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  • Nuovo nucleare USA, auguri alla mamma

    L’ente regolatore statunitense accoglie la richiesta di modifiche alla nuova sezione di norme che disciplinano il rilascio delle autorizzazioni per i nuovi reattori nucleari. Parola d’ordine, flessibilità e leggerezza. Soddisfatti gli stakeholder, un po’ meno i critici. Ci sono voluti nove mesi e per l’NRC quella delle nuove regole non è stata una gravidanza facile... Ha richiesto nove mesi di gestazione, ma esattamente come un bimbo molto desiderato la decisione partorita dalla Nuclear Regulatory Commission statunitense riempie di soddisfazione chi era lì ad attenderla. È Patrick White, direttore ricerche della NIA - Nuclear Innovation Alliance, a dare il lieto annuncio: i quattro membri dell’ente regolatore per l’energia nucleare ad uso civile hanno ufficialmente decretato la necessità di apportare modifiche alla “Parte 53”, la proposta di regolamento per il rilascio delle autorizzazioni agli SMR, i piccoli reattori modulari cui è affidata gran parte delle probabilità di successo della strategia nucleare bideniana. Soddisfatti i 20 legislatori bipartisan autori della mozione che nove mesi fa esortava l’NRC ad occuparsi di “questioni chiave ancora irrisolte” nella bozza di regolamento, assicurandosi che la versione finale potesse rispondere all’intento primario della legge: garantire flessibilità e prevedibilità nel procedimento regolatorio. Un po’ di storia. Nel 2018 il Congresso approva il NEIMA - Nuclear Energy Innovation and Modernization Act, che impone all’NRC di definire un nuovo quadro normativo per i reattori avanzati entro il 2027. Detto fatto, l’ente propone il Part 53, la bozza che andrà ad aggiungersi alle attuali Part 50 e Part 52 che disciplinano le autorizzazioni per i grandi reattori ad acqua leggera con impiego di tecnologie esistenti. Ma la Part 53, pensata specificamente per le nuove tecnologie - tra cui il reattore nucleare veloce refrigerato al sodio di Terra Power o quelli ad alta temperatura a sali fusi di Kairos Power - non piace agli stakeholder e ai 20 lawmaker che firmano la mozione: contiene nuovi obblighi che potrebbero appesantire il rilascio delle licenze. Tra i punti da modificare, la rigida checklist per la valutazione probabilistica del rischio, da rimpiazzare con un quadro normativo più adatto ai reattori dal design semplificato che prevedono misure di sicurezza passiva e intrinseca - basati su gravità o differenze di pressione e non sull’intervento di un operatore. Non piace nemmeno la valutazione dei rischi per la salute basata su obiettivi quantitativi, da sostituire con criteri di tipo cumulativo. E arriviamo all’oggi. Gli sforzi del Governo per alleggerire l’iter autorizzativo per il nuovo nucleare non si esauriscono con il NEIMA: a febbraio la Camera bassa del Congresso approva l’Atomic Energy Advancement Act, che riduce i costi per la concessione delle licenze e ordina all’NRC di aggiornare le proprie procedure di monitoraggio e valutazione ambientale in materia di reattori. Per l’ente, dunque, la nuova versione del regolamento in cui la Part 53 rifletta le richieste degli stakeholder e del governo sarà un altro parto, per il quale ci vorranno altri sei mesi. Esattamente un anno fa, la NRC dichiarava che nelle nuove regole avrebbero trovato spazio le nuove tecnologie, per le quali manca ancora una significativa esperienza sul campo. Tagliente il commento del direttore della sezione nucleare della Union of Concerned Scientists, Edwin Lyman. “Il problema fondamentale - sostiene Lyman - è che la Nuclear Regulatory Commission si trova a dover autorizzare l’utilizzo di reattori senza sapere come funzionano”. Come ogni neogenitore alla prima esperienza, anche l’NRC non sa come comportarsi. E allora, auguri alla mamma. Carolina Gambino

  • La transizione si fa investendo: ecco il Piano Strategico di A2A

    A2A presenta il nuovo Piano Strategico 2024-2035. Crescono gli investimenti, anche grazie ai risultati straordinari conseguiti nei primi tre anni del Piano 2021-2030. Infrastrutture, persone e aziende, decarbonizzazione e sviluppo future-fit gli elementi chiave della strategia del Gruppo. Il messaggio forte? L’azienda continua a investire e a crescere. “La transizione si fa investendo”. Con queste parole di Renato Mazzoncini, amministratore delegato di A2A, si può fare buona sintesi della presentazione del nuovo Piano industriale del Gruppo che traguarda il 2035, anno chiave in Europa per la transizione ecologica. L’orizzonte è a 10 anni e il punto di passaggio, il 2035, si ancora a obiettivi europei chiari. “Complice uno scenario energetico che ci ha favorito, dal 2020 abbiamo realizzato straordinarie performance economiche e industriali superiori alle attese - commenta Renato Mazzoncini - in anticipo rispetto a quanto previsto nel Piano decennale 2020-2030, il primo a 10 anni per una utility”. Forte di questi risultati, il Gruppo ha deciso di rilanciare le proprie ambizioni con un nuovo Piano al 2035, scegliendo di traguardare un orizzonte più ampio e definendo una tappa intermedia rispetto al net zero del Continente al 2050. 22 miliardi di euro di investimenti in 12 anni - di cui 10 miliardi, il 44 per cento, in business con bassa volatilità - per infrastrutture dedicate all’economia circolare (6 miliardi destinati al trattamento e chiusura del ciclo dei rifiuti, al ciclo idrico integrato e al teleriscaldamento) e alla transizione energetica (16 miliardi di euro per elettrificazione dei consumi e sviluppo della rete di distribuzione elettrica), che si confermano i pilastri della strategia. In questo contesto di crescita dimensionale di lungo periodo si inquadra anche l’operazione straordinaria da 1,2 miliardi di euro per l’ampliamento della rete elettrica: l’acquisizione di gran parte della rete elettrica della provincia di Milano e, nel bresciano, della Valtrompia - 17 mila chilometri di rete su cui sono dislocati 800 mila POD e 60 cabine primarie - che consentirà di raggiungere una RAB di 3,4 miliardi al 2035, consolidando la posizione di A2A come secondo operatore italiano e tra i primi 20 in Europa per energia elettrica distribuita. Questa acquisizione si inserisce nella strategia generale di sviluppo delle reti elettriche che prevede 4 miliardi di euro di CAPEX in arco piano, che permetterà ad A2A di generare 500 milioni di euro di EBITDA al 2035. “Saremo in grado di creare valore sostenibile - conclude Renato Mazzoncini - assicurando solidità finanziaria e rendimenti ai nostri azionisti”. Risulta confermato l’obiettivo di decarbonizzazione al 2030 dichiarato nel primo Piano decennale e rafforzato il target al 2035, con una previsione di riduzione del fattore emissivo complessivo di Gruppo del 65 per cento rispetto ai valori del 2017. Un risultato raggiungibile anche grazie all’avvio di un impianto di Carbon Capture e all’azzeramento delle emissioni Scope 2 per l’acquisto di energia. E per non dimenticare la dimensione di sostenibilità economica, il Piano 2024-2035 conferma l’attenzione del Gruppo verso un’equilibrata struttura del capitale finalizzata a mantenere il profilo di credito a un solido investment grade. La crescita equilibrata della marginalità operativa consentirà di generare un solido flusso di cassa da impiegare per il finanziamento degli investimenti. Insomma, la strada per la transizione ecologica è lunga, la destinazione chiara, il percorso condiviso: non resta che camminare (e investire!).

