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1036 risultati trovati con una ricerca vuota

  • Luce e gas, chi consuma è sempre l’ultimo a sapere!

    Tutto il mondo è paese. Un proverbio che sembra essere vero anche nel settore dell’energia e, più in particolare, in quello delle bollette. A fronte di un rapido sondaggio tra amici e conoscenti - privo dunque di qualunque valore statistico - alla domanda “qual è il tuo fornitore di energia?” (o ancora meglio, a chi paghi la bolletta?) 9 interpellati su 10 rispondono citando un nome, preceduto da qualche prudente “credo sia” o “forse è”. Ma se, perfidamente, si domanda “ma sei sul mercato libero o ancora in Maggior tutela?”, apriti cielo! Praticamente nessuno sa di che cosa si stia parlando. Sembra sia così anche in Spagna, stando ai dati elaborati dalla Commissione nazionale dei mercati e della concorrenza (CNMC), l’ente pubblico iberico - indipendente dal governo e soggetto al controllo parlamentare - chiamato a promuovere e preservare il corretto funzionamento di tutti i mercati nell’interesse di consumatori e imprese. Tre famiglie spagnole su quattro, infatti, non sono consapevoli della differenza tra mercato libero e regolamentato nel settore energetico, e sei su dieci non sono nemmeno in grado di rispondere sul tipo di fornitura che hanno in essere. Questo secondo i risultati del CNMC Household Panel, l’indagine semestrale che ha coinvolto 4.878 famiglie (9.109 individui). Purtroppo gli ultimi dati disponibili si riferiscono all’anno passato (il sondaggio è stato effettuato nel secondo trimestre 2019), anche se è ragionevole pensare che la situazione non sia molto cambiata; il 2020 è stato a dir poco particolare e le questioni energetiche non sono state proprio al centro dell’attenzione e della consapevolezza dei consumatori spagnoli. Entrando nel particolare, il 77 per cento degli interpellati ignora la differenza tra mercato tutelato e libero nella fornitura dell’elettricità; dato che scende – seppur di poco – al 74 per cento per quanto riguarda il gas. E come conseguenza, non conoscendo l’esistenza di queste due tipologie, la maggioranza delle famiglie spagnole non sa di che genere sia il contratto stipulato per la propria fornitura di elettricità e gas naturale. Alla domanda diretta sul tipo di approvvigionamento elettrico, infatti, il 28 per cento degli intervistati dichiara di essere nel mercato regolamentato, a fronte di un 8 per cento che si colloca nel mercato libero. La restante grossa fetta, il 64 per cento, sa di non sapere. Per il gas i numeri si discostano di poco, anche se la percentuale di coloro che ammettono di non sapere sale al 70 per cento (con il 23 per cento che si autodichiara regolamentato e il restante 7 per cento libero).

  • Purché dal lockdown non si passi al… blackout!

    Con il DPCM del 3 novembre, che conferma alcune limitazioni agli spostamenti in Italia e dall’estero, il MiSE segnala che nel settore energetico potrebbero ripresentarsi le criticità già emerse nei primi mesi di emergenza sanitaria. La nuova ondata del Covid-19, con un incremento della circolazione del virus in tutta la Penisola, ha portato il Governo ad adottare le iniziative più opportune per contrastare il dilagare dei contagi; iniziative che, generalmente, non limitano la mobilità connessa alla prestazione di servizi pubblici essenziali, ma che implicano comunque l’osservanza delle disposizioni riguardanti la sorveglianza sanitaria. La Direzione generale per le infrastrutture e la sicurezza dei sistemi energetici del MiSE - guidata dall’ingegner Gilberto Dialuce - ha così voluto nuovamente segnalare alle Amministrazioni competenti che le tempistiche della sorveglianza sanitaria e dell’isolamento fiduciario risultano difficilmente compatibili con quelle utili per lo svolgimento delle attività di manutenzione del settore elettrico (uno dei servizi “essenziali” per eccellenza) dove sovente, per realizzare interventi di manutenzione volti proprio a garantire la continuità del servizio, è necessario avvalersi di figure tecniche altamente specializzate provenienti anche dall’estero. Il MiSE ha quindi segnalato al Ministero della Salute la necessità di attribuire ai lavoratori del settore energetico un canale prioritario di accesso alla campagna vaccinale antinfluenzale e allo svolgimento dei tamponi e dei test sierologici, così da contrarre anche le tempistiche del periodo di quarantena precauzionale. Contestualmente, alle società energetiche è stato chiesto di avviare per il personale addetto alle sale controllo, ai centri di dispacciamento e agli impianti offshore che devono funzionare in continuo, una campagna di vaccinazione antinfluenzale e screening periodici con tamponi e test antigenici veloci, così da poter costituire gruppi di lavoratori in grado di assicurare con certezza la continuità del servizio nei punti nevralgici del sistema. Infine, poiché le nuove limitazioni potrebbero rendere meno agevoli le turnazioni, il Ministero raccomanda alle aziende una adeguata organizzazione e pianificazione dell’orario di lavoro, che consenta il mantenimento delle operazioni di gestione, manutenzione e intervento in caso di guasti, così da assicurare la continuità del servizio in sicurezza.

