domanda di elettricità. Questo è sufficiente per soddisfare il fabbisogno giornaliero di elettricità di 76 milioni di famiglie. Così, negli ultimi anni l’energia oceanica è stata oggetto di diverse iniziative politiche, sia a livello europeo che nazionale. In linea con il SET Plan, la Commissione europea, gli Stati membri e gli stakeholder, hanno sottoscritto una Dichiarazione di intenti per l’energia oceanica che definisce obiettivi di riduzione dei costi delle tecnologie energetiche oceaniche indirizzati a dare un contributo significativo al futuro sistema energetico europeo (2016). Un ruolo determinante e imprescindibile spetterà alla ricerca: ad oggi sul tema della conversione di energia da moto ondoso non esiste ancora un consenso sulla configurazione più promettente, ragione per la quale sono in via di sviluppo più di cento diversi dispositivi in oltre trenta Paesi. In questo contesto, si colloca lo sviluppo del dispositivo per la produzione di energia elettrica dal moto ondoso WaveSAX, affrontato da RSE nell’ambito della Ricerca di Sistema, basato sul principio della “colonna d’acqua oscillante” in una configurazione innovativa in cui la turbina (di tipo Wells) viene posizionata nella fase liquida. Nel 2017, il prototipo idraulico di WaveSAX in scala 1:5 – dotato di turbina Wells e sistema di generazione e controllo – è stato testato in vasca navale presso il CNR-INM di Roma. In seguito, sono invece stati studiati interventi di miglioramento del dispositivo. In particolare, è stato realizzato un nuovo sistema di generazione e controllo del dispositivo WaveSAX (sempre in scala 1:5), che è stato testato in mare presso l’antemurale del Porto di Civitavecchia. La realizzazione delle prove a mare ha permesso di testare il dispositivo in condizioni di moto ondoso reali, verificando le strategie del sistema di generazione e controllo, la funzionalità del sistema di mooring (cioè l’ancoraggio all’antemurale portuale) e di avere indicazioni sul comportamento dei materiali in ambiente marino. Successivamente sono stati realizzati progressi nella definizione di dettaglio di un primo prototipo del dispositivo WaveSAX (1:1), considerando due possibili soluzioni progettuali: la struttura esterna fissata all’antemurale (nel caso di opere già esistenti) e il dispositivo incorporato all’interno dell’antemurale (nel caso di costruzioni ad hoc). È stato condotta un analisi LCA – Life Cycle Assessment a supporto della scelta dei materiali per la costruzione del primo prototipo. Per quanto riguarda la valutazione della risorsa da moto ondoso in ambito mediterraneo, è proseguita la campagna di misura ondametrica e correntometrica nel Porto di Civitavecchia, così come quella nella boa MOBI localizzata al largo di Mazara del Vallo, che include anche la misura d’intensità e direzione del vento. Maximo Aurelio Peviani

  • Lo sviluppo delle rinnovabili può minacciare l’habitat naturale

    Un team di ricerca dell’Università del Queensland, in Australia, ha mappato la posizione nel mondo delle strutture fotovoltaiche, eoliche e idroelettriche. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Global Change Biology, ha rilevato che più di 2.000 impianti di energia rinnovabile, principalmente situati in Europa occidentale e nei Paesi sviluppati, sono stati costruiti in aree di rilevanza ambientale e minacciano gli habitat naturali di specie vegetali e animali. José Rehbein, a capo del team di ricerca e docente della School of Earth and Environmental Sciences dell’Università del Queensland, ha dichiarato di essere allarmato dai risultati. Anche perché, oltre alle 2.200 strutture già in funzione all’interno di importanti aree di biodiversità, ne sono attualmente in costruzione altre 900. “Le strutture energetiche e le infrastrutture che le circondano, come le strade - ha aggiunto Rehbein - possono essere incredibilmente dannose per l’ambiente naturale e il loro sviluppo non sembra compatibile con gli sforzi in atto per la conservazione della biodiversità”. “Per questo - continua Rehbein - bisognerebbe che si riconsiderassero le strutture che sono attualmente in costruzione in Africa e in Asia”. Lo studio non deve però essere interpretato in chiave anti-rinnovabile perché, affermano i ricercatori, l’energia da FER è cruciale per ridurre le emissioni di carbonio, ma vuole esortare i governi e le industrie a una diversa e più attenta pianificazione. “La chiave - ha dichiarato James Allan, ricercatore dell’Università di Amsterdam e uno degli autori dello studio - è garantire che le strutture per le energie rinnovabili siano costruite in luoghi in cui non danneggiano la biodiversità”.