  • Le interviste FEEM@COP28. In dialogo con Pablo Hevia-Koch

    Le interviste FEEM alla COP28. Una proposta informativa interessante, per spiegare la transizione energetica in modo semplice, grazie ad agili testi accompagnati da brevi video. Valeria Zanini ha intervistato Pablo Hevia-Koch, Capo ad Interim dell’unità Renewable Integration and Secure Electricity dell’International Energy Agency (IEA). La rapida adozione di nuove tecnologie per la transizione energetica si è tradotta nell’ultimo decennio in un’espansione dell’uso del vettore elettrico in ambiti precedentemente dominati dai combustibili fossili, aumentando la domanda di elettricità e l’utilizzo della rete. Secondo Pablo Hevia-Koch, Capo ad Interim dell’unità Renewable Integration and Secure Electricity dell’International Energy Agency (IEA), l’energia elettrica sta diventando “il cuore pulsante delle economie moderne”, sia in virtù della crescita della domanda legata all’elettrificazione dei consumi e di diversi settori dell’economia, sia in relazione ai nuovi attori nel panorama elettrico, come la produzione di idrogeno tramite elettrolisi o la mobilità. Questo si traduce non solo in livelli più alti di domanda di elettricità, ma anche in un cambiamento nella natura di questa domanda: sia i modelli operativi sia la distribuzione geografica di queste fonti di domanda stanno mutando. Allo stesso tempo, stiamo assistendo a un significativo sviluppo di nuove fonti di generazione elettrica, molto diverse dalle precedenti, in particolare eolico e solare fotovoltaico, che sono passate da pochi punti percentuali della domanda finale di elettricità a coprirne oltre il 10 per cento a livello globale - una percentuale che nel futuro sarà molto più alta. A fronte di questo rapido cambiamento della natura del sistema energetico, le reti - che collegano la generazione alla domanda e portano l’elettricità ai consumatori - devono tenere il passo per essere in grado di essere adatte all’obiettivo. Negli ultimi 20 anni l’infrastruttura è cresciuta di circa 25 milioni di km; nei prossimi 20 sarà necessario costruire altri 50 milioni di km di rete, sia a livello di trasmissione sia di distribuzione. A questi, si sommano i circa 30 milioni di km di reti esistenti che andranno modernizzate e rinforzate, per un totale di 80 milioni di km, circa 2.000 volte la circonferenza della Terra. Dei nuovi 50 milioni di km , la maggior parte dovranno essere reti di distribuzione, la cui rilevanza è in crescita a causa della crescente penetrazione delle nuove fonti di generazione distribuita. Per raggiungere questo obiettivo, è necessario raddoppiare gli attuali investimenti - che ammontano a 300 miliardi di dollari l’anno, una cifra che negli ultimi anni è rimasta stabile o addirittura, in molte economie emergenti, in declino - per arrivare a oltre 600 miliardi di dollari.

