Deregolamentazione, rinnovabili, rete elettrica non sincrona. I perché del blackout
in Texas sono diversi, ma tutti figli di mancata pianificazione e sottovalutazione
del rischio. Una tempesta. Non solo di neve e ghiaccio, ma di notizie.
Così, nell’immaginario collettivo il Texas è passato dalle cavalcate di John Wayne tra frecce
e tomahawk a città paralizzate tra strade buie e anziani (e non) morti di freddo. Un
blackout che ha lasciato più di 4 milioni di persone senza elettricità e causato la morte di
decine di persone. Un evento straordinario - da settanta e più anni non si verificava una
tale ondata di gelo e neve - che ha provocato la caduta di alberi sulle linee elettriche e il
blocco delle turbine eoliche. Questo - unito alla riduzione della fornitura di gas a causa del
congelamento delle valvole e a un guasto, sempre dovuto al grande freddo, che ha
fermato una unità da 1.300 MW di una centrale nucleare nel sud del Texas - ha provocato
prolungate interruzioni del servizio. Anche perché il freddo intenso causava ovviamente
un’impennata della domanda di elettricità.
A nulla sono serviti i cosiddetti blackout a rotazione. Oltre ad aver ritenuto che il rischio di
un tale evento fosse basso e che non sarebbe stato conveniente predisporre contromisure
costose, quali sono state quindi le cause di questo blackout?
“Certamente - spiega Emanuele Ciapessoni, Leading Scientist del Dipartimento Sviluppo dei Sistemi Energetici di RSE - il sistema elettrico del Texas non era sufficientemente resiliente, anche se allo stato attuale è difficile individuare il motivo principale del blackout: forse i guasti, o le turbine eoliche ghiacciate. Ma occorre ricordare anche che la rete del Texas non ha connessioni sincrone con le altre due reti degli Stati Uniti. Inoltre, il Texas ha adottato un mercato deregolamentato per la sola energia, senza introdurre un mercato della capacità”.
Va poi detto che lo sviluppo tecnologico e dei materiali, che oggi più che mai
permetterebbe di realizzare centrali elettriche e impianti eolici in grado di funzionare in
situazioni estreme, si scontra, invero non solo in Texas, con l’obiettivo di fornire elettricità
a un costo più basso, con un’affidabilità spesso solo accettabile.
Necessità di migliorare l’affidabilità e la resilienza del sistema elettrico gridata a gran voce
dallo stesso governatore del Texas. Preparandoci a eventi climatici estremi sempre più
frequenti, è tempo quindi di trovare le soluzioni.
“Quella texana - continua Ciapessoni - è collegata alla rete elettrica statunitense e a quella messicana tramite cinque collegamenti in alta tensione in corrente continua (HVDC). Un’ipotesi a lungo termine è quella di interconnettere la rete del Texas in modo sincrono con una o entrambe le grandi reti americane, in modo da incrementare il potenziale di import-export e garantire il mutuo soccorso con le reti interconnesse. Questa idea classica, basata sull’espansione di rete, è in competizione con nuove soluzioni, come l’utilizzo della generazione distribuita e di impianti di accumulo fissi o mobili. Sono tutte opzioni utili per aumentare la resilienza”.
Garantire la resilienza richiede quindi nuovi approcci in modo di pianificare le contromisure
e gestire le emergenze. “Un aspetto chiave - conclude Emanuele Ciapessoni, coordinatore
dellla monografia Resilienza del sistema elettrico, pubblicata nella collana RSEview - è
quello della quantificazione dell’efficacia e dei costi degli interventi per la resilienza, per
individuare quelli prioritari tenendo conto dei tempi di ritorno degli eventi critici. Tutto ciò
richiede evoluzioni a livello regolatorio, nonché degli attuali codici di rete e dei piani di
sviluppo, per considerare a pieno titolo la resilienza del sistema a fronte di eventi eccezionali”.
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