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Idrogeno e combustibili rinnovabili, sono realistici gli obiettivi UE?

Il 13 febbraio 2023 la Commissione Europea ha approvato due dei tanto attesi atti delegati alla nuova Renewable Energy Directive (RED II) in materia di idrogeno. Provvedimenti tesi a definire che cosa all’interno della UE si debba intendere con il termine «idrogeno rinnovabile» e fornire la certezza normativa necessaria a favorire gli investimenti.

Un’analisi degli atti delegati, più alcune considerazioni a margine, è fatta da Filippo Del Grosso, economista e ricercatore senior presso la Fondazione Eni Enrico Mattei (FEEM), sul numero di Nuova Energia attualmente in distribuzione. Partendo da un distinguo.


“Mentre il primo fissa i criteri per cui l’H2 e gli altri vettori energetici a base di idrogeno possano essere considerati rinnovabili - spiega Del Grosso - il secondo atto delegato tocca il tema dell’idrogeno solo lateralmente”.

Più in generale, punta l’attenzione sui combustibili per il trasporto, liquidi e gassosi, rinnovabili di origine non biologica (RFNBO, Renewable Fuels of Non-Biological Origin) o derivanti da carbonio riciclato, per garantire che siano prodotti usando energia elettrica generata da FER. La UE, con il REPowerEU, prevede al 2030 una produzione annua di idrogeno verde pari a 10 milioni di tonnellate.


“Fissare obiettivi via via più ambiziosi può servire a farci star bene con noi stessi nel breve periodo, ma non aiuta a risolvere i problemi legati all’introduzione del vettore idrogeno, che deve essere graduale e guidata da dinamiche di mercato”.

La UE è partita con i 40 GW installati della Strategia 2020, diventati 44 GW nel pacchetto Fit for 55 e 65 GW con il REPowerEU. Ora, questi atti delegati sembrano imporre un letto di Procuste ai singoli Stati: una misura unica che, come racconta il mito, generalmente risultava poco confortevole. Anche perché, stando alle singole strategie nazionali, le idee sono spesso ancora confuse




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