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  • TRANSIZIONE ENERGETICA

Consumi elettrici, tra palco green e realtà black. Il caso indiano

Sopravvivere senza elettricità in una megalopoli è sempre difficile. Lo è di più quando il termometro supera i 49 gradi, come è avvenuto a Nuova Delhi la scorsa estate. In India le temperature estreme sempre più frequenti determinano picchi di consumo di elettricità, che a loro volta fanno aumentare la domanda di combustibile necessario per produrla.

Nel momento in cui il caldo pre-monsonico raggiunge il picco, per mantenere in piedi la rete elettrica a fronte di temperature sempre più elevate, l’India ha ripreso a scavare quantità sempre maggiori del combustibile fossile tra i maggiori contributori al cambiamento climatico. Il Paese più popoloso al mondo, infatti, si affida ancora al carbone per circa tre quarti della propria produzione di energia e continuerà ad averne bisogno per numerosi anni a venire.


Il combustibile è relativamente economico e, cosa fondamentale, è disponibile a livello nazionale. Aumentano ogni anno gli obiettivi di estrazione da vaste aree come quella di Gevra, nello Stato orientale del Chhattisgarh, che presto diventerà la più grande miniera di carbone al mondo, come riportato nei giorni scorsi da Rajesh Kumar Singh e Pratik Parija di Bloomberg sulle colonne del quotidiano The Japan Times.


Come conseguenza, l’India risulta essere il terzo emettitore di gas serra a livello globale, anche se resta indietro rispetto a Cina e Stati Uniti, e i valori pro-capite rimangono al di sotto della media globale. Una nazione vasta e vulnerabile dal punto di vista climatico, che vede centinaia di milioni di persone intrappolate in un circolo vizioso fatto di ondate di calore, costi per la salute e cali di produttività che derivano dal lavorare in condizioni di caldo afoso.


Perché non è solo questione di colonnina di mercurio: la combinazione di caldo e umido rende alcune parti dell’India al primo posto tra i luoghi più inabitabili del mondo. Con umidità elevata, anche temperature relativamente modeste possono compromettere la capacità del corpo di raffreddarsi attraverso la sudorazione. Questo può portare a svenimenti, colpi di calore e attacchi di cuore.


“Il caldo non è estraneo ai Paesi del sud-est asiatico: le temperature aumentano sempre prima che arrivi il monsone, ma livelli pericolosi per la vita come quelli raggiunti nel 2022 sono sempre più comuni. Il clima che cambia ha reso i fenomeni di caldo estremo 30 volte più probabili in India che altrove”.

Ci sono conseguenze anche per l’agricoltura, in un Paese che ha 1,4 miliardi di persone da sfamare e le cui preoccupazioni per le fatture di importazione rischiano di turbare i mercati mondiali. Lo scorso anno il forte caldo ha costretto il secondo più grande produttore di grano indiano a vietare le esportazioni, alimentando non pochi timori di carenze globali mentre la guerra in Ucraina aveva sconvolto le catene di approvvigionamento.


Anche gli allevatori registrano un calo della produzione di latte, diminuita di quasi un terzo, poiché anche le razze miste faticano a tollerare il caldo. L’impatto, tuttavia, è molto più ampio e minaccia la produttività complessiva, la salute a lungo termine e persino la sopravvivenza, poiché centinaia di milioni di persone - una percentuale della popolazione maggiore rispetto a qualsiasi altra parte del mondo - è esposta a condizioni estreme. Il caldo potrebbe abbassare la qualità della vita di quasi 600 milioni di indiani entro il 2100.


“Le definizioni ufficiali si concentrano solo sulle soglie di temperatura e non sull’impatto dell’umidità o sul legame con lo smog - ha affermato Ronita Bardhan, ricercatore dell’Università di Cambridge. Le ondate di calore intensificano l’inquinamento atmosferico e questa è semplice fisica: gli inquinanti non sono in grado di fuoriuscire a causa del caldo”.

Il problema è che in India la domanda di energia continua a crescere. Lo sviluppo green i finanziamenti per il clima e la sostenibilità sono una priorità, ma il carbone rimarrà una parte importante del settore energetico nei prossimi decenni. L’Autorità elettrica centrale stima che rappresenterà il 54 per cento della produzione nel 2030.


“Questo ritarderà la quantità di emissioni che avrebbero potuto essere tagliate, una delle principali preoccupazioni non solo per l’India ma per tutto il mondo”, ha affermato Bardhan. Senza smettere di usare il carbone di punto in bianco, probabilmente si potrebbe discutere di una eliminazione graduale e di una migliore comprensione delle potenzialità delle fonti rinnovabili”.

Intanto fa sempre più caldo, gli alberi sono tagliati, sorgono nuove miniere e nuove centrali e a pochi giorni dall’approdo del monsone le notizie sono buone solo per i venditori di condizionatori. Elettrici, quindi green a prescindere dal black che tiene in piedi il sistema.


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