  • Stop a 8 GW di carbone nelle Filippine

    Se Giappone e Corea del Sud hanno già espresso la loro intenzione di diventare carbon neutral, e auspicando che la Cina mantenga l’impegno almeno al 2060, anche le Filippine fanno un primo importante passo verso la sostenibilità ambientale. Il governo, attraverso il segretario all’energia Alfonso Cusi, ha infatti annunciato durante la Singapore International Energy Week una moratoria nella costruzione di centrali elettriche a carbone, che mette fine a 8 di 12 GW di progetti in fase di pre-autorizzazione. “La decisione del Governo delle Filippine - ha dichiarato Sara Jane Ahmed, analista di finanza energetica dell’Istituto per l’Economia e l’Analisi finanziaria (IEEFA) - rappresenta una indicazione precisa dell’impegno del Paese a costruire un futuro energetico resiliente e più competitivo in termini di costi, passando a risorse energetiche pulite e tecnologie verdi”. Attualmente le Filippine sono fortemente dipendenti dal carbone: secondo i dati del Dipartimento dell’energia del Paese, nel 2019 ben il 49 per cento del fabbisogno è stato soddisfatto da questo combustibile, seguito dalla geotermia - Manila è il secondo produttore al mondo dopo gli Stati Uniti – che insieme all’idroelettrico ha coperto il 30 per cento, e quindi da gas e petrolio con il 19 per cento. Fermi all’uno per cento sia il solare che l’eolico. Con una rete energetica particolarmente rigida che dipende fortemente dalle grandi centrali a carbone per fornire il carico di base, il phase out sarà comunque particolarmente difficile e costoso.

  • Petrolio, domanda in calo... ma non è la fine

    In linea con quanto pubblicato nell’ultimo World Energy Outlook della IEA, anche la recente analisi della società di consulenza energetica indipendente Rystad Energy rivede in modo significativo le previsioni sulla domanda di petrolio a lungo termine. Si prevede infatti che la persistenza della pandemia e la conseguente crisi economica, le restrizioni nei collegamenti e allo stesso tempo l’accelerazione verso la transizione energetica possano determinare un calo della domanda di petrolio nel 2020, attestandosi a 89,3 milioni di barili al giorno, rispetto ai 99,6 milioni di barili al giorno nel 2019, in una situazione pre-crisi. Sempre secondo questa analisi, la domanda potrebbe tornare a 94,8 milioni di barili/giorno nel 2021, anche se la lenta ripresa dovrebbe influenzare in modo permanente i livelli della domanda globale di petrolio, riducendo di almeno 2,5 milioni di barili/giorno le previsioni fatte prima del Covid-19. E guardando più in casa nostra, la transizione energetica, più della pandemia, ha già fatto la sua prima vittima: dopo 72 anni, nel silenzio mediatico, l’Unione Petrolifera ha cambiato nome, ribatezzandosi Unem (Unione energie per la mobilità). Un silenzio, come sottolinea Giuseppe Gatti nel suo editoriale su Nuova Energia, che è “testimonianza di come l’oil sia ormai considerato morto e defunto”. Ma, evidenzia sempre Gatti “è una fuga in avanti che ignora barriere tecnologiche ancora da superare come economics che non tornano”.