  • COVID-19, in che misura il blocco delle attività ferma l’inquinamento?

    Il satellite Copernicus Sentinel-5P dell’ESA ha recentemente fotografato l’inquinamento atmosferico in Europa e Cina, dove si stanno implementando misure rigorose per frenare la diffusione dell’epidemia di Coronavirus. Come era prevedibile, la mappatura ha rilevato un calo significativo delle concentrazioni di biossido di azoto in coincidenza con le misure di quarantena. I ricercatori del Royal Netherlands Meteorological Institute (KNMI) hanno esaminato i dati forniti dalle immagini del satellite dal 14 al 25 marzo 2020, confrontandoli con la media mensile del 2019. “Sono state scelte queste date - spiega Henk Eskes di KNMI - perché le concentrazioni di biossido di azoto cambiano di giorno in giorno in relazione alla variabilità meteorologica. Non è dunque possibile trarre conclusioni sulla base di dati relativi a un solo giorno”. La chimica nella nostra atmosfera non è lineare e il calo percentuale delle concentrazioni può differire dal calo reale delle emissioni. Per quantificarle sulla base di osservazioni satellitari sono necessari modelli di chimica atmosferica che spiegano i cambiamenti giornalieri del tempo, in combinazione con tecniche di modellazione inversa. Il team KNMI - in collaborazione con scienziati di tutto il mondo - sta lavorando a una analisi più dettagliata utilizzando dati del suolo e meteorologici per interpretare le concentrazioni osservate e fornire una stima quantitativa dei cambiamenti nelle emissioni dovuti ai trasporti e all’industria.

  • Energia verde, firmato il più grande PPA bilaterale del Sud America

    Prende corpo anche in America Latina la nuova tendenza di fornire energia pulita direttamente alle grandi aziende "energivore", riducendo così la loro impronta di carbonio e i costi di produzione. È stato firmato in Brasile, infatti, il più grande contratto bilaterale di acquisto e vendita di energia solare su larga scala. Il Power Purchase Agreement (PPA) prevede un investimento di 881 milioni di Real brasiliani ed è stato stipulato tra Atlas Renewable Energy e la britannica Anglo American Plc, una delle principali società minerarie globali (nel loro portafoglio ci sono diamanti - attraverso De Beers - rame, metalli del gruppo del platino, minerali ferrosi, carbone e nichel). L’energia verde sarà fornita dagli oltre 800.000 moduli dell’impianto fotovoltaico Atlas Casablanca, nello Stato di Minas Gerais, con una capacità installata di 330 MW. Produrrà energia sufficiente per una città di 1,4 milioni di abitanti, in base al consumo medio di una famiglia brasiliana. A partire dal 2022 l’impianto fornirà 613 GWh, che equivalgono a circa 9 TWh per i 15 anni della durata del contratto. L’accordo è parte della strategia di Anglo American che punta all’utilizzo del 100 per cento di energia rinnovabile per le proprie attività in Brasile a partire dal 2022 e si inserisce nel più ampio Anglo American Sustainable Mining Plan che ha tra gli obiettivi quello di ridurre del 30 per cento le emissioni di CO2 entro il 2030. “Con questa firma e con il contratto per la costruzione di un parco eolico a Bahia sottoscritto lo scorso dicembre - ha dichiarato Wilfred Bruijn, CEO di Anglo American in Brasile - forniremo il 90 per cento della nostra energia da fonti rinnovabili”.