  • Mobilità elettrica e trasporto pesante, serve una rete di ricarica adeguata

    L’elettrificazione del traffico merci a medio e lungo raggio è un elemento centrale per raggiungere gli obiettivi di neutralità carbonica del settore trasporti. Indispensabile è quindi l’implementazione di strutture di ricarica ad alta capacità lungo le principali direttrici europee. Ma la strada è ancora lunga... Se pensiamo alle nostre necessità quotidiane - dal cibo fresco ai prodotti ortofrutticoli, fino alle medicine - le merci ogni giorno sono trasportate in larga maggioranza su gomma, con camion e furgoni di varie dimensioni che attraversano in lungo e in largo l’Italia e l’Europa. Secondo la European Automobile Manufacturers’ Association (ACEA), i camion che circolano in Europa sono circa 6,5 milioni e trasportano il 77 per cento di tutte le merci spostate via terra nell’UE. Numeri che fanno capire come nel Vecchio continente sia necessario, anzi fondamentale, sviluppare e adeguare le infrastrutture e la rete di ricarica per permettere e incentivare i player della logistica e dei trasporti, ma anche i piccoli autotrasportatori, a convertire le proprie flotte con veicoli elettrici. Sempre secondo ACEA, entro il 2030 saranno necessarie almeno 50.000 stazioni di ricarica ad alta capacità per consentire l’elettrificazione del trasporto di merci su strada. Di queste, almeno 35.000 dovranno essere dotate di Megawatt Charging System, uno standard che consente di ricaricare rapidamente le grandi batterie dei nuovi camion con enormi quantità di energia e che è in fase di sperimentazione, sotto la supervisione scientifica dell’Istituto Fraunhofer, in quattro stazioni lungo l’autostrada tedesca A2. “L’industria europea dei camion - ha dichiarato Alexander Vlaskamp, CEO di MAN Truck & Bus, durante la presentazione del manifesto FutureDriven promosso da ACEA - vuole raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione, ma ha bisogno di reti e connessioni adeguate. L’espansione accelerata dell’infrastruttura di ricarica è l’unico modo per portare avanti la transizione ecologica nei trasporti”. Solo politiche coordinate tra UE e Paesi Membri possono accelerare lo sviluppo di infrastrutture di ricarica lungo i principali corridoi merci europei ed evitare gli impatti negativi delle forti differenze nei costi operativi. Lo sottolinea l’ultimo studio del Regulatory Assistance Project (RAP), organizzazione indipendente che promuove la transizione energetica, che approfondisce il panorama economico della realizzazione di queste infrastrutture. L’analisi del RAP, che fa luce sulle significative differenze di costi nei vari Paesi dell’UE, evidenzia infatti gli ostacoli economici e normativi che potrebbero rallentare il processo di elettrificazione dei camion: dalle forti variazioni delle tariffe, che possono portare al cosiddetto “turismo tariffario” e mettere potenzialmente a dura prova alcune reti elettriche, ai differenti costi per la realizzazione delle infrastrutture stesse. La mobilità elettrica potrà senz’altro prendere slancio grazie anche alle nuove tecnologie, che avranno la loro vetrina a Power2Drive Europe, la fiera internazionale delle infrastrutture di ricarica e della e-mobility che si svolgerà a Monaco di Baviera dal 19 al 21 giugno 2024. La manifestazione sarà il luogo dove poter toccare con mano soluzioni di ricarica e servizi legati alla mobilità, le ultime tecnologie, soluzioni e modelli di business, con un focus sull’integrazione di veicoli elettrici, infrastrutture di ricarica e fonti rinnovabili. Organizzata da Solar Promotion, Power2Drive Europe fa parte di The Smarter E Europe, la più grande piattaforma europea per il settore dell’energia, che comprende anche le fiere settoriali Intersolar Europe, la manifestazione leader a livello mondiale per l’industria solare, EM-Power, dedicata alla gestione dell’energia e alle soluzioni energetiche interconnesse, ed ees Europe, dedicata alle batterie e i sistemi di stoccaggio dell’energia.

  • Climate change, nel 2023 spesi 10 miliardi per i Paesi asiatici in via di sviluppo

    L’Asia e gli Stati del Pacifico, responsabili di oltre la metà delle emissioni mondiali di anidride carbonica, sono zone fortemente colpite dalle conseguenze del cambiamento climatico: caldo estremo, siccità e forti piogge. Eventi che ovviamente hanno maggiore impatto sui Paesi in via di sviluppo, dove minori sono anche le possibilità per gli investimenti. Per sostenere i piani dei Paesi in via di sviluppo (DMC), per ridurre le emissioni e mitigare gli impatti connessi al cambiamento climatico, l’Asian Development Bank (ADB) ha stanziato nel solo 2023 ben 9,8 miliardi di dollari, una cifra record che supera del 46 per cento gli interventi della banca a sostegno dei DMC rilasciati nel 2022, pari a 6,7 miliardi di dollari. In particolare, lo scorso anno ADB ha accordato finanziamenti per 5,5 miliardi di dollari per interventi di mitigazione e 4,3 miliardi di dollari per l’adattamento al climate change. Tra gli interventi a sostegno promossi da ADB, un prestito di 400 milioni di dollari per il piano di adattamento climatico del Bangladesh; 1 miliardo di dollari per il primo sistema di autobus elettrici su larga scala delle Filippine, a Davao City; 18 milioni di dollari per migliorare la resilienza, l’inclusività e la sostenibilità dell’approvvigionamento idrico e dei servizi igienico-sanitari negli Stati Federati di Micronesia. L’Asian Development Bank ha previsto di rilasciare finanziamenti per il clima pari a 100 miliardi di dollari per il periodo dal 2019 al 2030. A fine 2023 erano 46 i Paesi in via di sviluppo membri di ADB.

  • Reti, dalla UE 250 milioni di euro per l’interconnessione Creta-Grecia

    La sicurezza dell’approvvigionamento energetico non può prescindere dall’adeguamento delle reti esistenti e dallo sviluppo di nuove linee di trasmissione. La UE ha ora approvato un nuovo finanziamento per il progetto di interconnessione tra la Grecia e l’isola di Creta. Grazie ai 250 milioni di euro erogati attraverso il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale sarà completata la prima fase della realizzazione dell’interconnettore sottomarino da 1 GW tra l’isola e la regione dell’Attica. Il progetto, con un costo totale previsto di 1 miliardo di euro, prevede l’installazione sul fondale del Mar Egeo di due cavi sottomarini da 500 kV, lunghi 335 chilometri e posizionati a una profondità massima di 1.200 metri. Tutte le sezioni dell’interconnettore saranno completate entro la fine del 2024. Una volta in funzione, il collegamento migliorerà la sicurezza energetica a Creta, consentirà alla Grecia di sfruttare meglio il proprio potenziale di energia rinnovabile e rappresenterà un ulteriore passo verso la sicurezza dell’approvvigionamento energetico in tutta l’UE. Secondo i dati della IEA, nel 2022 in Grecia la quota di fonti rinnovabili nella produzione di energia elettrica è stata del 45,5 per cento, con in testa solare ed eolico.