  • COVID-19, in che misura il blocco delle attività ferma l’inquinamento?

    Il satellite Copernicus Sentinel-5P dell’ESA ha recentemente fotografato l’inquinamento atmosferico in Europa e Cina, dove si stanno implementando misure rigorose per frenare la diffusione dell’epidemia di Coronavirus. Come era prevedibile, la mappatura ha rilevato un calo significativo delle concentrazioni di biossido di azoto in coincidenza con le misure di quarantena. I ricercatori del Royal Netherlands Meteorological Institute (KNMI) hanno esaminato i dati forniti dalle immagini del satellite dal 14 al 25 marzo 2020, confrontandoli con la media mensile del 2019. “Sono state scelte queste date - spiega Henk Eskes di KNMI - perché le concentrazioni di biossido di azoto cambiano di giorno in giorno in relazione alla variabilità meteorologica. Non è dunque possibile trarre conclusioni sulla base di dati relativi a un solo giorno”. La chimica nella nostra atmosfera non è lineare e il calo percentuale delle concentrazioni può differire dal calo reale delle emissioni. Per quantificarle sulla base di osservazioni satellitari sono necessari modelli di chimica atmosferica che spiegano i cambiamenti giornalieri del tempo, in combinazione con tecniche di modellazione inversa. Il team KNMI - in collaborazione con scienziati di tutto il mondo - sta lavorando a una analisi più dettagliata utilizzando dati del suolo e meteorologici per interpretare le concentrazioni osservate e fornire una stima quantitativa dei cambiamenti nelle emissioni dovuti ai trasporti e all’industria.

  • Lo sviluppo delle rinnovabili può minacciare l’habitat naturale

    Un team di ricerca dell’Università del Queensland, in Australia, ha mappato la posizione nel mondo delle strutture fotovoltaiche, eoliche e idroelettriche. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Global Change Biology, ha rilevato che più di 2.000 impianti di energia rinnovabile, principalmente situati in Europa occidentale e nei Paesi sviluppati, sono stati costruiti in aree di rilevanza ambientale e minacciano gli habitat naturali di specie vegetali e animali. José Rehbein, a capo del team di ricerca e docente della School of Earth and Environmental Sciences dell’Università del Queensland, ha dichiarato di essere allarmato dai risultati. Anche perché, oltre alle 2.200 strutture già in funzione all’interno di importanti aree di biodiversità, ne sono attualmente in costruzione altre 900. “Le strutture energetiche e le infrastrutture che le circondano, come le strade - ha aggiunto Rehbein - possono essere incredibilmente dannose per l’ambiente naturale e il loro sviluppo non sembra compatibile con gli sforzi in atto per la conservazione della biodiversità”. “Per questo - continua Rehbein - bisognerebbe che si riconsiderassero le strutture che sono attualmente in costruzione in Africa e in Asia”. Lo studio non deve però essere interpretato in chiave anti-rinnovabile perché, affermano i ricercatori, l’energia da FER è cruciale per ridurre le emissioni di carbonio, ma vuole esortare i governi e le industrie a una diversa e più attenta pianificazione. “La chiave - ha dichiarato James Allan, ricercatore dell’Università di Amsterdam e uno degli autori dello studio - è garantire che le strutture per le energie rinnovabili siano costruite in luoghi in cui non danneggiano la biodiversità”.