  • Isole Færøer, dal mare energia rinnovabile

    La compagnia svedese per le energie marine Minesto sta realizzando un progetto di generazione di energia dalle maree nei pressi delle coste delle Isole Færøer. L'arcipelago, a governo autonomo e dipendente dalla Danimarca, è situato tra l’Islanda e la Norvegia, nell’Oceano Atlantico del Nord. Minesto, in collaborazione con la utility francese SEV, principale distributore di energia nell’arcipelago, installerà due convertitori di energia dalle maree, con la propria tecnologia Deep Green, nei pressi di Vestmannasund, uno stretto nella parte nord-occidentale dell’isola. L’accordo prevede che SEV si impegnerà ad acquistare l’elettricità generata fornendo inoltre le infrastrutture necessarie, come la connessione alla rete. L’installazione della prima unità è prevista per il secondo semestre 2020. Il progetto, chiamato Deep Green Island Mode (DGIM), è stato finanziato con 2,5 milioni di euro dalla Comunità Europea e vuole contribuire al raggiungimento dell’obiettivo delle Isole Færøer di produrre il 100% del proprio fabbisogno di energia elettrica da rinnovabili entro il 2030. “Siamo lieti - ha dichiarato Marin Edlund, amministratore delegato di Minesto - dei progressi compiuti nel progetto congiunto, che svolgerà un ruolo significativo nella transizione enrgetica delle Isole Færøer”. Come riconosciuto dalla Commissione Europea, per tutte le isole l’approvvigionamento di energia è costoso, spesso inquinante, inefficiente e dipendente dall'esterno, con impatti negativi significativi sulle emissioni, sulla competitività delle imprese e sull’economia. La tecnologia DGIM può fornire in modo economico elettricità pulita e prevedibile alle comunità insulari e ad altri utenti remoti.

  • Transizione energetica, quale ruolo per il nucleare?

    Il prossimo decennio sarà cruciale per il settore dell’energia, che giocherà un ruolo fondamentale per raggiungere gli obiettivi globali di decarbonizzazione. Le rinnovabili sono già in campo (e giocano in attacco) ma l’atomo, in questa partita, non starà in panchina. Un’ampia gamma di esperti e organizzazioni ha messo in evidenza, infatti, come il nucleare risulti necessario per assicurare energia elettrica per tutti, nel rispetto dell’ambiente e nella lotta ai cambiamenti climatici. “L’energia nucleare può svolgere un ruolo importante nella transizione energetica”: non lo dice un’associazione di parte o un club di nuclearisti incalliti, lo scrive l’International Energy Agency. Secondo il report IEA Nuclear Power in a Clean Energy System, pubblicato a maggio 2019, “nelle economie avanzate l’energia nucleare oggi rappresenta il 18 per cento della generazione ed è la più grande fonte di elettricità a basse emissioni di carbonio”. Tuttavia, la sua quota è diminuita negli ultimi anni poiché il parco impiantistico nucleare sta invecchiando, l’aggiunta di nuova capacità è ridotta al minimo e alcuni impianti costruiti negli anni ‘70 e ‘80 sono stati fermati. “Tutto questo – continua la IEA – ha rallentato la transizione verso un sistema elettrico pulito. Frenare la discesa del nucleare sarà vitale per aumentare il ritmo della decarbonizzazione nella fornitura di elettricità”. Per seguire una traiettoria coerente con gli obiettivi di sostenibilità – compresi quelli climatici globali – la crescita dell’energia elettrica da fonti “pulite” dovrebbe essere tre volte più veloce rispetto a oggi: l’85 per cento dell’elettricità globale entro il 2040, rispetto al solo 36 per cento di oggi. Dunque, conclude il report IEA, “insieme a ingenti investimenti in efficienza e nelle rinnovabili, ci sarebbe bisogno di un aumento dell’80 per cento della produzione globale di energia da fonte nucleare entro il 2040 per sostenere tale andamento”. Insomma, senza investimenti nel nucleare, realizzare un sistema energetico sostenibile sarà molto più difficile (e costoso). Certo non impossibile, ma richiederà uno sforzo straordinario.