  • Le interviste FEEM@COP28. In dialogo con Avinash Persaud

    Le interviste FEEM alla COP28. Una proposta informativa interessante, per spiegare la transizione energetica in modo semplice, grazie ad agili testi accompagnati da brevi video. Valeria Zanini ha intervistato Avinash Persaud, Inviato Speciale per il Clima delle Barbados, consigliere del Primo Ministro Mia Mottley e una delle menti principali dietro la Bridgetown Initiative, la più importante iniziativa di riforma finanziaria climatica dentro l’UNFCCC. Durante la COP28, il Global Stocktake (GST) - il primo bilancio globale dei progressi collettivi nella direzione del raggiungimento degli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi del 2015 - ha concluso che l’azione climatica è ancora fortemente insufficiente a livello globale. Una delle ragioni per cui globalmente non si fa abbastanza sia in termini di mitigazione sia di adattamento è la mancanza di finanziamenti. La trasformazione ecologica e l’aumento della resilienza ai cambiamenti climatici sono infatti attività ad alta intensità di capitale. Per questo, l’azione climatica ha visto fino ad oggi un’accelerazione molto più forte nei Paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo, dove il costo del capitale è generalmente molto elevato. Secondo Avinash Persaud - Inviato Speciale per il Clima delle Barbados, consigliere del Primo Ministro Mia Mottley e una delle menti principali dietro la Bridgetown Initiative, la più importante iniziativa di riforma finanziaria climatica dentro l’UNFCCC - per colmare il divario tra i fondi necessari per la transizione ecologica dei Paesi a basso reddito (stimati in 2,4 mila miliardi di dollari l’anno) e quelli attualmente stanziati globalmente (circa 200 miliardi) bisogna dividere gli investimenti climatici in tre gruppi: i progetti che generano entrate; quelli che non generano entrate, ma risparmi; e quelli che non generano né entrate né risparmi, ma implicano dei costi. A coprire questi tre gruppi di investimenti devono essere attori diversi. Più della metà dei 2,4 mila miliardi di dollari annui necessari per la transizione genereranno entrate, e dovranno quindi essere mobilitati dal settore privato. Un’altra parte non genererà entrate, ma risparmi (nell’ordine di 1 a 7: per ogni dollaro speso oggi per l’adattamento climatico, se ne risparmieranno 7 in futuro) e andrà quindi presa in prestito dalle Banche Multilaterali di Sviluppo, usando i risparmi per pagare gli interessi. Della terza parte, in crescita, che comprende principalmente le spese per coprire le perdite e i danni che ammontano oggi a circa 150 miliardi di dollari l’anno, dovrà essere responsabile il settore pubblico, perché queste spese non genereranno entrate né risparmi. Per arrivare alla giusta dimensione di investimenti privati sono necessari tre gruppi di riforme. Da un lato, incentivi e misure normative che guidino l’allineamento dei flussi finanziari privati con l’azione climatica, anche tramite sistemi che coprano il premio di rischio per gli investitori che portano i propri capitali nei Paesi in via di sviluppo per i progetti verdi. Questo però non equivale a dire che tutta la finanza per lo sviluppo debba essere indirizzata verso progetti a basse emissioni di carbonio. I Paesi in via di sviluppo, infatti, sono i più esposti agli effetti del cambiamento climatico e hanno quindi bisogno di ingenti investimenti per progetti di adattamento, che spesso non sono a basso contenuto di carbonio. In secondo luogo, è necessario che le Banche di sviluppo siano tre volte più grandi (triplicando i circa 100 miliardi di dollari che attualmente prestano). Metà dell’incremento dei fondi necessario dovrà venire da nuovo capitale che i governi dovranno versare nei prossimi dieci anni; l’altra metà, circa 100 miliardi, possono invece essere raccolti cambiando le modalità di prestito delle Banche di sviluppo, sostituendo i prestiti individuali con portafogli di prestiti e utilizzando in modi innovativi i Diritti Speciali di Prelievo (DSP) del Fondo Monetario Internazionale, al fine di massimizzare il loro impatto sul clima e mantenendo i propri vantaggi come fonte di liquidità priva di condizionalità e di debito. Con questo fine, la Bridgetown Initiative spinge sulla ristrutturazione delle Banche Multilaterali di Sviluppo e sulla ristrutturazione intelligente del debito dei Paesi più vulnerabili agli effetti dei cambiamenti climatici, nell’ambito di un programma del Fondo Monetario Internazionale che sia legato alla decarbonizzazione e più favorevole verso i Paesi debitori. Infine, per raggiungere la cifra necessaria nel settore pubblico, Persaud suggerisce che servono nuove forme di entrate, come ad esempio una tassa sulle emissioni del trasporto marittimo o una sull’aviazione.

  • Tony Murphy (ECA): “La nostra mission è rafforzare la fiducia nella UE”

    Tra le istituzioni alla guida dell’Europa unita, la Corte dei Conti Europea (ECA) è probabilmente quella che gode di minore popolarità; tuttavia, è proprio quella che può contribuire a rendere realtà quel cambio di rotta imposto ora con maggior forza dalle varie crisi, assicurando innanzitutto che l’Europa spenda bene i propri soldi. Il ruolo e la missione dell’ECA, i rapporti con le altre istituzioni, i nuovi strumenti a disposizione per la gestione dei fondi sono alcuni dei temi al centro dell’intervista di copertina a Tony Murphy, presidente della Corte dei Conti Europea, che apre il numero di Nuova Energia. “Come revisori esterni indipendenti dell’Unione Europea ci occupiamo essenzialmente di esaminare entrate e uscite sull’intera gamma di programmi di spesa degli Stati Membri finanziati dal bilancio UE, da quelli per la crescita e l’occupazione fino a quelli attinenti alle politiche ambientali e agli interventi relativi al clima”. Un lavoro che prevede la verifica di un campione statisticamente significativo di transazioni e la valutazione dei relativi sistemi di supervisione e controllo, oltre alla realizzazione delle - temute - relazioni sulla performance. “Questa parte del nostro lavoro - spiega Tony Murphy - consiste nel valutare se gli obiettivi delle politiche e dei programmi europei selezionati siano stati raggiunti, se i risultati siano stati conseguiti in modo efficace ed efficiente, e se gli interventi abbiano prodotto un valore aggiunto”. “La nostra missione è rafforzare la fiducia, migliorando l’affidabilità e la trasparenza dell’UE in tutti i campi in cui è attiva”. Con la continua espansione degli ambiti coperti dal bilancio UE è di cruciale importanza il ruolo di istituzioni come la Corte dei Conti Europea. La sua attività trova la propria summa nell’Annual Report sul budget UE, dove la Commissione integra le cosiddette priorità orizzontali - come il clima, la digitalizzazione e la dimensione di genere - in tutti i programmi di spesa. A volte con sorprese non sempre positive. “Spesso ci troviamo a riscontrare differenze significative nel livello di integrazione delle singole priorità. Abbiamo anche espresso preoccupazioni in merito all’attendibilità dei dati e alle modalità con cui questi vengono rendicontati dalla Commissione”. Nel Report, ad esempio, l’ECA ha rilevato come le spese riportate nel budget UE non fossero sempre attinenti alle iniziative per il clima. “In generale abbiamo riscontrato - ha spiegato Murphy - che le spese in questo ambito fossero sovrastimate. Le nostre valutazioni indicano una sovrastima di almeno 72 miliardi di euro”. Se da una parte ci si sta muovendo sulla strada dell’adozione di modelli di spesa basati sulle performance, rimane cruciale che gli indicatori chiave di prestazione siano abbastanza solidi da permettere valutazioni oggettive.