  • Massachusetts-EPA: le emissioni rinviate a giudizio

    I gas serra inquinano? Sembra una domanda oziosa, la cui risposta non può essere diversa da quella prevista. Eppure negli Stati Uniti è stato necessario arrivare davanti alla Corte Suprema - con il caso Massachusetts versus EPA (2007) - nel quale si è stabilito che, per sostanze che inquinano l’aria, si intendono anche i gas serra. In tale contenzioso, un gruppo di Stati sosteneva che l’Environmental Protection Agency (EPA), non regolamentando le emissioni del settore trasporti, non avrebbe dato attuazione al Clean Air Act (legge del 1967 in base alla quale il controllo dell’inquinamento atmosferico costituisce responsabilità del governo centrale). E proprio la sezione 202 del Clean Air Act dà all’EPA il potere di stabilire standard per la riduzione dell’inquinamento generato dai trasporti. Secondo l’Agenzia governativa, però, i gas serra non rientrerebbero tra le sostanze inquinanti cui il Clean Air Act si riferisce e per questo l’EPA non avrebbe alcun potere nella regolamentazione delle emissioni. La Corte Suprema ha dato ragione ai ricorrenti: i gas serra costituiscono sostanze inquinanti, la cui disciplina rientra senz’altro nelle competenze conferite all’EPA dal Congresso con il Clean Air Act. Pertanto, non solo l’EPA avrebbe potuto disciplinare le emissioni dei trasporti, ma era anche tenuta a farlo ove avesse riscontrato che tali emissioni fossero potenzialmente nocive per la salute umana. Effettivamente, l’EPA nel 2009 ha prodotto uno studio, il cosiddetto Endangerment Finding, che ha definito inquinanti i gas serra e attestato come il cambiamento climatico indotto da tali sostanze sia in grado di mettere seriamente a repentaglio la salute umana, generando ingenti costi per la sanità pubblica. L’Agenzia ha quindi stabilito standard per le emissioni dei veicoli a motore e per il settore elettrico, in base alla sezione 111 del Clean Air Act che richiede di regolare il livello degli inquinanti provenienti da fonti stazionarie, laddove contribuiscano a causare un inquinamento dell’aria tale da mettere a repentaglio la salute pubblica.

  • In Europa (e in Italia).... tira una brutta aria

    Non ci siamo! In questi anni la Commissione Europea ha fatto sforzi tangibili per migliorare la qualità dell'aria. Eppure, siamo ancora lontani da un risultato soddisfacente. Le prossime direttive dovranno essere ancora più severe e ambiziose rispetto a quelle oggi vigenti. A dirlo è la Corte dei Conti europea, che sul tema ha pubblicato il report Inquinamento atmosferico: la nostra salute non è ancora sufficientemente protetta. La Corte, in piena sintonia con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha posto l’accento sui seguenti inquinanti atmosferici, identificati come più nocivi per la salute umana: il particolato (PM), il biossido di azoto (NO2), il biossido di zolfo (SO2) e l’ozono troposferico (O3). L’attenzione “globale” alle emissioni di CO2 ha probabilmente distolto l’interesse da questi inquinanti. La stessa Corte dei Conti è poi giunta alla conclusione “che le azioni dell’UE volte a proteggere la salute umana dall’inquinamento atmosferico non hanno prodotto l’impatto atteso. I considerevoli costi umani ed economici non si sono tradotti in interventi adeguati” e ha “raccomandato alla Commissione di considerare un aggiornamento ambizioso della direttiva sulla qualità dell’aria ambiente, che rimane uno strumento importante per rendere l’aria più pulita”. Il nostro Paese – non certo a sorpresa – è in forte affanno. Le mappe pubblicate dalla European Environmental Agency (Air Quality in Europe 2018) confermano che le maggiori concentrazioni di PM10 e PM2,5 si riscontrano nella Pianura Padana, attorno all’area di Roma e in Polonia (ma in questo caso entra in gioco come causa primaria l’uso del carbone per la generazione elettrica). È la stessa EEA, d’altra parte, a sottolineare come la produzione di particolato sia strettamente legata anche all’uso di biomasse (rinnovabile non vuol necessariamente dire sostenibile!): “Un impatto negativo sulla qualità dell’aria è dovuto al crescente utilizzo di biomasse in impianti non dotati di adeguati sistemi di controllo delle emissioni”. Un concetto ripreso e confermato dalla stessa Corte dei Conti: “La combustione di biomassa legnosa può anche comportare emissioni più elevate di determinati inquinanti atmosferici nocivi. L’uso di caldaie inefficienti alimentate a combustibili solidi aggrava il problema dell’inquinamento atmosferico”. Eppure, si tratta di una fonte spesso incentivata. In questi ultimi anni il legislatore si è concentrato sul settore trasporti, introducendo – anche in ambito locale – restrizioni e limitazioni spesso molto articolate. La stessa attenzione, per ora, non sembra invece aver riguardato il riscaldamento domestico. È ancora la Corte dei Conti a ricordarci: “L’UE ha stabilito norme volte a migliorare l’efficienza di tali dispositivi, norme che entreranno però in vigore solo nel 2022 e per i nuovi dispositivi. La sostituzione di caldaie inefficienti, spesso in abitazioni di famiglie a basso reddito, costituisce una sfida considerevole per le autorità di alcuni Stati membri”. Va per altro ricordato come il ricorso al gasolio (combustibile con livelli di emissioni particolarmente elevati) resta un’opzione tutt’altro che marginale. L’Annual Report dell’Unione petrolifera, pubblicato nel 2019, evidenzia che i consumi di gasolio per riscaldamento nel 2018 hanno raggiunto in Italia 1 milione di tonnellate (sostanzialmente stabili rispetto al 2017).