  • AIRU: il teleriscaldamento in Italia resta al palo

    Nella strategia di comunicazione di AIRU, l’Annuario il Riscaldamento Urbano rappresenta il prodotto editoriale di punta, in grado di offrire la più aggiornata overview sullo stato dell’arte e sulle evoluzioni del settore in Italia. Anche per l’edizione 2019 il Riscaldamento Urbano parte dall’analisi dello sviluppo storico per poi presentare un quadro di sintesi (infrastrutture in esercizio, volumi riscaldati, calore distribuito, ...) della situazione attuale e un focus dedicato a biomasse e geotermia. Quest’anno, però, sono due le novità rispetto al passato: una nuova veste grafica per le schede tecniche di dettaglio relative a oltre 190 reti presenti su tutto il territorio nazionale, e la pubblicazione di un Estratto. “Si è scelto di proporre i contenuti anche sotto forma di Estratto - racconta Ilaria Bottio, Segretario Generale di AIRU - per coinvolgere un uditorio più ampio rispetto al precedente. L’Annuario è rivolto ai tecnici, è destinato agli accademici e agli operatori del settore. Per interessare il mondo dei decisori pubblici e rendere più fruibile da parte loro l’Annuario, abbiamo pensato ad un volume agile, di 50 pagine, con dati aggregati e non presentati in dettaglio. L’Estratto - conclude Ilaria Bottio - può rappresentare un utile strumento per i Sindaci o gli assessori regionali a supporto di una corretta ed efficace comunicazione sul territorio, per far conoscere benefici e opportunità economico/ambientali del teleriscaldamento”. AIRU ha più volte ricordato, anche in sede istituzionale, il fondamentale contributo che il teleriscaldamento può fornire al raggiungimento degli obiettivi (sottoscritti sia a livello nazionale, sia in ambito europeo) al 2030 e 2050. Molti Paesi europei hanno intrapreso già da anni programmi di sviluppo e di sostegno, con investimenti significativi sul calore distribuito, ampliando la diffusione delle reti, il numero delle città servite, le calorie distribuite. Con sconforto si constata invece che il nostro Paese sembra credere in questa tecnologia solo a parole, nel recepimento delle direttive europee. Nei fatti, nulla si realizza. Per 34 anni consecutivi si è assistito alla diffusione capillare del teleriscaldamento, ma dal 2015 tutto si è fermato. Il settore sta vivendo un momento di sofferenza, nonostante le nuove iniziative di efficientamento del servizio tramite recupero di cascami termici industriali, utilizzo di fonti rinnovabili e riduzione della fonte fossile. Le reti esistenti crescono solo grazie alla lungimiranza dei gestori e degli amministratori locali. “È noto - commenta Lorenzo Spadoni, presidente AIRU, nell’introdurre il volume - che la nuova presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, come primo atto formale ha annunciato all’Europarlamento un Green Deal per l’Europa volto a ridurre le emissioni di CO2 del 50-55 per cento al 2030. Il teleriscaldamento è stato più volte identificato come una delle soluzioni su cui puntare”. “Ma in Italia - continua Spadoni - se a parole c’è piena sintonia con Bruxelles e il PNIEC assegna al teleriscaldamento un peso crescente nelle politiche energetiche del nostro Paese, nei fatti il comparto soffre tutte le criticità di una crescita quasi zero, nonostante le aziende del nostro settore sarebbero pronte a mettere in campo investimenti di rilievo”.

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