  • Idrogeno verde e acciaio: evviva la sincerità

    Sul magazine belga Trends, il CEO del braccio europeo di Arcelor Mittal ammette senza giri di parole il dietrofront sulla decarbonizzazione basata sull’idrogeno nei propri impianti. Il messaggio è chiaro: non c’è modo di produrre acciaio con l’H2 verde ai prezzi attuali. Molto meno chiaro quando l’idrogeno farà effettivamente il suo ingresso nei siti produttivi, operazione per la quale il Gruppo ha richiesto fondi già sbloccati dalla UE. Non si può dire che Geert van Poelvoorde non ci metta la faccia. In un’intervista al magazine economico-finanziario belga Trends riportata nel dettaglio da Hydrogen Insight, il volto europeo di Arcelor Mittal dichiara senza mezzi termini di non poter utilizzare l’idrogeno verde nei propri impianti. Il colosso del settore avrebbe dovuto sostituire i propri altiforni a carbone con la tecnologia DRI/EAF (ovvero, l’abbinata di riduzione diretta del ferro e forno ad arco elettrico) che può funzionare sia a gas naturale sia a idrogeno. Seppur ovviamente preferibile rispetto al carbone utilizzato negli altoforni tradizionali, il metano rappresenta un passo meno ambizioso e meno efficace dell’idrogeno per decarbonizzare il settore. Piuttosto ricco il piatto di fondi sdoganati dalla Commissione per rinverdire con l’H2 i siti produttivi del secondo player al mondo: 850 milioni di euro richiesti e approvati per un impianto DRI e due forni ad arco a Dunkerque, Francia; semaforo verde dalla Spagna a 460 milioni di euro per sostituire i due vecchi altiforni con un’unità DRI e forno ad arco a Gijón; 280 i milioni di euro concessi dal governo belga per DRI+ due forni ad arco a Gent. Non è tutto: sul tavolo anche 55 milioni di euro dal governo tedesco per la costruzione di un impianto pilota ad Amburgo, dal nome piuttosto esplicito di Hamburg H2. Ad Amburgo, Arcelor Mittal gestisce l’unica acciaieria già dotata di unità di produzione di ferro preridotto più forno ad arco elettrico. Attualmente, lo stabilimento funziona a gas. Per questo sito, dunque, l’unico miglioramento possibile rispetto all’esistente è proprio l’utilizzo dell’idrogeno. L’entrata in funzione prevista per il nuovo impianto è fissata al 2025; le dichiarazioni del CEO, però, gettano un’ombra persino sulla costruzione della nuova unità. Con l’aumento dei costi di realizzazione (da 1,1 a 2 miliardi causa inflazione) risulta difficile - spiega van Poelvoorde - convincere il quartier generale a investire tale cifra sapendo già che l’impianto non può reggere la concorrenza globale. L’idrogeno elettrolitico europeo infatti costa, ad oggi, 6-7 euro al kg, potendo arrivare a 5 con qualche ottimizzazione, sottolinea il CEO. A questo prezzo, produrre acciaio con l’idrogeno verde significherebbe “auto-catapultarci fuori dal mercato”. 2 euro al kg è la soglia da non superare affinché l’acciaio europeo rimanga competitivo. Bocciata anche l’opzione import dall’Africa: solamente il trasporto costa 1,50 euro al kg. La questione del prezzo insostenibile dell’idrogeno verde non è una novità, tant’è che sul sito dedicato al progetto Hamburg H2 il gruppo dichiarava già esplicitamente che il sito “funzionerà a idrogeno quando quest’ultimo sarà disponibile in quantità sufficienti a un prezzo sostenibile, con l’energia per produrlo potenzialmente proveniente dai parchi eolici al largo delle coste della Germania del Nord”. Per decarbonizzare l’acciaio, dunque, l’idrogeno rimane un’opzione in potenza, soggetta a una serie di condizioni. La fase iniziale prevista per ripulire gli impianti esistenti del gruppo - il passaggio da carbone a gas - rischia di diventare permanente; quanto al progetto di Amburgo - che porta l’H2 anche nel nome - potrebbe non partire mai. Dello stesso segno le dichiarazioni sull’avvio della costruzione dell’impianto di Hamilton, in Ontario, Canada, dove il gruppo ha ricevuto 655 milioni di dollari per la creazione di un’acciaieria hydrogen ready. Apprezzabile la franchezza: sembra di capire che le acciaierie sono pronte per l’idrogeno verde. Ma non si sa ancora quando l’idrogeno verde sarà pronto per le acciaierie. Carolina Gambino

  • Autoconsumo, in Kosovo incentivi per famiglie e imprese

    La crescita delle fonti rinnovabili, favorita dallo sviluppo tecnologico e dall’innovazione, passa anche dal sostegno economico a produttori e consumatori: in una parola, dagli incentivi. Per questo il governo del Kosovo ha annunciato nuove agevolazioni per provati e piccole e medie imprese per favorire l’installazione di pannelli fotovoltaici e impianti solari termici. Il Ministero dell’Economia utilizzerà una sovvenzione di 75 milioni di euro rilasciata dalla UE all’interno del pacchetto di aiuti di 500 milioni di euro per i Balcani occidentali per fronteggiare il caro energia. Le famiglie potranno richiedere il sostegno economico per installare impianti fotovoltaici con capacità comprese tra 3 e 7 kW destinati all’autoconsumo. Questi nuovi prosumer beneficeranno di 250 euro per ogni kW installato, fino a un totale di 1.750 euro. Anche le imprese riceveranno 250 euro per kW, per impianti di taglia compresa tra 3 e 9 kW e fino a un massimo contributo di 2.000 euro per beneficiario. Le aziende che realizzeranno impianti più grandi, di capacità pari o superiore a 10 kW, saranno invece sovvenzionate con 200 euro per kW, con un contributo massimo fissato a 6.000 euro. Aiuti che prevedono un ulteriore bonus nel caso le imprese siano detenute per almeno il 51 per cento da donne. Per l’installazione di impianti solari termici, le misure a sostegno delle imprese prevedono un contributo pari al 40 per cento del valore dell’investimento o fino a un massimo di 4.000 euro.