  • COVID-19: Waste-to-Energy per la salute

    L’incenerimento dei rifiuti, grazie alle alte temperature, distrugge in modo sicuro virus e altri agenti patogeni ed è fondamentale per ridurre i rischi. Quello della gestione dei rifiuti è un settore che fornisce un servizio essenziale per la nostra società, come ha ribadito in questi giorni il commissario europeo per l’ambiente Virginijus Sinkevičius, in occasione della pubblicazione di una guida sul trasporto dei rifiuti nel contesto della diffusione del COVID-19. Al fine di proteggere la salute pubblica in questi tempi di pandemia, l’incenerimento fa parte a pieno titolo dell'infrastruttura critica a disposizione degli Stati membri per garantire il miglior trattamento possibile dei rifiuti contaminati che non possono essere riciclati. Inoltre, alcuni istituti di virologia governativi come il Robert-Koch-Institute tedesco affermano che il trattamento termico dei rifiuti infetti è obbligatorio. Anche ai dipendenti del settore dei rifiuti dovrebbe essere riconosciuto lo status di “lavoratore chiave”, poiché svolgono compiti essenziali durante l’attuale epidemia. La tecnologia Waste-to-Energy distrugge in modo sicuro il virus senza mettere in pericolo la salute dei lavoratori; i rifiuti sono immessi direttamente nel forno, evitando ogni contatto umano con il materiale contaminato. Secondo l’associazione CEWEP (Confederazione europea degli impianti di termo valorizzazione) “questa crisi dimostra ancora una volta quanto sia importante un approccio integrato alla gestione dei rifiuti, in cui ogni flusso deve trovare il modo più sostenibile di trattamento senza mettere in pericolo la salute umana o l’ambiente”. “Durante questi periodi straordinari - conclude la CEWEP - resta di fondamentale importanza che i flussi di rifiuti non contaminati continuino a essere separati e riciclati il ​​più possibile, seguendo correttamente le raccomandazioni degli istituti di virologia”.

  • I vulcani hanno cambiato il clima nel Triassico?

    Da tempo si ritiene che l’estinzione che ha colpito gran parte degli esseri viventi 200 milioni di anni fa sia stata causata da drammatici cambiamenti climatici e dall’innalzamento del livello del mare. Un’attività vulcanica su larga scala, nota come eruzione della Provincia Magmatica dell’Atlantico centrale, generò nell’atmosfera livelli altissimi di anidride carbonica. Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature Communications, condotto da un gruppo di ricerca internazionale coordinato dal professor Don Baker, ordinario di Scienze della Terra e del Pianeta alla McGill University di Montreal in Canada, sostiene che proprio l’attività vulcanica ha contribuito al devastante cambiamento climatico, possibile causa dell’estinzione di massa, a seguito del rilascio in atmosfera di livelli molto elevati di CO2 . Le prove sono state scoperte dal team di ricerca del professor Baker analizzando delle “bolle” di anidride carbonica intrappolate nelle rocce vulcaniche risalenti alla fine del Triassico. Da queste analisi i ricercatori hanno inoltre rilevato che la quantità di anidride carbonica rilasciata dall’attività vulcanica nell’atmosfera in quel periodo è paragonabile alla quantità di CO2 che si prevede sarà prodotta da tutta l’attività umana nel 21° secolo.

