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  • CLIMA

Le interviste FEEM@COP28. In dialogo con Gernot Laganda su climate change e conflitti

Le interviste FEEM alla COP28. Una proposta informativa interessante, per spiegare la transizione energetica in modo semplice, grazie ad agili testi accompagnati da brevi video. Valeria Zanini ha intervistato Gernot Laganda, Direttore dell’Unità Climate and Disaster Rsk Reduction del World Food Programme delle Nazioni Unite.


Le interviste FEEM alla COP28 di Dubai, guarda il video

Sebbene i ricercatori siano generalmente d’accordo sul fatto che il cambiamento climatico non sia direttamente correlabile ad un aumento dei conflitti, è ampiamente riconosciuto che indirettamente potrebbe aumentarne il rischio. Uno dei canali principali tramite cui influenza la probabilità di insorgenza di conflitti è la scarsità di risorse.


Se le risorse naturali sensibili al clima - come l’acqua - diventano scarse in una certa area e ci sono diversi gruppi di sussistenza che dipendono dalla stessa risorsa - come, ad esempio, agricoltori e pastori nel Sahel - si possono creare tensioni sociali e conflitti.


Un altro fattore di rischio è dato dallo sfollamento: gli eventi climatici estremi portano allo spostamento forzato di grandi gruppi di persone che entrano in contatto con altre comunità, nel loro stesso Paese o attraversando i confini politici: questo può aprire la strada a tensioni sociali o sfociare in veri e propri conflitti. Inoltre, nelle aree già colpite dalle guerre, i cambiamenti del clima possono esacerbare e prolungare la violenza, indebolendo le istituzioni e i meccanismi di coping della popolazione.


La COP28 è stata la prima nella quale è stata posta all’ordine del giorno la questione dell’azione per il clima in contesti fragili e colpiti da conflitti, attraverso la Dichiarazione COP28 sul soccorso climatico, la ripresa e la pace; un passo importante per riconoscere che i più vulnerabili vivono in luoghi dove eventi climatici estremi e conflitti si intersecano. Tra i 25 Paesi che sono riconosciuti più vulnerabili agli impatti del cambiamento climatico, 18 sono attualmente in guerra e sono destinatari di più della metà degli aiuti umanitari internazionali.


Per favorire l’azione climatica in questi Paesi bisogna prendere in considerazione le differenze imposte dal lavorare in un tessuto sociale intaccato dal conflitto. Gernot Laganda, Direttore dell’unità Climate and disaster risk reduction del World Food Programme delle Nazioni Unite, spiega che nei luoghi fragili e colpiti da conflitti l’azione per il clima deve essere ancorata agli attori locali.


“La principale differenza nelle strategie di adattamento ai cambiamenti climatici in contesti in pace o in guerra - racconta Laganda - risiede nelle modalità: top-down e bottom-up”.

Nei contesti di pace, la strategia di adattamento al climate change è normalmente guidata a livello nazionale, nel tentativo poi di portare i soldi al livello locale, in un approccio top-down. In contesti fragili, invece, con un tessuto sociale e politico intaccato dal conflitto, bisogna lavorare dal basso, con un approccio bottom-up. Con questo fine, il World Food Programme sfrutta i propri percorsi umanitari - normalmente utilizzati per fornire aiuti alimentari o sostegno economico - come connettori con le istituzioni locali.


Per implementare l’azione climatica in contesti in conflitto è necessario costruire una terza linea di difesa. Accanto alla mitigazione al cambiamento climatico - politiche di decarbonizzazione per ridurre le emissioni climalteranti - e l’adattamento al cambiamento climatico - cosa dobbiamo fare oggi per preparare le società, i sistemi economici e le infrastrutture per un mondo che sarà (almeno) 1,5 gradi più caldo - serve la cosiddetta climate protection, che ha un focus molto più immediato.


Infatti, in contesti fragili non c’è il tempo necessario per costruire programmi di adattamento con strumenti come il Green Climate Fund, i cui progetti richiedono uno o due anni per essere preparati e poi altri quattro o cinque per essere realizzati. Servono programmi con una funzione protettiva immediata, per ridurre le perdite e i danni già nella prossima stagione climatica e non l’anno successivo.


“Per essere efficaci in contesti di conflitto - conclude Laganda - i programmi di climate protection devono essere basati su ripristino, anticipazione e protezione finanziaria”.

Una combinazione tra la protezione dell’ecosistema e delle infrastrutture, abbinata all’accesso a sistemi di allarme rapido, preparazione alle catastrofi, pianificazione di emergenze e protezione finanziaria.



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