  • Stati Uniti, nel 2024 la domanda elettrica vola verso nuovi record

    A fronte del calo, previsto seppure ancora contenuto, dell’uso di combustibili fossili nell’industria, nei trasporti e nei sistemi di riscaldamento, cresce il fabbisogno di energia elettrica. Questo aumento della domanda in molti Paesi si appresta a toccare nuovi record. Secondo l’ultimo Short Term Energy Outlook pubblicato dalla U.S. Energy Information Administration (EIA), nei prossimi due anni negli Stati Uniti si raggiungeranno livelli mai toccati prima e la domanda prevista sarà di 4.112 miliardi di kWh nel 2024 e di 4.123 miliardi nel 2025. Valori in deciso aumento rispetto ai 3.994 miliardi di kWh del 2023 e che superano il precedente picco di 4.070 miliardi di kWh raggiunto nel 2022. In particolare, nel 2024 i consumi del settore residenziale toccheranno i 1.530 miliardi di kWh (erano 1.509 nel 2022), mentre la domanda dei clienti business crescerà di poco: 1.396 miliardi di kWh, contro i 1.391 miliardi di kWh del 2022.  Solo il settore industriale, con i suoi 1.035 miliardi di kWh, pur in aumento rispetto agli ultimi anni, non supererà la soglia record registrata nel 2000: 1.064 miliardi di kWh. Lato produzione, nel 2024, il report della EIA vede stabile la quota del gas naturale - 42 per cento, la stessa del 2023 - e prevede una leggerissima flessione nel 2025, con una quota del 41 per cento. In continua discesa l’impiego del carbone, già sceso nel 2023 al 17 per cento e previsto in ulteriore calo nel 2024 (15 per cento) e nel 2025 (14 per cento). Di contro, aumenterà la percentuale di produzione da fonti rinnovabili che passerà dal 22 per cento raggiunto nel 2023 al 24 per cento previsto nel 2024 e al 26 per cento nel 2025. Resta stabile il nucleare, con una quota del 19 per cento nei prossimi due anni.

  • Spiegoni FEEM - La decarbonizzazione dei trasporti nel contesto delle COP

    Ospitiamo su Pausa Energia gli Spiegoni FEEM, una proposta informativa nata con l’intento di spiegare alcuni temi connessi alla transizione energetica - cambiamento climatico, decarbonizzazione dei trasporti, finanza sostenibile - in modo semplice e preciso, grazie ad agili testi accompagnati da brevi video. Al lettore il giudizio sulla riuscita dell’iniziativa. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), dal 1990 al 2022 le emissioni nel settore dei trasporti sono cresciute ad un tasso medio annuo dell’1,7 per cento, più velocemente di qualsiasi altro settore, esclusa l’industria. Ad oggi, in Europa il settore dei trasporti è responsabile di circa il 30 per cento delle emissioni totali di CO2 (tassi molto simili anche negli Stati Uniti, dove la percentuale è del 29 per cento). La ripresa a pieno regime del trasporto passeggeri e merci, dopo la frenata causata dalla pandemia, ha portato nel 2022 ad un aumento del 3 per cento delle emissioni rispetto all’anno precedente. Si prevede che globalmente la domanda di consegne urbane dell’ultimo miglio crescerà del 78 per cento entro il 2030, circostanza che produrrà un aumento del 36 per cento dei veicoli per le consegne nelle 100 città più grandi del mondo. Mentre, per il 2050, la domanda di trasporto merci è attesa triplicare, tanto da comportare il raddoppio dell’attuale quota dell’8 per cento alle emissioni globali di gas serra. A livello globale, la maggior parte delle emissioni deriva da autovetture e veicoli commerciali leggeri (i furgoni), e, secondo le proiezioni dell’IEA sarà così anche nel 2030 nello Scenario degli Impegni Annunciati (APS). Per questo motivo, i settori delle autovetture e dei veicoli commerciali leggeri dovranno essere responsabili della diminuzione più marcata delle proprie emissioni nello Scenario Emissioni Nette Zero (NZE) al 2050. Per ridurre le emissioni climalteranti del settore, le politiche stanno cercando di agire sia sul lato dell’offerta sia su quello della domanda. Proprio in Europa e negli Stati Uniti o, meglio, in una loro parte, la California, sono le aree in cui si è cercato con più veemenza di modificare l’offerta stessa di mobilità. In particolare, per automobili e veicoli commerciali leggeri, con le cosiddette messe al bando dei mezzi che emettono CO2 durante il loro utilizzo, si è provato a plasmare l’offerta indirizzandola - in maniera obbligata a partire da una certa data - verso la sostituzione dei carburanti fossili con l’energia elettrica. L’efficacia di tale approccio, tuttavia, resta purtroppo tutta da dimostrare e, nei fatti, risulta ben poco adatta ad accordi sovranazionali. Alla COP26 di Glasgow, sotto l’egida e la regia del governo britannico, fu firmato un accordo soltanto da sei produttori automobilistici, con l’assenza dei più importanti sia per volume di vendite globali sia per impegno verso una mobilità ad emissioni zero. La dichiarazione, che prevedeva l’impegno piuttosto generico a “lavorare affinché, entro il 2040, tutte le vendite di nuove auto e furgoni siano a emissioni zero a livello globale, ed entro il 2035 nei principali mercati” fu firmata anche da 24 Paesi, 39 tra città, vari proprietari di flotte, investitori istituzionali e società energetiche, comprensibilmente interessate alla svolta elettrica. Tra i Paesi firmatari più importanti vi erano lo stesso Regno Unito, Svezia, Olanda, Norvegia, Canada, Austria, Polonia e Nuova Zelanda, ma non certo i maggiori Paesi per diffusione di automobili: Stati Uniti, Cina, Giappone, Germania, Italia, Francia, India. Numerose e non infondate furono le obiezioni delle maggiori case automobilistiche: dalla necessità di rispettare le diverse esigenze di sviluppo di mercati e regioni, alla mancata adesione della Cina all’accordo sullo stop al ricorso al carbone per la produzione di energia; dai tempi più lunghi e comunque non certi per mercati come l’Africa e l’America Latina alla concreta possibilità di rispettare le scadenze imposte. A soli due anni da quella firma, tralasciando le case automobilistiche, comunque dipendenti dalle scelte dei consumatori, dei Paesi che allora firmarono non si può non rilevare come il Regno Unito ha posticipato di cinque anni, dal 2030 al 2035, il proprio divieto di immissione sul mercato di auto non zero e basse emissioni (le ibride plug-in), mentre la Polonia ha chiamato in causa la Corte di Giustizia contro il divieto di vendita al 2035 di auto non ad emissioni zero (allo scarico) previsto dall’Unione Europea. I fondamenti della battaglia legale avviata dalla Polonia puntano sul principio di proporzionalità: “i costi sono evidentemente sproporzionati rispetto agli obiettivi perseguiti” e impongono “un onere sproporzionato ai cittadini europei, in particolare ai meno abbienti, e al settore automobilistico europeo”. L’opposizione della Polonia solleva anche l’obiezione che le politiche climatiche dell’UE avrebbero dovuto essere concordate all’unanimità, poiché incidono sulle decisioni sovrane dei Paesi sulla scelta del mix energetico e sull’uso del territorio e mettono a rischio la sicurezza energetica perché non tengono conto della situazione individuale degli Stati membri dell’Unione. Una delle principali difficoltà che si incontrano nel tentativo di decarbonizzare il settore dei trasporti è che gli interventi sugli spostamenti di persone e merci impattano direttamente sugli stili di vita e sulle abitudini degli individui. Cambiamenti troppo repentini, per quanto necessari, diventano subito nei singoli Stati (ma anche nelle città, anch’esse protagoniste di retromarce sulle misure più impopolari) materia di scontro politico più che di convergenza, per il (prezioso) consenso che determinano. Antonio Sileo e Valeria Zanini