  • Una Piattaforma web per “parlare” al territorio

    Uno dei problemi che spesso le aziende che investono in impianti rinnovabili si trovano ad affrontare è l’accettabilità delle installazioni da parte delle comunità locali. Un aiuto per informare e spiegare i progetti alla popolazione interessata può arrivare dalla tecnologia e dalla digitalizzazione, con sistemi “aperti” che dialogano con i cittadini. Una Piattaforma espositiva pubblica virtuale online è stata ora lanciata dall’azienda energetica tedesca RWE per portare a conoscenza del pubblico il nuovo progetto del Parco eolico offshore Dublin Array, una installazione da 900 MW a circa 10 km dalla costa irlandese. Questa Piattaforma online, che fornisce dettagli completi sul parco eolico, le attività in corso, i potenziali vantaggi per il business, vuole proprio rappresentare uno strumento per un significativo scambio di informazioni con le comunità locali, e può essere utilizzata dal pubblico quale strumento per interagire in modo informale con l’azienda. Parlando di sostenibilità ambientale e accettabilità sociale, anche in Italia è innovativa la proposta della multiutility LGH, che con la sua piattaforma web OpenReportTM comunica la sostenibilità del Gruppo in modo dinamico e interattivo grazie all’aggiornamento in itinere delle performance sociali, economiche e ambientali. Accessibile da tutti i device, questo strumento apre nuovi spazi di conoscenza, fiducia e partecipazione, facendo crescere il rapporto tra azienda e territorio.

  • Al via in Africa il progetto Green Mini Grid

    In Gambia il 55 per cento della popolazione non ha accesso all’elettricità e il Piano di sviluppo nazionale (NDP) ha come obiettivo primario proprio una fornitura elettrica affidabile, economica, efficiente e rispettosa dell’ambiente. In quest’ottica il Ministero del petrolio e dell’energia dello Stato africano sta implementando, con il sostegno del Fondo per l’energia sostenibile per l’Africa (SEFA), il Programma di sviluppo delle mini reti verdi (Green Mini Grid, GMG). La prima parte del progetto riguarda la preparazione di una strategia politica e la stesura di regolamenti per promuovere lo sviluppo GMG in Gambia. Il secondo step dovrà invece supportare lo sviluppo del progetto attraverso studi di fattibilità presso potenziali siti e attrarre investitori. “Nell’ambito della nostra strategia nazionale per l’accesso universale all’elettricità - ha dichiarato Fafa Sanyang, Ministro del petrolio e dell’energia - il governo del Gambia ha fissato l’obiettivo di connettere un terzo della popolazione rurale attraverso soluzioni off-grid entro il 2030, principalmente attraverso mini-reti verdi e sistemi domestici autonomi”. “Tuttavia - ha continuato Fafa Sanyang - questo obiettivo non può essere raggiunto prontamente senza creare un contesto politico favorevole per stimolare gli investimenti pubblici e privati, mettendo in atto un quadro normativo efficace e con meccanismi di riduzione del rischio per il settore privato”. Il Gambia, che ha una popolazione di circa due milioni e mezzo di abitanti, produce oggi solo meno del 2 per cento di energia da fonti rinnovabili, grazie al fotovoltaico, e si è posto come traguardo una quota del 50-60 per cento entro il 2030. Se la media africana dell’uso dei combustibili fossili è dell’80 per cento, in Gambia questa quota raggiunge il 98,9 per cento.

