L’Unione Europea ha fornito 729 milioni di euro di aiuti ai Paesi meno sviluppati e ai piccoli Stati insulari - che contribuiscono in misura minima alle emissioni di gas a effetto serra ma sono i più colpiti dagli impatti del cambiamento climatico - per accrescere la loro resilienza. Tuttavia, i risultati non sono stati all’altezza delle aspettative.
Questa è la conclusione, schiettamente diretta, a cui giunge una nuova relazione della Corte dei conti europea che ha valutato se le azioni messe in campo dall’Alleanza mondiale contro il cambiamento climatico (Global Climate Change Alliance, GCCA), avviata nel 2007 per sostenere i Paesi in via di sviluppo nella lotta al climate change, abbiano conseguito i risultati previsti in modo efficiente.
Gli auditor della Corte hanno trovato pochi elementi a conferma del successo dell’iniziativa, non abbastanza focalizzata sui bisogni dei Paesi più vulnerabili nell’accrescere la loro resilienza. In termini di efficienza, inoltre, le azioni completate hanno generalmente prodotto il risultato previsto, ma a un costo elevato.
“Abbiamo rilevato - ha dichiarato Hannu Takkula, responsabile dell’audit - che il passaggio previsto fra lo sviluppo di capacità e le azioni più concrete a sostegno diretto della popolazione non è stato sistematico. Crediamo che la Commissione dovrebbe concentrarsi sui soggetti maggiormente colpiti dal cambiamento climatico e far confluire quanto appreso sia nelle future azioni di contrasto sia nelle future iniziative di sostegno”.
L’approccio della GCCA è basato su due pilastri: promuovere la condivisione di conoscenze e fornire sostegno tecnico e finanziario per le misure di adattamento, mitigazione e riduzione del rischio di catastrofi. La Corte ha riscontrato che l’iniziativa non ha misurato i miglioramenti della situazione dei beneficiari, né ha prestato sufficiente attenzione alle necessità dei soggetti più colpiti. Non sempre gli aiuti sono arrivati ai soggetti vulnerabili a cui erano destinati. Inoltre, le attività pilota che avevano ottenuto buoni risultati avrebbero potuto essere estese, così che un numero maggiore di persone ne potesse beneficiare.
L’Alleanza mondiale contro il cambiamento climatico non ha mai attirato finanziamenti aggiuntivi che Stati membri e settore privato avrebbero dovuto fornire e malgrado il significativo deficit di contributi, la Commissione non ha mai rivisto gli ambiziosi obiettivi inizialmente definiti, né ha esaminato la ragionevolezza dei costi iscritti nei bilanci della maggior parte delle azioni valutate dagli auditor. Un’analisi dei costi più dettagliata, sempre secondo l’analisi della Corte dei conti europea, avrebbe consentito di realizzare risparmi.
È stato inoltre riscontrato un problema di notorietà e visibilità: nonostante abbia fornito sostegno a oltre 80 Paesi, l’iniziativa non era granché conosciuta né dai potenziali beneficiari né all’interno dell’UE, anche perché le azioni finanziate non risultavano distinguibili da altre promosse dell’UE per contrastare il climate change nei Paesi in via di sviluppo. L’efficienza della proposta ha risentito inoltre della complessità della relativa organizzazione, della duplicazione dei meccanismi di sostegno e dei flussi di finanziamento.
L’Alleanza mondiale contro il cambiamento climatico è stata finanziata attraverso lo strumento di cooperazione allo sviluppo e il Fondo europeo di sviluppo - 308,8 milioni di euro per la prima fase (2007-2013) e 420 milioni per la seconda, relativa al periodo 2014-2020 - per un totale stanziato di 728,8 milioni di euro.
Nel 2020 si è deciso di non proseguire l’iniziativa. Per il periodo 2021-2027 la Commissione finanzierà una serie di azioni volte a contrastare il cambiamento climatico nei Paesi in via di sviluppo attraverso un sostegno tematico e geografico nel quadro dello strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e internazionale.
Questi, in breve, i risultati dell’analisi (il testo integrale della relazione è disponibile qui). Al volenteroso lettore il compito di fare sintesi.
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