  • Trasporti UE, nel 2023 immatricolati 5.000 autobus elettrici

    In Europa il trasporto su strada di merci e persone continua a macinare chilometri e le immatricolazioni di veicoli commerciali (van, truck e bus) nel 2023 sono complessivamente cresciute in tutta Europa. Per quanto riguarda il trasporto collettivo di persone (bus e coach), secondo i dati resi noti da ACEA e considerando tutte le motorizzazioni, nella UE sono stati immatricolati 32.593 nuovi mezzi, il 19,4 per cento in più rispetto al 2022. Di questi, 5.166 sono elettrici; numero che sale a 7.242 includendo il Regno Unito e i Paesi europei di libero scambio (AESL - Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera). In particolare, nella UE-27 le immatricolazioni di autobus elettrici (sia urbani sia lunghe percorrenze e turismo) sono cresciute del 39,1 per cento rispetto all’anno precedente, raggiungendo una quota di mercato del 15,9 per cento. Percentualmente, l’aumento maggiore si è verificato in Spagna, con 525 nuovi e-bus e un incremento che ha sfiorato il 270 per cento sul 2022. Seguono l’Italia (410 immatricolazioni, +253 per cento) e la Germania con 835 nuovi mezzi (+29 per cento). Positivi anche i dati degli ibridi, che hanno segnato una crescita del 115,1 per cento, raddoppiando di fatto la quota di mercato e passando dal 7,1 al 12,8 per cento. Tra le maggiori performance troviamo quella dell’Italia, con 670 nuove immatricolazioni e un aumento del 463 per cento rispetto al 2022; quindi la Francia (813 unità, +221 per cento), la Spagna (869 unità e +172 per cento) e la Germania (1.442 unità e +37,5 per cento). Questi incrementi, tuttavia, non hanno tolto la supremazia ai mezzi alimentati a gasolio. Secondo ACEA, infatti, il diesel si conferma la principale motorizzazione con una quota di mercato pari al 62,3 per cento, anche se in calo rispetto al 66,9 per cento del 2022. Nel nostro Paese i nuovi mezzi a gasolio immatricolati nel 2023 sono stati 3.140, segnando ancora una crescita del 27,8 per cento rispetto al 2022.