  • Namibia: una birra carbon neutral

    Per una buona birra serve un ottimo malto d’orzo, oltre al luppolo, ma se vuole essere buona anche per l’ambiente deve essere prodotta in modo sostenibile. La Namibia Breweries Limited (NBL), una delle principali aziende produttrici di bevande e birre in Namibia e in Africa meridionale parte del Gruppo O&L Ohlthaver & List, ha messo in funzione una caldaia a biomasse che sostituirà l’80 per cento del fabbisogno termico, soddisfatto fino ad ora con 3.600 tonnellate di olio combustibile che NBL usa ogni anno per i forni. La caldaia, la più grande installata in Namibia, consentirà inoltre di evitare il 28 per cento delle emissioni totali di NBL, contribuendo all’obiettivo del Gruppo O&L di ridurre la propria impronta di carbonio del 20 per cento entro il 2020. Il progetto, che si basa sull’impegno di NBL per le energie rinnovabili, è costato 53 milioni di dollari e prevede che l’energia termica prodotta venga utilizzata non solo per il processo di produzione della birra ma anche per altri usi aziendali minori. La caldaia utilizzerà cippato di legno e NBL ha ottenuto l’approvazione dal Ministero dell’Agricoltura, dell’Acqua e delle Foreste della Namibia per la raccolta di cespugli invasivi, liberando così la terra per usi alternativi e migliorando la capacità di resa delle fattorie.

  • GERD: una diga piena di…diatribe

    Fin dall’inizio dei lavori per sua costruzione, nel 2011, la Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD) è stata al centro di diverse diatribe tra i Paesi promotori del progetto: Egitto, Sudan ed Etiopia. Ora, dopo gli accordi del 2015 che avevano temporaneamente risolto le controversie, sembra che gli attuali negoziati siano riusciti a portare alcuni importanti risultati tanto che, finalmente, si possa prevedere in tempi non lunghi il raggiungimento di un accordo vincolante. La Grand Ethiopian Renaissance Dama è la più grande diga africana; lunga 1.800 metri, alta 170 m e con un volume complessivo di 10,4 milioni di m3, il progetto è stato affidato alla società italiana Salini e ha un costo stimato di 37 miliardi di euro. La diga ha due centrali elettriche con una potenza installata totale di 6.000 MW e una produzione stimata di 15.000 GWh all’anno, e contribuirà ad evitare l’emissione di 2 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. La disputa sulla GERD, il cui contenzioso principale riguarda la velocità di riempimento del bacino, è solo l’ultimo e più intenso confronto diplomatico sull’uso delle acque del fiume Nilo. Sarà ora compito dell’Unione Africana cercare di prevenire futuri conflitti aiutando i Paesi in causa a raggiungere un accordo globale, a livello di bacino, sulla sua gestione e su un uso equo delle acque.

  • L’Australia sempre più carbon free

    Nell’ultimo Quarterly Carbon Market Report, il rapporto trimestrale pubblicato dal regolatore australiano Clean Energy Regulator, l’Australia è avviata a raggiungere uno straordinario 6,3 GW di nuova capacità di energia rinnovabile nel 2020 grazie soprattutto al contributo del solare sui tetti. Nel secondo trimestre del 2020 sono stati infatti installati 677 MW di impianti fotovoltaici di piccola scala, con un aumento dell’11 per cento rispetto al primo trimestre del 2020 e del 41 per cento in più rispetto al secondo trimestre del 2019. A giudizio di David Parker, presidente del Clean Energy Regulator, la nuova capacità di energie rinnovabili su larga scala, che ha già raggiunto i 2 GW in questi primi sei mesi, potrà arrivare a circa 3,4 GW entro la fine dell’anno. Si sono inoltre registrati ben 43 nuovi progetti nell’ambito del Fondo per la riduzione delle emissioni, che dovrebbe raggiungere i 54 milioni di tonnellate di emissioni evitate di CO2 nel 2020, rispetto ai 48 del 2019. Globalmente gli investimenti nelle energie rinnovabili, sia su piccola che su larga scala, hanno superato ogni aspettativa e hanno accresciuto il loro peso nell’economia australiana.

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