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Europa: non bastano gli obiettivi, occorrono anche i percorsi

POLITICA ENERGETICA

È alquanto sconfortante dover constatare come, ormai a ridosso delle elezioni per il Parlamento Europeo, il dibattito politico sull’Europa, sulla sua struttura e sui suoi indirizzi, sia praticamente assente dal discorso pubblico. Per carità, l’Europa viene tirata in ballo ogni giorno, a proposito e ancor più a sproposito.

Europa

L’espressione “Ce lo chiede l’Europa” è ormai diventata comune, alibi a cui sono ricorsi e ricorrono Governi di ogni colore per giustificare riforme che sappiamo necessarie, ma intorno alle quali non si riesce a costruire il consenso necessario. Quando poi entrano in gioco mercato e concorrenza, espressioni blasfeme nel nostro Paese, anche se ci viene chiesto cerchiamo di resistere e l’Europa diventa matrigna.


Cosa poi si intenda per Europa è una bella domanda, perché non credo di sbagliare se dico che 9 italiani su 10, non conoscono minimamente l’architettura istituzionale dell’Unione Europea, ruoli e poteri della Commissione, del Consiglio e del Parlamento.

Nella percezione comune l’Europa è identificata in una tecnostruttura burocratica di dubbia legittimazione politica e priva di connessione con la realtà sociale ed economica. Che in passato ci sia stata una qualche ipertrofia regolatoria è indubbio. È però dal 2008 che la musica è cambiata e la Commissione ha incominciato a volare più alto.


Con la presidenza von der Leyen, in particolare, l’Unione Europea si è caratterizzata per aver posto al centro della propria iniziativa politica (e dell’allocazione dei suoi fondi) la transizione ecologica, che si sostanzia nella transizione energetica.


Solo a poche ingenue e candide anime belle poteva sfuggire che questa transizione comportasse passaggi irti di difficoltà, con costi sociali ed economici da compensare, strategie di mercato e produttive da ripensare; il tutto in un contesto segnato dall’entrata in scena dell’Intelligenza Artificiale.


Sulla carta è facile fissare traguardi sempre più ambiziosi, ma insieme bisogna anche delineare i passaggi da seguire per cogliere gli obiettivi assunti. Questo è quanto è mancato in questi anni: si è detto dove si voleva arrivare, ma non si è detto come arrivarci, con quali modalità, con quali strumenti.

Insieme, è mancato un discorso pubblico sulle politiche dell’Unione e il confronto con le realtà sociali ed economiche più direttamente impattate dalle misure volte alla sostenibilità ambientale.


Le fughe in avanti del Parlamento si spiegano con la sostanziale mancanza di accountability, per usare il lessico delle democrazie liberali: il rapporto tra eletti ed elettori si esaurisce con le elezioni e il processo decisionale - con il faticoso “trilogo” tra Parlamento, Consiglio e Commissione - è sottratto al controllo dell’opinione pubblica.

Nel momento in cui più si avverte la necessità di un’Europa robusta entità politica, in grado di fronteggiare sfide epocali in termini geopolitici, e last but not least, la pressione dei cambiamenti climatici, diventa evidente la precarietà degli attuali assetti istituzionali dell’Unione. Si può ancora sperare che questi temi finalmente emergano nel dibattito?


Giuseppe Gatti


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