  • Se sei da solo e non hai un bazooka, unisciti ad altri e lancia sassi

    Si arrende Navigator CO2, azienda statunitense intenzionata a far viaggiare la CO2 lungo 2.092 km di gasdotto attraverso 5 Stati nel Midwest americano, di fonte all’opposizione “d’acciaio” degli agricoltori. Proteste focalizzate sulla sicurezza del progetto e le ricadute negative sulle coltivazioni. Il colpo di grazia arriva dalle autorità statali, che negano i permessi. Ciò che sembrava impossibile al singolo, diventa possibile per una coalizione. Illinois Occidentale, USA - A Steve Hess, 68 anni, coltivatore di mais e soia sui terreni di proprietà della famiglia della moglie dal 1869, il primo legale consultato aveva consigliato di desistere. Non c’è modo di combattere questa battaglia, le esatte parole dell’avvocato. Opporsi al progetto da 3,4 miliardi di dollari di un’azienda supportata da Black Rock, il gigante americano degli investimenti, effettivamente poteva sembrare un’impresa impossibile. Meno di due anni dopo, al telefono con il Chicago Tribune Hess dichiara di essere pronto a festeggiare la vittoria, dopo “tutte le pietre che abbiamo tirato a Golia”. Forte degli sgravi messi a disposizione dall’Inflation Reduction Act di Biden - 1,3 miliardi di credito d’imposta l’anno - nel 2021 Navigator CO2 mette in pista la realizzazione dell’Heartland Greenway, un gigantesco gasdotto per la CO2 generata in 30 impianti di produzione dell’etanolo sparsi in tutta la regione del Midwest. 15 milioni le tonnellate di CO2 che avrebbero dovuto viaggiare ogni anno, 600.000 delle quali, secondo una dichiarazione di intenti, sarebbero andate a Infinium per la produzione di e-fuel; il resto sarebbe stato stoccato in un deposito sotterraneo in Illinois. Allettanti le proposte economiche dell’azienda per ottenere la servitù sui terreni agricoli, così come la promessa di far contenti tutti: gli ambientalisti, grazie alla CO2 rimossa - l’equivalente delle emissioni di 3,2 milioni di auto; gli agricoltori, il cui mais fa parte della filiera dell’etanolo per carburanti, che va decarbonizzata pena il declino; e le comunità coinvolte, per cui la costruzione della pipeline significherebbe 3.900 posti di lavoro l’anno, per almeno 4 anni. Tuttavia l’orgoglio contadino è troppo forte, così come le preoccupazioni per la perdita di produttività dei terreni - dal 6 al 46 per cento in meno, secondo una metanalisi del 2022 su 25 studi; ancora 24 per cento in meno a 5 anni dalla fine dell’installazioni, per la Soil Science Society of America. Ma il mantra dell’opposizione rimane la sicurezza: a Satartia, una manciata di case nel Mississippi, la rottura di un condotto della CO2 nel 2020 manda in ospedale 45 residenti. Difficile se non impossibile, nell’Illinois rurale, tenere il gasdotto a distanza di sicurezza da scuole e case. L’opposizione dei singoli diventa una coalizione, la Citizens Against Heartland Greenway Pipeline. Navigator CO2 combatte una guerra su più fronti. In Iowa è fiaccata da una battaglia legale estenuante sul presunto diritto dei periti dell’azienda di accedere a terreni privati senza permesso. Tutto bloccato in Illinois, futura sede del sito di stoccaggio, dove Mark Maple, ingegnere al servizio dell’Illinois Commerce Commission, boccia il progetto: le regole di sicurezza federali non sono aggiornate, e Navigator non ha ancora i permessi necessari a procedere. Il colpo di grazia arriva dal Sud Dakota, con un no definitivo ai permessi per motivi di sicurezza, salute e valore economico del territorio. È Brian Jorde, avvocato che rappresenta legalmente gli agricoltori della coalizione in 4 Stati, che spiega la vittoria: se devi combattere un gigante e non hai un bazooka, devi colpire in molti punti, a lungo e con perseveranza. Pietra dopo pietra, Golia è caduto. Carolina Gambino

  • A Essen si fanno i conti con il nuovo energy mix europeo

    All’insegna del claim Soluzioni per un futuro sostenibile, E-world Energy & Water è tornata quest’anno alla sua tradizionale data di febbraio e ha superato tutti i precedenti record di partecipazione. 900 espositori provenienti da 31 Paesi hanno presentato prodotti e soluzioni occupando l’intero quartiere fieristico di Essen, confermando questo evento espositivo e congressuale come punto di riferimento per l’industria energetica in Europa. Il livello internazionale dell’appuntamento è ormai acclarato: accanto ai grandi operatori e alle start-up tedesche, un quinto delle aziende presenti proviene da altri Paesi europei e l’Italia è stata ben rappresentata su tutta la filiera: agli operatori nazionali Eni, Enel e Duferco Energia (più Unicredit per l’ambito finanziario) si aggiungono le multinazionali che operano anche sul nostro territorio, come Engie, EDF, Axpo, EON, Repower, Iberdrola e Alpiq. In questa edizione l’attenzione è stata rivolta soprattutto a come conciliare resilienza, neutralità climatica e prospettive industriali. Gli stringenti obiettivi ambientali hanno infatti implicato una ridefinizione dell’energy mix europeo, con l’introduzione di sempre maggiore capacità rinnovabile, mentre le tensioni geopolitiche hanno forzato a tracciare nuovi flussi di approvvigionamento dei combustibili. Per gestire questa complessità sono quindi necessarie capacità di programmazione, analisi e gestione delle informazioni di mercato sempre più ampie e sofisticate. Nel contempo, nuove tecnologie - accumuli e vettori energetici, come l’idrogeno - stanno definitivamente entrando nella filiera con l’obiettivo di ottimizzare l’incontro tra domanda e offerta, oggi reso instabile dalla maggiore generazione rinnovabile non programmabile e intermittente. Coerentemente con questa evoluzione di mercato, i temi più trattati nei forum di discussione sono stati quelli relativi all’intelligenza artificiale e alla gestione dei dati, insieme alla capacità di gestire la domanda di energia nel bilanciamento della rete. Come è stato il caso dell’utilizzo dell’AI nell’ottimizzazione di un impianto di generazione, un argomento illustrato in una ricerca dall’istituto di matematica industriale Fraunhofer di Kaiserslautern. Il tema della sicurezza sottesa alle reti è stato invece presentato dall’IEC Israel Electric Corporation, che nel suo intervento ha proposto un approccio non più reattivo ma proattivo, anticipando le minacce grazie a maggiori velocità di elaborazione, ad architetture informatiche flessibili e a più ampie capacità analitiche e predittive. I grandi operatori di trading, dopo l’euforia stimolata dalla volatilità e dagli alti prezzi degli ultimi due anni, stanno rivedendo le proprie strategie in scenari di mercato più stabili; nel contempo, traguardano un orizzonte dove la componente rinnovabile, quindi intermittente, sarà predominante. Per esempio la Germania, in fase di uscita definitiva dal nucleare, ha fissato al 2030 un obiettivo dell’80 per cento di copertura dei consumi da fonte rinnovabile. E in questa prospettiva la capacità di previsione sarà sempre più rilevante, come hanno testimoniato le tante società che si occupano di meteorologia e previsione dei consumi presenti alla fiera dei record. Paolo Ghelfi

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